• La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
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    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • Aux Etats-Unis, les grèves se multiplient : l’espoir renaît ? (1/2)
    https://www.frustrationmagazine.fr/greves-etats-unis

    Avec leur droit du travail en lambeaux et leur protection sociale quasi inexistante, les États-Unis d’Amérique semblent fournir l’exemple parfait d’un pays où les capitalistes ont gagné la guerre des classes depuis longtemps. Et tant pis si cela accouche d’un président aussi grotesque et putschiste que Donald Trump, ou un papy bafouillant à la Biden. […]

    • Les militants de The Spark (États-Unis) au Congrès annuel de LO en décembre dernier :
      https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/interventions-des-groupes-invites_450524.html

      Symptômes de colère ouvrière

      En surface, il semble que le malaise social que nous avons vécu ces dernières années est toujours là cette année. Il n’y a pas eu à ce jour de grèves majeures comme dans d’autres pays.

      Mais dans ce pays, le plus capitaliste de tous, des lois envoient les #mouvements_sociaux dans l’industrie sur des voies de garage bureaucratiques. Il y a eu néanmoins des petits aperçus de colère ouvrière. Sur six syndicats du rail, les travailleurs de deux d’entre eux ont voté contre un contrat plus ou moins imposé par #Biden, et des grèves sont prévues en décembre – même si Biden pourrait les repousser encore une fois d’un trait de plume. Il y a eu des #grèves locales isolées – les travailleurs du papier, des journaux, les enseignants, les mineurs, les concierges des cités. À la fin du mois d’octobre, 6 000 travailleurs de 234 magasins #Starbucks ont suivi jusqu’au bout le processus juridique tortueux nécessaire pour que le gouvernement organise un vote afin de décider s’ils pouvaient se syndiquer. Ce n’est qu’une goutte d’eau dans une entreprise qui compte près de 16 000 magasins et 350 000 travailleurs. Mais c’est tout de même une goutte. Tout comme le vote de l’an dernier dans le seul établissement d’#Amazon qui a réussi le parcours du combattant pour voter la reconnaissance légale de son syndicat.

      Cette année, alors que la police a déjà tué près de 900 personnes, il n’y a pas eu d’explosion comme celle qui avait suivi le meurtre de George Floyd. Mais il y a eu des manifestations locales contre la violence qui ont parfois permis d’inculper un policier ou de faire libérer de prison quelqu’un accusé à tort. Cela paraît minime, mais ça témoigne de la colère qui couve juste sous la surface de ce prétendu phare de la démocratie.

      Il y a du mécontentement et du ressentiment à de nombreux niveaux. Nous avons pu le constater à notre petite échelle au travers de nos activités, notamment les campagnes électorales dans trois des quatre États où nous sommes présents. Cela a constitué notre principal travail de l’année, même si tout le reste – les bulletins d’entreprise, les ventes publiques, les efforts de recrutement, l’activité syndicale, notre fête, les pique-niques, etc. – a continué comme avant.

  • Data & Society — Amazon’s Trickle-Down Monopoly (report by Moira Weigel)
    https://datasociety.net/library/amazons-trickle-down-monopoly

    This report highlights how Amazon’s scale has also given rise to new kinds of small businesses — ones optimized for #Amazon. Industry analysts estimate that, in 2021, there were more than 6 million unique sellers active on Amazon and that at least 2,000 new sellers opened accounts every day. To these sellers, Amazon holds forth the possibility of a trickle-down monopoly. But to seize the opportunities of Amazon’s global expansion involves considerable vulnerability. To succeed, 3P sellers must behave like miniature Amazons — without access to the capital that Amazon commands, insight into much of the company’s data, or the ability to make claims when they suffer harm.

  • Home Depot a partagé avec Meta des renseignements personnels de clients à leur insu La Presse canadienne
    Les consommateurs donnaient leur adresse électronique au quincaillier pour recevoir leur facture par courriel.

    L’entreprise américaine Home Depot est montrée du doigt par le commissaire à la protection de la vie privée du Canada.

    Le magasin de rénovation Home Depot a partagé les détails de reçus électroniques avec Meta, la société mère de Facebook, à l’insu des clients ou sans leur consentement, conclut le commissaire à la protection de la vie privée du Canada.

    Dans un rapport publié jeudi, Philippe Dufresne indique que les données partagées par Home Depot comprenaient notamment des adresses électroniques chiffrées de clients et des renseignements sur leurs achats en magasin.

    L’enquête du commissaire a révélé que les informations transmises à Meta étaient utilisées pour déterminer si un client avait un compte Facebook. Si c’était le cas, Meta comparait ce que le client avait acheté chez Home Depot aux publicités sur Facebook, afin de mesurer leur efficacité.

    Meta a également pu utiliser les informations sur les clients à ses propres fins commerciales, “y compris le profilage des utilisateurs et le ciblage publicitaire, sans lien avec Home Depot”, a constaté le commissaire.

    L’enquête a ainsi permis d’apprendre que “depuis au moins 2018”, Home Depot recueillait les adresses électroniques de clients, lors de leur passage à la caisse, afin de leur envoyer un reçu électronique.

    Avoir su, des clients auraient peut-être dit non
    Dans un communiqué, le commissaire Dufresne estime qu’il est peu probable que les clients de Home Depot s’attendaient à ce que leur information personnelle soit ainsi communiquée à une plateforme de médias sociaux tiers, simplement parce qu’ils avaient opté à la caisse pour un reçu électronique.

    “Lorsqu’on demandait aux clients de fournir leur adresse électronique à la caisse, on ne leur disait jamais que leurs renseignements seraient communiqués à Meta et on ne leur fournissait pas d’information sur la façon dont Meta ou Home Depot utiliserait leurs renseignements”, a résumé le commissaire Dufresne. “Cette information aurait été d’une grande importance dans la décision des clients de demander ou non un reçu électronique.”

    M. Dufresne rappelle aux entreprises qu’elles doivent obtenir le consentement valide des clients au moment de la vente avant de s’adonner à ce type d’activité commerciale.

    “Les entreprises qui cherchent de plus en plus à offrir des services en ligne doivent porter une attention particulière à toute utilisation des renseignements personnels qu’elles recueillent, car il pourrait être nécessaire d’obtenir un consentement supplémentaire”, a expliqué le commissaire Dufresne.

    Le commissaire à la protection de la vie privée du Canada, Philippe Dufresne, a présenté à la presse son plus récent rapport, jeudi. Photo : La Presse canadienne / Spencer Colby

    Pour sa défense, Home Depot a déclaré au commissaire qu’il s’appuyait sur le “consentement tacite” et que sa déclaration de confidentialité, disponible sur son site web et en version imprimée sur demande dans les points de vente au détail, expliquait de manière adéquate l’utilisation des informations par l’entreprise. Le détaillant a également cité la politique de confidentialité de Facebook.

    Le commissaire a rejeté les arguments de Home Depot, affirmant que les documents invoqués relativement au consentement n’étaient pas accessibles sur-le-champ au passage à la caisse – et que les clients n’avaient aucune raison de chercher à en prendre connaissance.

    “Les explications offertes dans les politiques de l’entreprise étaient insuffisantes pour obtenir un consentement valable”, conclut le commissaire Dufresne.

    Il a recommandé que jusqu’à ce que Home Depot soit en mesure de mettre en place des mesures pour assurer un consentement valide, le détaillant devrait cesser de divulguer à Meta les renseignements personnels des clients qui demandent un reçu électronique à la caisse.

    Le commissaire indique que Home Depot a pleinement collaboré à l’enquête, a accepté de donner suite aux recommandations du Commissariat. Home Depot a par ailleurs cessé en octobre de partager avec Meta des informations sur les clients, ajoute le commissaire.

    Source : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1951213/protection-vie-privee-facebook-quincailler-home-depot

    #meta #facebook #publicité #surveillance #google #surveillance #algorithme #publicité #bigdata #internet #manipulation #domination #profiling #amazon #données #réseaux_sociaux #gafam

  • Google annonce la suppression de 12 000 emplois dans le monde – Libération
    https://www.liberation.fr/economie/economie-numerique/google-annonce-la-suppression-de-12-000-emplois-dans-le-monde-20230120_LK
    https://www.liberation.fr/resizer/HTiOpW0DZ3l7TeByXtSd6PIoZPo=/1200x0/filters:format(jpg):quality(70):focal(1021x1102:1031x1112)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/liberation/VLNJLPA2BFAZRCTWOT7U4IXVL4.jpg

    En virant plus de 5 % de ses employés, Microsoft compte « faire plus avec moins ». Meta, maison mère de Facebook, a quant à elle annoncé en novembre retirer 11 000 salariés de sa liste d’amis, soit 13 % de ses emplois. Peu de temps après, Amazon a fait tomber le couperet en révélant 18 000 licenciements. Et que dire de la violente purge menée par Elon Musk chez Twitter ? Interviewé par Libération en novembre 2022, l’analyste Diego Ferri, directeur de la stratégie d’EY Fabernovel, entreprise spécialiste du conseil en transformation stratégique, annonçait : « Nous arrivons à la fin d’un cycle d’innovation ».

    Une innovation qui, chez Google, est depuis quelques mois parfois sacrifiée sur l’autel de la réduction des coûts. En septembre, l’entreprise a révélé qu’elle ne développerait plus d’ordinateurs Pixelbook. En outre, rien que mercredi, elle a fini d’enterrer Stadia, son équivalent Netflix du jeu vidéo.

    • Amazon : 27 000 licenciements en deux mois
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/03/23/amazon-27-000-licenciements-en-deux-mois_567774.html

      #Amazon, le géant du commerce en ligne dont le PDG est #Jeff_Bezos, a annoncé le #licenciement de 9 000 employés supplémentaires. En janvier, il avait déjà jeté à la rue 18 000 salariés, soit au total 27 000 travailleurs en deux mois.

      En février, Amazon avait pourtant annoncé des ventes en hausse de 9 %, un chiffre d’affaires de 137,4 milliards de dollars et un bénéfice net doublé à 14,3 milliards de dollars. Cette entreprise, qui avait eu un développement exceptionnel durant le ­Covid, a vu entre fin 2019 et fin 2021 son nombre de salariés passer de 800 000 à 1,6 million, en faisant le deuxième employeur du monde. Mais aujourd’hui les perspectives dans le domaine de la high-tech seraient moins bonnes – une « incertitude économique quant à l’avenir proche » d’après Amazon. Et dans le secteur, 503 entreprises ont annoncé le licenciement de 139 000 salariés depuis le début 2023, Amazon bien sûr mais aussi #Google, #Paypal, #Yahoo, #Twitter, etc.

      Alors, pour Bezos, ces #licen­ciements sont un message envoyé aux investisseurs pour indiquer qu’il y a « un pilote dans l’avion » et qu’ils peuvent continuer à investir sans crainte dans son entreprise. Pour Bezos, qu’il y ait 10 000, 20 000 licenciements ou plus peut-être dans les mois qui viennent, ce n’est rien ; mais pour tous ces #travailleurs c’est un drame. D’autant plus que c’est sur leur travail et celui de tous les salariés d’Amazon, dans des conditions dénoncées partout et pour des #salaires de misère, que Jeff Bezos, devenant l’homme le plus riche du monde, a construit sa fortune. Estimée à 100 milliards de dollars, que ne sert-elle pas à maintenir les emplois chez Amazon ?

      #licenciement_de_masse

  • clochix 😾 : « Un PDF gratuit de 130 pages in… » - Framapiaf
    https://framapiaf.org/@clochix@mastodon.social/109649243490339462

    Un PDF gratuit de 130 pages intitulé «  Ne demande pas à ta mère, guide pour devenir un adulte, manger autre chose que des pâtes, trouver un boulot et faire sa lessive  ».
    https://1repas1euro.com/wp-content/uploads/2022/12/DPATM_compressed.pdf

    Mais pourquoi a-t-il fallu attendre 2023 pour que je tombe dessus  ? Pourquoi est-ce qu’on ne distribue pas ça à tous les ados  ?

    • C’est plutôt très bien fait oui. Mais comme dit un commentaire, c’est beaucoup de choses qui devraient être apprises par les parents durant l’éducation (dans le cas assez classique où on en a, et qu’on est pas brouillé avec). Et une partie qui devrait/pourrait parfaitement l’être dans le scolaire (notamment tous les trucs administratifs).

    • J’aurais bien aimé avoir ce type de guide quand je me suis retrouvé tout seul dans mon appart. Je ne savais pas faire grand chose et je me souviens de mon père qui plaisantait sur l’affaire, en mode « il ne sait même pas se faire cuire un oeuf » (spoiler : il n’est pas vraiment plus doué, encore aujourd’hui, il a toujours trouvé une femme pour lui faire à manger). A l’époque j’avais déjà pensé très fort que mes parents ne m’avaient pas appris grand chose, à part à ricaner de ne pas savoir faire.

    • #amazon

      pas plus tard qu’hier j’ai demandé à une jeune femme de retirer/charger/remettre la batterie d’une voiture sous ma supervision (je suis supermama) histoire qu’elle sache le faire. Il me semble qu’il faut toujours inviter à faire ensemble au moins une fois pour que le geste soit enregistré.

  • 2022, année de #crise pour une grande partie la tech.

    Au global, les 6 plus gros groupes tech américain (#Apple, #Netflix, #Amazon, #Microsoft, #Meta et #Alphabet) avaient déjà perdu fin octobre 3.300 milliards de dollars de #capitalisation_boursière. La #chute est particulièrement brutale pour Meta. Avec 312 milliards de $ fin décembre, Meta vaut désormais moins en #Bourse que des poids lourds de l’économie traditionnelle, comme #Procter_&_Gamble (361 milliards) ou le pétrolier #Chevron (343 milliards…).

    #krach #secteur_technologique

    Aux salariés de payer (la loi du capital) :

    Au total, plus de 152.000 employés de la tech ont été licenciés en 2022, tous pays confondus, selon l’agrégateur Layoffs.fyi.

    #licenciement_de_masse #licenciement (Les Échos)

  • Décision au Luxembourg : Amazon responsable pour la contrefaçon AFP
    https://www.lessentiel.lu/fr/story/amazon-responsable-pour-la-contrefacon-217680305284

    La Cour de justice de l’Union européenne (CJUE), saisie d’un litige opposant le chausseur français Louboutin et la plateforme Amazon, a ouvert la voie jeudi à une responsabilité d’Amazon dans la publicité et la vente de produits contrefaits.

    Elle estime qu’Amazon pourrait être considéré comme faisant lui-même l’annonce pour de faux produits Louboutin vendus sur son site par un vendeur tiers car l’utilisateur de la plateforme a l’impression que c’est Amazon qui commercialise le produit.


    « Amazon fait elle-même usage du signe enregistré par Louboutin lorsque l’utilisateur de son site a l’impression que c’est elle qui commercialise, en son nom et pour son compte, des escarpins de la marque », selon un communiqué de presse de la CJUE. Louboutin, connu pour ses escarpins à semelles rouges, avait introduit deux recours au Luxembourg et en Belgique contre Amazon concernant la vente de produits de contrefaçons sur le site.

    Aux juridictions nationales de trancher
    La CJUE ne tranche pas le litige. Il appartient à la juridiction nationale de résoudre l’affaire conformément à la décision de la Cour. Cette décision lie, de la même manière, les autres juridictions nationales qui seraient saisies d’un problème similaire.

    « Sur les sites Amazon paraissent régulièrement des annonces de vendeurs tiers relatives à des chaussures à semelles rouges. M. Christian Louboutin, un créateur français d’escarpins pour femme à talons hauts, dont la semelle extérieure de couleur rouge a fait la renommée, affirme qu’il n’a pas donné son consentement à la mise en circulation de ces produits », explique la CJUE.

    Louboutin soutient qu’Amazon a fait illégalement usage du signe de la semelle rouge « pour des produits identiques » aux siens et « insiste notamment sur le fait que les annonces litigieuses font intégralement partie de la communication commerciale d’Amazon ».

    L’impression que c’est Amazon qui commercialise
    La Cour estime dans son arrêt « qu’un tel exploitant peut effectivement être considéré comme faisant lui-même usage du signe identique à une marque de l’Union européenne, figurant dans l’annonce d’un vendeur tiers sur sa place de marché en ligne, lorsque l’utilisateur normalement informé et raisonnablement attentif de son site a l’impression que c’est cet exploitant qui commercialise, en son nom et pour son propre compte, les produits contrefaisants en cause ».

    Amazon affiche de façon uniforme ses propres annonces et celles de ses vendeurs tiers et appose un logo Amazon sur l’ensemble des annonces. La plateforme offre par ailleurs des « services supplémentaires à ces vendeurs tiers dans le cadre de la commercialisation de leurs produits, consistant notamment dans le stockage et l’expédition de leurs produits », souligne la Cour.

    Autant de circonstances qui peuvent rendre difficile la distinction entre Amazon et vendeurs tiers, estime la Cour, et « donner à l’utilisateur normalement informé et raisonnablement attentif l’impression que c’est Amazon qui commercialise, en son nom et pour son propre compte, les produits Louboutin offerts à la vente par des vendeurs tiers ».

    #amazon #commerce #économie #bénéfices #gigeconomy #esclavage

  • Frais de port minimum : guerre de tranchées entre Amazon et la librairie
    https://actualitte.com/article/109032/economie/frais-de-port-minimum-guerre-de-tranchees-entre-amazon-et-la-librairie

    La loi du 30 décembre 2021, dite « Loi Darcos », instaure un montant des frais de port minimum pour les envois de livres, mais son application dépend encore de l’avis rendu par la Commission européenne. Cette dernière a ouvert une consultation publique, pour informer au mieux ses observations. Le Syndicat de la librairie française invite les libraires à se mobiliser, alors que les auteurs autoédités et petites maisons d’édition, présents sur Amazon, descendent en flèche la proposition française.

    #Edition #Librairie #Amazon

  • Crise et licenciements à la Silicon Valley, les géants de la tech dans la tourmente Feriel Mestiri - RTS
    https://www.rts.ch/info/economie/13613479-crise-et-licenciements-a-la-silicon-valley-les-geants-de-la-tech-dans-l

    Chutes en bourse, licenciements collectifs et investissements fantasques, les géants de la Silicon Valley, que l’on disait plus puissants que des Etats, vivent une période agitée. Faut-il craindre une crise structurelle ?

    La région de San Francisco est sous le choc après les licenciements collectifs des géants de la Silicon Valley. Le premier à faire les gros titres était Twitter, début novembre. L’entreprise, qui perdait quelque 4 millions de dollars par jour, selon son nouveau patron Elon Musk, a renvoyé la moitié des employés. Soit 3700 personnes au total.

    Même les concierges se retrouvent sur le carreau. La RTS a rencontré Juana Laura Chavero Ramirez, une ex-concierge chez Twitter, parmi des manifestants devant le siège du groupe. Selon elle, la nouvelle entreprise de nettoyage les a remplacés par des travailleurs non-syndiqués : « Nous sommes 87 employés à nous retrouver sans travail dans cette période de Noël », déplore-t-elle dans le 19h30.

    Licenciement brutal
    Du côté des « cols blancs », Melissa Ingle est l’une des rares ingénieurs de Twitter à accepter de parler. Elle a compris qu’elle était licenciée juste avant Thanksgiving, lorsqu’une alerte est apparue sur son téléphone lui indiquant que son code d’accès avait été supprimé.

    Même pour la Silicon Valley, la méthode est brutale : « Des licenciements étaient sans doute inévitables. Mais d’autres entreprises le font de manière prudente et bien gérée. Ce que Monsieur Musk a fait, c’est sabrer la moitié des effectifs, sans réfléchir aux fonctions et aux talents des employés », souligne-t-elle.

    Chez Meta, des milliards mal investis
    Il n’y a pas que Twitter qui dégraisse ses effectifs. Meta, l’entreprise qui possède Facebook, Instagram et WhatsApp, congédie 11’000 personnes. Cela représente 13% de ses employés.

    En cause, notamment, des investissements hasardeux. Depuis le début de la pandémie, l’entreprise de Mark Zuckerberg a investi quelque 26 milliards de dollars, dont 10 dans le Metavers, un monde virtuel qui peine à séduire.

    Le boom temporaire d’Amazon durant la pandémie
    Amazon annonce également des coupes dans son personnel, de l’ordre de 10’000 licenciements. Tout comme ses congénères, ce géant de la vente en ligne vit une période d’ajustement, après la croissance qui a suivi le Covid.

    Selon Russell Hancock, le président de Joint Venture Silicone Valley, un bureau d’analyse sur l’économie de la Silicon Valley, « quand le monde entier s’est confiné, cela a créé une demande énorme pour les services des géants des nouvelles technologies. Ils ont pensé que ce serait la nouvelle norme. Mais aujourd’hui, alors que la pandémie se dissipe, on réalise que cette demande était temporaire », note-t-il.

    Crainte d’une perte de talents
    Pour San Francisco et sa région, on est loin du krach qui a succédé à l’explosion de la bulle internet du début des années 2000. La situation n’en reste pas moins critique, particulièrement pour les travailleurs expatriés.

    L’avocate Sophie Alcorn est en contact avec des ingénieurs indiens qui risquent l’expulsion : « S’ils sont renvoyés par leur employeur, ils ont une fenêtre de 60 jours pour trouver un nouvel emploi. S’ils n’y parviennent pas, ils doivent quitter le pays. »

    Cette vague de départs pourrait être dommageable pour les Etats-Unis, qui perdent des cerveaux parmi les plus brillants du monde.

    Un repli à relativiser
    A lire les gros titres annonçant des dizaines de milliers de licenciements, on pourrait craindre des faillites de géants de la tech à venir. Mais selon Benoît Bergeret, directeur exécutif du Metalab for data, technology and society à l’ESSEC Business School en France, la crise n’est pas d’une magnitude qui soit inquiétante sur le plan structurel :

    « Finalement, les 20’000 à 40’000 licenciements identifiés, sur les 900’000 emplois de la tech dans la Silicon Valley, ne représentent pas un pourcentage énorme », affirme-t-il, dans une interview accordée au podcast Le Point J.

    Si Twitter a effectivement sabré la moitié de ses effectifs, les 11’000 emplois supprimés chez Meta ne représentent « que » 13% des postes, tandis que les 10’000 personnes licenciées chez Amazon ne constituent qu’un petit pour cent des équipes.

    En d’autres termes, il ne s’agit pas d’un effondrement, mais bien d’un ralentissement du secteur, qui voit la fin d’un cycle d’hyper croissance.

    Entre les rentrées publicitaires en baisse, un contexte macroéconomique fragile, l’inflation et la concurrence de nouveaux acteurs comme le chinois TikTok, les entreprises de la Silicon Valley veulent désormais gagner en rentabilité pour rassurer les investisseurs. Alors elles écrèment.

    #économie #rentabilité #tech #silicon_valley #start-ups #Twitter #paradis_fiscaux #startup #méta #Metavers #multinationales #crise #bourse #multinationales #croissance #dividendes #rentabilité #San_Francisco #concierges #Amazon #cerveaux

  • Les banques françaises financent massivement la déforestation de l’Amazonie
    https://disclose.ngo/fr/article/les-banques-francaises-financent-massivement-la-deforestation-de-lamazonie

    Les banques françaises ont fourni plus de 743 millions d’euros à des géants de l’agroalimentaire responsables de la déforestation au Brésil. En tête de ces établissement : la BNP Paribas. Lire l’article

  • Amazon Alexa is a “colossal failure,” on pace to lose $10 billion this year | Ars Technica
    https://arstechnica.com/gadgets/2022/11/amazon-alexa-is-a-colossal-failure-on-pace-to-lose-10-billion-this-year

    Alexa has been around for 10 years and has been a trailblazing voice assistant that was copied quite a bit by Google and Apple. Alexa never managed to create an ongoing revenue stream, though, so Alexa doesn’t really make any money. The Alexa division is part of the “Worldwide Digital” group along with Amazon Prime video, and Business Insider says that division lost $3 billion in just the first quarter of 2022, with “the vast majority” of the losses blamed on Alexa. That is apparently double the losses of any other division, and the report says the hardware team is on pace to lose $10 billion this year. It sounds like Amazon is tired of burning through all that cash.

    • The report says that while Alexa’s Echo line is among the “best-selling items on Amazon, most of the devices sold at cost.” One internal document described the business model by saying, “We want to make money when people use our devices, not when they buy our devices.”

      That plan never really materialized, though. It’s not like Alexa plays ad breaks after you use it, so the hope was that people would buy things on Amazon via their voice. Not many people want to trust an AI with spending their money or buying an item without seeing a picture or reading reviews. The report says that by year four of the Alexa experiment, “Alexa was getting a billion interactions a week, but most of those conversations were trivial commands to play music or ask about the weather.” Those questions aren’t monetizable.

      C’est très intéressant à plusieurs titres. Mais l’un des points est ignoré par l’article : la théorie n’était pas qu’on allait monétiser les actions des usagers (par exemple prendre un pourcentage quand ils achètent quelque chose), mais utiliser les capacités de surveillance et d’intrusion de ces appareils pour monétiser le profil des consommateurs. Quand on pensait « a billion interactions a week », on ne pensait pas à ce que ces interactions produisent directement un revenu, mais que le stockage et l’analyse de ces milliards d’interactions permettrait de vendre des ciblages publicitaires redoutables.

      Apparemment : pas du tout. Est-ce que le business du profilage des usagers était, lui aussi, un truc qu’on nous a survendu pour faire monter les actions des GAFAM, et qui au final est loin d’être si rentable que ça ? (Le fait que Facebook se transforme en un truc de réalité virtuelle, alors que c’est en théorie l’un des réseaux les plus intimes, permettant de réaliser l’un des profilages les plus intrusifs, ça va certainement aussi dans ce sens : fliquer les gens n’est peut-être pas aussi rentable qu’on a bien voulu nous le dire – au-là du simple problème éthique, s’entend).

    • (Je ne me rappelle plus où j’ai lu un article sur une grosse boîte américaine qui a fait l’expérience de suppression totale de pub ciblée sur internet sans effet notable sur les visites et achats sur son site).

  • Hécatombe dans la Tech : plus de 130.000 licenciements en 2022 Sylvain Rolland - La Tribune
    https://www.latribune.fr/technos-medias/internet/hecatombe-dans-la-tech-plus-de-130-000-licenciements-en-2022-940762.html

    Après des licenciements chez Meta (Facebook), Snap, Twitter, Stripe, Uber ou encore #Salesforce, Amazon pourrait lui aussi renvoyer plus de 10.000 salariés dans le monde, d’après la presse américaine. Si le plan social du géant du e-commerce était confirmé, plus de 130.000 emplois auront été supprimés dans le secteur de la tech en 2022.

    A eux seuls, les cinq Gafam - Google, Apple, Facebook devenu Meta, Amazon et Microsoft - ont perdu 1.500 milliards de dollars de valorisation cette année. (Crédits : DADO RUVIC)
    A chaque semaine son plan social massif dans la tech. Au début du mois, le nouveau Twitter dirigé par Elon Musk annonçait 3.700 licenciements dans le monde, soit plus de 50% des effectifs de l’entreprise. La semaine suivante, Meta ( #Facebook, #Instagram, #WhatsApp) lui a emboîté le pas avec 11.000 suppressions d’emplois (13% des effectifs). Cette semaine, c’est au tour d’Amazon de se joindre au cortège macabre : d’après le New York Times , le numéro un mondial du commerce et ligne et du cloud s’apprête à se séparer de 10.000 employés. A qui le tour la semaine prochaine ?

    Plus de 131.000 licenciements dans la tech en 2022
    Si les plans sociaux des géants de la tech font les gros titres, le phénomène touche tout le monde, jusqu’à la petite startup. Au 15 novembre, plus de 121.400 emplois ont été supprimés dans 789 entreprises tech, d’après le décompte du site Layoffs.fyi https://layoffs.fyi . Dès qu’Amazon confirmera son plan social, ce total dépassera les 131.400 suppressions d’emplois, pour 790 entreprises. Ce chiffre est même certainement sous-évalué, puisqu’il se base uniquement sur des chiffres annoncés par les entreprises, certaines n’ayant certainement pas communiqué sur leurs réductions d’effectifs.

    A titre de comparaison, le record de suppressions d’emplois lors de l’éclatement de la bulle internet de 2000-2001 est largement dépassé : cette première grosse crise du secteur technologique avait engendré le licenciement de 107.000 personnes. Toutefois, la taille du secteur en 2022 n’a rien de comparable. Comme les chiffres sur la situation de l’emploi mondial dans la tech en 2001 manquent, il faut prendre la comparaison avec des pincettes , et ne pas oublier que 131.400 emplois en 2022 représentent une part beaucoup plus faible du total des emplois tech que les 107.000 poste supprimés de 2001.

    Cette année, les entreprises qui ont le plus licencié sont Meta (11.000 emplois) puis Amazon (10.000), #Uber (7.300 en mai), #Gettir (4480 en mai), #Booking.com (3.775 en juillet) et Twitter (3.700 en novembre). D’après le décompte, 34 entreprises ont effectué des plans sociaux d’au moins 1.000 salariés, dont #Shopify (1.000), #Stripe (1.000), #Yelp (1.000), #Lyft (1.682), #Airbnb (1.900) ou encore #Salesforce (2.000). Près de 400 grosses startups ont supprimé entre 100 et 1.000 postes.

    Proportionnellement au nombre d’employés, plus de 300 entreprises ont perdu au moins 30% de leur force de travail cette année. Parmi les géants de la tech, #Twitter (50%), #Groupon (44%) ou encore #Magic_Leap (1.000 suppressions soit 50%) sont les plus touchés. Au niveau des secteurs, tous sont touchés mais ceux de la crypto et de la finance ont particulièrement dégusté : 30% des emplois supprimés pour #Crypto.com, 27% pour #Bitpanda, 25% pour #Blockchain.com et 20% pour #Coinbase, entre autres, du côté des crypto ; 90% pour #ScaleFactor, 50% pour #Renmoney, 42% pour #Fundbox, 27% pour #Bolt, 23% pour #Robinhood, 10% pour #Klarna, entre autres, du côté des #fintech. Les startups dans la #foodtech, l’éducation, la santé, les transports ou le marketing ont aussi été très impactées.

    La tech avait aussi du gras à couper *
    Cet hiver de la tech -cune référence à la série Game of thrones et son fameux "winter is coming"c-, est la preuve que le secteur n’est pas insensible à la conjoncture de l’économie mondiale. Si les startups ont été les grandes gagnantes de la crise du Covid-19, qui a accéléré la transformation numérique de tous les secteurs d’activité, comme le reste de l’économie, les voilà rattrapées par le retour de l’inflation, l’explosion des taux d’intérêts, la crise de l’énergie et de ravitaillement en matières premières, ou encore les conséquences de la guerre en Ukraine.

    Alors que les valorisations des entreprises tech avaient explosé depuis 2020, les géants du secteur subissent depuis quelques mois une forte correction en Bourse. A eux seuls, les cinq #Gafam - #Google, #Apple, #Facebook devenu #Meta, #Amazon et #Microsoft - ont perdu 1.500 milliards de dollars de valorisation cette année. Par effet ricochet, la valorisation des #startups, qui avait atteint des niveaux délirants, chute lors des levées de fonds, entraînant des difficultés nouvelles pour les entrepreneurs. De leur côté, les fonds d’investissement réalisent moins de deals, prennent davantage de temps pour clôturer ceux qu’ils mènent à bien, et se montrent plus frileux, d’autant plus que leurs propres investisseurs tendent à privilégier des investissements moins risqués que la tech avec le relèvement des taux d’intérêts.

    Pour certaines entreprises, notamment les très grosses startups et les géants comme Amazon, Meta ou Snap (1.200 employés licenciés soit 20%), la correction paraît particulièrement violente. Mais c’est aussi parce qu’il y avait du gras à couper. Chez #Snap comme chez #Meta, les dirigeants ont taillé dans les divisions annexes pour se concentrer sur le cœur du business.

    De son côté, Amazon, par exemple, avait embauché à tour de bras pendant la pandémie pour répondre à l’explosion de la demande : son personnel mondial a doublé entre début 2020 et début 2022. D’après le New York Times, les postes visés par les réductions d’effectifs seront situés dans le département Amazon Devices (les appareils électroniques équipés de l’assistant vocal #Alexa ou encore les liseuses #Kindle ), dans la division de vente au détail, ainsi que dans les ressources humaines.

    • Amazon : 18 000 licenciements annoncés
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/01/11/amazon-18-000-licenciements-annonces_467573.html

      Après le milliardaire de Tesla, Elon Musk, #Jeff_Bezos a lui aussi subi une dégringolade du cours de ses actions et perd 100 milliards de dollars depuis le 1er janvier. Résultat : il vient lui aussi d’annoncer un plan de 18 000 #licenciements dans le monde.

      Il a suffi de l’annonce d’une légère baisse de ses activités, et donc ensuite d’une possible légère baisse des #dividendes, pour assister à cette dégringolade de plus de moitié du cours des actions d’Amazon en un an, soit 1000 milliards de dollars de capitalisation. Dans ces circonstances, Bezos recourt à l’annonce de licenciements massifs, qui devrait faire revenir vers lui l’argent des « investisseurs ».

      Les problèmes des salariés jetés à la rue ne sont pas un paramètre qui compte dans les calculs financiers des milliardaires. C’est le travail des centaines de milliers de salariés du groupe, mal payés, avec de conditions de travail exténuantes, qui fait monter jusqu’au ciel la fortune de Bezos, devenu l’homme le plus riche du monde. Aujourd’hui ceux qu’il menace de licenciement ont toutes les raisons de faire payer ce capitaliste qui possède encore en propre près de 100 milliards de dollars.

  • « Une grande partie de l’Amazonie pourrait ne jamais se reconstituer »

    La destruction de l’environnement dans certaines parties de l’Amazonie est si complète que des pans entiers de la forêt tropicale ont atteint le point de basculement et pourraient ne jamais pouvoir se reconstituer, selon une importante étude menée par des scientifiques et des organisations indigènes.

    « Le point de basculement n’est pas un scénario pour l’avenir mais plutôt un stade déjà présent dans certaines zones de la région », conclut le rapport. « Le Brésil et la Bolivie concentrent 90% de la déforestation et de la dégradation combinées. Par conséquent, la savanisation [transformation d’une région en savane] est déjà en cours dans ces deux pays. »

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/11/01/une-grande-partie-de-lamazonie-pourrait-ne-jam

    #international #brésil #amazonie

  • Tencent shifts focus to majority deals, overseas gaming assets for growth | Reuters
    https://www.reuters.com/markets/deals/tencent-shifts-focus-majority-deals-overseas-gaming-assets-growth-sources-2

    Tencent Holding Ltd (0700.HK) has for years invested in hundreds of up-and-coming businesses, mainly in the onshore market. It has typically acquired minority stakes and stayed invested as a passive financial investor.

    However, it is now aggressively seeking to own majority or even controlling stakes in overseas targets, notably in gaming assets in Europe, the four people with direct knowledge of the matter told Reuters.

    The shift comes as the world’s number one gaming firm by revenue is counting on global markets for its future growth, which requires a strong portfolio of chart-topping games, the sources aid.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #business #finance #tencent #acquisitions #rachat #chine #europe #métavers #wechat #james_mitchell #microsoft #amazon #sony #ubisoft #fromsoftware #sumo #jeu_vidéo_clash_of_clans #suspercell #frontier_developments

  • 🛑 🌍 ★ #écologie #environnement #climat #dereglementclimatique #Amazonie #déforestation #Anticapitalisme #décroissance

    L’Amazonie est irréversiblement détruite à 26 %, annoncent des dirigeants indigènes...

    « L’Amazonie se trouve à un point de non-retour à cause des taux élevés de déforestation et de dégradation, indique un rapport présenté lors du 5e sommet des Peuples indigènes réuni à Lima (...) »

    https://www.nouvelobs.com/ecologie/20220907.OBS62863/l-amazonie-est-irreversiblement-detruite-a-26-annoncent-des-dirigeants-in

  • Un quart de l’Amazonie « irréversiblement détruit »
    https://www.lefigaro.fr/flash-eco/26-de-l-amazonie-irreversiblement-detruite-avertissent-des-chefs-indigenes-

    « Alerte rouge » en Amazonie : 26% de l’écosystème du poumon vert de la planète est irréversiblement détruit à cause de la déforestation, du narcotrafic et de la contamination, ont averti mardi 6 septembre des dirigeants indigènes réunis à Lima, au Pérou.

    Oué, mais les gens qui savent te diront que c’est pour produire de la valeur.

  • Macron, Amazon et Google : des documents que l’Élysée a voulu garder « secrets » démontrent une grande proximité
    Alexandre Léchenet | 13 juillet 2022 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/130722/macron-amazon-et-google-des-documents-que-l-elysee-voulu-garder-secrets-de

    Au nom du secret des affaires, l’Élysée avait refusé de transmettre à Mediapart les échanges entre les lobbyistes d’Amazon, Google et autres géants du numérique avec la présidence de la République. Le tribunal administratif nous a cependant donné raison et nous venons d’avoir accès à ces échanges, qui montrent la construction permanente d’un discours commun. Tout comme chez Uber, un lobbyiste d’Amazon a même œuvré pour la campagne d’Emmanuel Macron en 2017. (...)

    #Emmanuel_Macron #lobbying #lobby #fraude_fiscale #optimisation_fiscale

  • La nature des Amérindiens
    https://laviedesidees.fr/La-nature-des-Amerindiens.html

    À propos de : Stéphen Rostain, La forêt vierge d’Amazonie n’existe pas, Le Pommier. On se trompe beaucoup sur l’Amazonie. On y voit une forêt première et sauvage, alors qu’elle est l’objet d’une gestion raisonnée par les Amérindiens de leur environnement. La biodiversité est aussi le produit de nos efforts.

    #International #biodiversité #écologie #déforestation
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/cr_rostain_2.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/figures_pour_.docx

  • Nintendo hit with National Labor Relations Board complaint
    https://www.axios.com/2022/04/19/nintendo-nlrb-complaint

    An unnamed worker is alleging that Nintendo, and a firm it uses for hiring contractors, violated their legally protected right to unionize, according to a new filing with the National Labor Relations Board.

    Nintendo Of America Workers Speak Up After Years Of Silence
    https://kotaku.com/nintendo-america-switch-employee-treatment-unionize-nlr-1848828975

    A union-busting complaint recently filed with the National Labor Relations Board accused Nintendo of America and contract worker agency Aston Carter of surveillance, retaliation, and other unfair labor practices. According to four sources familiar with the incident, that complaint, first reported by Axios, comes after a part-time employee spoke about unions in a business meeting and was later fired mid-contract. In an unprecedented move, others are now speaking up about feeling disrespected and exploited at the notoriously secretive Mario maker.

    Nintendo contractors say company unfairly exploits temporary workers
    https://www.axios.com/2022/05/12/nintendo-contractors-investigation

    Driving the news: Current and former Nintendo contractors have been speaking up over the past three weeks, since Axios first reported a complaint filed with the National Labor Relations Board against Nintendo and a contracting firm.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #nintendo #nintendo_of_america #noa #business #ressources_humaines #syndicalisme #aston_carter #national_labor_relations_board #activision_blizzard #raven_software #licenciement #confidentialité #secret_des_affaires #jeu_vidéo_mario #jeu_vidéo_zelda #travail_temporaire #précarité #jeu_vidéo_call_of_duty_warzone #amazon #starbucks #jelena_džamonja #parker_staffing #assurance_qualité #console_nes #nintendo_seal_of_quality #jeu_vidéo_super_mario #shigeru_miyamoto #reggie_fils-aimé #travail_précaire #assurance_santé #heures_supplémentaires #mario_time #don_james #jeu_vidéo_the_legend_of_zelda #console_wii_u #micromanagement #elisabeth_pring #microsoft_teams #aston_carter #console_switch #console_nintendo_switch

  • Voici comment nous avons battu Amazon ! | Angelika Maldonado et Eric Blanc
    https://www.contretemps.eu/syndicat-victoire-amazon-staten-island-exploitation

    Après des décennies de déclin syndical, les travailleurs d’Amazon à Staten Island ont remporté la plus importante victoire syndicale aux États-Unis depuis les années 1930. La campagne de syndicalisation victorieuse à l’entrepôt JFK8 ait été initiée par l’Amazon Labor Union (ALU), une initiative novatrice, indépendante et dirigée par les travailleurs et travailleuses. Pour raconter cette histoire peu de personnes sont mieux placées qu’Angelika Maldonado, la présidente du comité des travailleurs de l’ALU, âgée de 27 ans. Source : Contretemps

  • Amazon conteste la création de son premier syndicat aux Etats-Unis
    https://www.lemonde.fr/international/article/2022/04/08/amazon-conteste-la-creation-de-son-premier-syndicat-aux-etats-unis_6121137_3

    Amazon estime que le petit groupe de syndicalistes, qui a remporté un vote historique à New York la semaine dernière, a « menacé » les employés de son entrepôt pour les forcer à voter en faveur de la création d’un syndicat.

    D’après des documents officiels déposés jeudi auprès de l’agence fédérale chargée du droit du travail (NLRB), Amazon a demandé plus de temps pour soumettre des objections étayées au scrutin. Le géant du commerce en ligne accuse notamment des militants de l’ALU d’avoir « intimidé » des salariés.

    Dans son recours, Amazon entend développer plusieurs objections. L’entreprise considère que l’ALU a « menacé des employés pour les forcer à voter oui », que l’ALU a « fait campagne auprès des employés dans la file d’attente pour voter  » ou les a « intimidés », et aussi que des militants de l’ALU « ont menacé des immigrants » en avançant le risque qu’ils perdent « leurs avantages sociaux s’ils ne votaient pas en faveur du syndicat ».

    « C’est absurde », a réagi l’avocat Eric Milner au nom du syndicat. « Les employés se sont exprimés et leurs voix ont été entendues. Amazon choisit (…) de retarder le processus pour éviter l’inévitable : la négociation d’un contrat d’entreprise ».

    Deuxième employeur aux Etats-Unis après Walmart (distribution), le groupe avait depuis sa création, en 1994, réussi à repousser les velléités des salariés souhaitant se regrouper dans le pays.
    « Amazon a dépensé des millions en consultants anti-syndicats, Amazon a organisé des réunions obligatoires, Amazon s’est comporté de manière menaçante, Amazon a licencié, illégalement, des employés pour avoir tenté de se syndicaliser », a ajouté Eric Milner.

    Vote serré dans l’Alabama

    Le Syndicat national de la distribution (RWDSU) fait des reproches similaires à Amazon dans le cadre d’un scrutin sur la syndicalisation d’un autre entrepôt, à Bessemer, dans l’Alabama. Le vote est terminé, mais pas le décompte : le non mène avec 993 bulletins, contre 875 oui, mais il reste 416 bulletins dits « disputés , qui décideront du résultat. Une audience doit décider dans les prochaines semaines si ces bulletins doivent être ouverts et pris en compte. Il pourrait ensuite y avoir d’autres recours légaux.

    En attendant, le RWDSU a déjà déposé jeudi une série d’objections auprès du NLRB sur le comportement d’Amazon, qu’il accuse d’ingérence. Selon l’organisation, les manageurs d’Amazon ont, par exemple, interdit les discussions sur le vote dans l’entrepôt, ainsi que les prospectus pro-syndicats dans les espaces de repos, tout en autorisant la documentation anti-syndicats.

    « L’employeur a instillé la confusion, la coercition et la peur des représailles chez les employés », affirme le RWDSU dans son communiqué.

    Dans l’Alabama, le NLRB doit organiser une audition sur ce recours du syndicat. Le vote qui s’est tenu en mars, par correspondance, a été organisé après l’annulation de celui d’il y a un an qui avait rejeté la création d’un syndicat. L’agence fédérale avait, en effet, estimé qu’Amazon avait enfreint les règles.

    #Amazon #syndicalisation

  • La messagerie interne d’Amazon interdira les mots « syndicat » et « injuste »
    https://www.nextinpact.com/lebrief/68852/la-messagerie-interne-damazon-interdira-mots-syndicat-et-injuste

    La nouvelle application de messagerie interne d’Amazon interdira des mots comme « syndicat », « augmentation de salaire », « travail d’esclave » ou « c’est stupide », révèlent des documents examinés par The Intercept.

    L’objectif principal du programme serait de « favoriser le bonheur des travailleurs, ainsi que leur productivité ». De façon somme toute « orwellienne », Amazon y inclut un « contrôleur automatique des mauvais mots » constitué d’une liste noire destinée à signaler et empêcher automatiquement les employés d’envoyer un message contenant certains mots clés inappropriés.

    En plus des grossièretés, on y trouve de nombreux termes pertinents, comme « éthique », « injuste », « liberté », « indemnisation », « harcèlement » ou encore « ceci est préoccupant ».

    Un porte-parole d’Amazon précise que l’application est au stade de l’expérimentation, et que « beaucoup » de ces mots-clefs seront à terme éliminés : « les seuls types de mots qui peuvent être filtrés sont ceux qui sont offensants ou harcelants, afin de protéger nos équipes. »

    Ces révélations surviennent alors qu’un centre de distribution à New York est devenu le premier site d’Amazon à se doter d’un syndicat. « Doté d’un budget de 120 000 dollars seulement, l’Amazon Labour Union a en effet réussi à vaincre le mastodonte de 1 500 milliards de dollars, qui avait par ailleurs dépensé 4,3 millions de dollars en consultants antisyndicaux rien qu’en 2021 », ajoutent nos confrères.

    #Amazon #Orwell #Surveillance #Psychologie_comportementale #Syndicat