• “Ciò che è tuo è mio”. Fare i conti con la violenza economica

    In Italia una donna su due ha subito violenza economica. WeWorld ha raccolto in un dettagliato report le storie di donne vittime di questa forma di abuso che colpisce in modo particolare chi subisce forme multiple di discriminazione legate all’età, al background migratorio o a una condizione di disabilità.

    “Ogni mese lui mi portava alle Poste, mi faceva prelevare tutti i soldi della mia pensione di 550 euro in contanti e poi pagare le bollette. Se rimanevano dei soldi, anche cinquanta euro, lui li prendeva. Nella vita di tutti i giorni io non avevo controllo su nulla: ogni volta dovevo giustificare come spendevo. Veniva sempre con me e decideva che cosa potessi acquistare e cosa no. Soprattutto per le spese alimentari. Non mi lasciava mai più di uno o due euro nel borsellino per bere un caffè o fare delle stampe”.

    Anna (nome di fantasia) è una donna di 55 anni che ha deciso di lasciare il marito dopo dieci anni di violenze fisiche, sessuali e psicologiche. Una relazione segnata anche da una forma di abuso che ancora troppo spesso viene sottovalutata: quella economica. La donna, che da una quindicina d’anni è in carico al Centro di salute mentale di Bologna per depressione, doveva chiedere il permesso al marito per ogni singola spesa, comprese quelle sanitarie: “Tutte quelle per la mia cura personale dovevano passare per una contrattazione perché non aveva piacere che spendessi. Per più di dieci anni ho chiesto di potermi fare sistemare i denti, ma lui non ha mai acconsentito. Nel 2020 gli ho fatto vedere che uno dei miei ponti in bocca era saltato e allora ha acconsentito, ma non ha mai pagato tutto. Quindi sono rimasta con i lavori a metà”.

    Quella di Anna è una delle diverse testimonianze raccolte dalla Ong WeWorld all’interno degli “Spazi donna” attivi in diverse città italiane (Milano, Napoli, Bologna, Brescia, Roma, Pescara e Cosenza) e contenute nel report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne con l’obiettivo di fare luce su questa forma di abuso.

    Il rapporto unisce alle testimonianze un’indagine inedita realizzata da WeWorld in collaborazione con Ipsos, da cui emerge che il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le divorziate e le separate. Più di una donna separata o divorziata su quattro (il 28%) ha affermato di aver subito le decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata in precedenza. A una su dieci il marito o il compagno ha vietato di lavorare.

    Dai dati e dalle storie raccolte emerge poi come “gli abusi economici abbiano una natura trasversale, ma colpiscano maggiormente quelle persone che subiscono forme cumulative di discriminazione: donne molto anziane o molto giovani, con disabilità o dal background migratorio -commenta Martina Albini, coordinatrice del centro studi WeWorld-. E ha radici ben precise in sistemi socioculturali maschio-centrici e patriarcali che alimentano asimmetrie di potere”.

    Una delle definizioni più riportate nella letteratura scientifica identifica questa forma di violenza come “tutti i comportamenti volti a controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche”. Viene agita prevalentemente all’interno di relazioni intime o familiari ed è raro che avvenga singolarmente: tende infatti a essere parte di un più ampio ciclo di violenza fisica, psicologica e sessuale. “Le donne -si legge nel report– hanno maggiori probabilità di subirla perché sono proprio quei sistemi economici e sociali basati sul controllo maschile a favorirla”.

    Esemplificativa, in questo caso, è la vicenda di una giovane di origini sudamericane che si è rivolta allo “Spazio donna” del quartiere Corvetto di Milano. Ha conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo marito mentre frequentava l’università, nel volgere di poco tempo la coppia è andata a convivere ed è nata una bambina: la neomamma è stata quindi costretta a interrompere gli studi: “Tutte le decisioni economiche in casa spettavano a lui, io non pensavo a questi aspetti: non pensavo fossero cose importanti e lasciato che lui si prendesse la responsabilità -racconta-. Anche il bonus statale per la nascita della bambina l’ha preso lui, io non avevo nulla, né conto bancario né Poste Pay. Mi aveva detto che aprire un altro conto corrente non era conveniente”.

    Come avviene per altre forme di violenza, anche quella economica affonda le proprie radici nelle disuguaglianze di genere, nelle aspettative di ruoli tradizionali (la donna che rinuncia al lavoro per prendersi cura della casa e dei figli). Sempre dal sondaggio realizzato da Ipsos per WeWorld, infatti, emerge come il 15% degli intervistati pensi che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne. Mentre il 16% degli uomini ritiene sia giusto che sia il marito o il compagno a comandare in casa.

    Per inquadrare meglio questo fenomeno può essere utile anche fare riferimento ad altri dati che mettono in evidenza la particolare fragilità della popolazione femminile: in Italia il 21,5% delle donne si trova in una condizione di dipendenza finanziaria. E il maggiore carico di cura familiare può costituire un fattore di rischio: prendersi cura della casa a dispetto dell’accesso al mondo del lavoro retribuito incrementa del 25,3% la probabilità di essere vittima di violenza economica. Un altro indicatore preoccupante è il fatto che il 37% delle donne italiane non possiede un conto corrente.

    In altre parole: nel nostro Paese sono ancora troppe le donne che non hanno adeguate competenze finanziarie, considerano “troppo complessi” questi temi e si affidano completamente alle scelte del partner. Oppure hanno sempre dato per scontato che dovessero essere gli uomini a occuparsi di gestire i bilanci familiari. “All’inizio della relazione con mio marito era mio padre a pensare agli aspetti economici in modo da non farmi mancare nulla -racconta una donna che si è rivolta allo “Spazio donna” di Scampia, periferia di Napoli-. Pensavo che fosse quella la normalità. Io non ricevevo soldi, se si doveva fare la spesa andavamo assieme ed è capitato che, a volte, al momento del pagamento lui era fuori a fumare e io facevo passare avanti le persone, perché non potevo pagare senza di lui. Queste piccole cose erano la normalità”.

    Il report di WeWorld evidenzia poi come le esperienze di violenza economica possono essere diverse e sfaccettate tra loro, a seconda dei contesti in cui si inseriscono, e si manifestano in modi differenti. A partire dal controllo economico: l’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale, ad esempio monitorando le spese o facendo domande su come questa ha speso i propri soldi. Le donne possono anche essere vittima di sfruttamento economico all’interno della relazione di coppia (il partner ruba denaro, beni o proprietà, oppure costringe la vittima a lavorare più del dovuto) o di sabotaggio quando l’autore della violenza le impedisce di cercare, ottenere o mantenere un lavoro o un percorso di studi.

    Tutto questo ha gravi conseguenze sulla vita delle donne, non solo nel momento in cui vivono all’interno di una relazione violenta e che limita la loro libertà di autodeterminarsi, ma anche dopo che ne sono uscite. L’autonomia economica, infatti, rappresenta un elemento essenziale nella decisione della vittima di lasciare un partner violento, come emerge da uno studio condotto negli Stati Uniti: il 73% delle vittime di violenza economica intervistate ha riferito di essere rimasta con l’aggressore a causa di preoccupazione finanziarie per mantenere sé stessa o i propri figli.

    “L’impossibilità di allontanarsi dal compagno violento per mancanza di risorse economiche le espone inevitabilmente a ulteriori abusi -si legge nel report-. È stato dimostrato che questo rischio è maggiore tra le donne con uno status economico elevato rispetto agli uomini e nelle società in cui le donne hanno iniziato a entrare nel mondo del lavoro, poiché l’emancipazione femminile interviene come elemento di ‘disturbo’ nel contesto coercitivo instaurato dal partner violento”.

    Altrettanto gravi sono le conseguenze economiche indirette di lunga durata, che si ripercuotono sulla vita delle vittime anche quando si è conclusa la relazione abusante: l’impossibilità di studiare e il mancato inserimento nel mondo del lavoro, ad esempio, rendono più difficile per queste donne trovare un lavoro che permetta di mantenere sé stesse e i propri figli. Non hanno quindi nemmeno risparmi a cui poter attingere e spesso sono costrette a chiedere aiuto a familiari e conoscenti per sostenere le spese legali durante la fase di separazione.

    Uscire da queste situazioni di violenza è possibile, come dimostra la vicenda della donna che si è rivolta allo “Spazio donna” di Scampia e che, attraverso il supporto offerto dalle operatrici, ha potuto avviare prima un percorso di auto-consapevolezza della propria situazione e successivamente uno di formazione professionale. “Quando ho realizzato cosa stessi subendo non sono stata più bene, perché nel momento in cui ti rendi conto che hai speso anni di vita pensando di non meritare e precludendoti qualsiasi cosa, stai male -racconta la donna-. Mi sono sentita come una bomba che esplode”. Questa consapevolezza ha fatto maturare una voglia di riscatto unita all’esigenza di fare qualcosa per sé stessa e di costruirsi una professionalità. Ha seguito un corso di cucito e ha avviato una piccola attività sartoriale: “Questo ha naturalmente cambiato il mio rapporto di coppia perché è cambiata la mia mentalità: ora se dico a mio marito che voglio uscire, anche se sa che ho i soldi, mi dice di prendere quello che mi serve. Ora siamo separati in casa, ma se potessi me ne andrei. Sono molto diversa da quella che ero prima e voglio fare il mio lavoro, mi fa stare bene, è una fonte di guadagno, e se io devo andare a lavorare ora non ho problemi a dire a mio marito di prepararsi da mangiare da solo perché io sono impegnata”.

    https://altreconomia.it/cio-che-e-tuo-e-mio-fare-i-conti-con-la-violenza-economica
    #violence_économique #genre #femmes #hommes #violence #Italie #intersectionnalité #rapport #patriarcat #dépendance_financière #compte_bancaire #contrôle_économique #autonomie_économique #travail

    • “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica”: il nostro report sulla violenza economica sulle donne in Italia

      Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le donne divorziate o separate; più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima. Eppure, la violenza economica è considerata “molto grave” solo dal 59% dei cittadini/e.

      Sono alcune delle evidenze del report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il rapporto vuole fare luce su una delle forme di violenza contro le donne più subdola e meno conosciuta, concentrandosi sui risultati dell’indagine inedita realizzata insieme a Ipsos per valutare la percezione di italiani e italiane della violenza contro le donne e, in particolare, della violenza economica e dell’esperienza diretta.

      Un tempo considerata una forma di abuso emotivo o psicologico, oggi la violenza economica è riconosciuta come un tipo distinto di violenza, con cu si intendono tutti i comportamenti per controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche. Questo tipo di violenza viene messo in atto soprattutto all’interno di relazioni intime e/o familiari e spesso la violenza economica è parte di un più ampio ciclo di violenza intima e/o familiare (fisica, psicologica, sessuale, ecc.).

      LA VIOLENZA ECONOMICA IN ITALIA: I DATI DELL’INDAGINE

      Relazione tra violenza di genere e stereotipi

      - Più di 1 italiano/a su 4 (27%) pensa che la violenza dovrebbe essere affrontata all’interno della coppia.
      - Il 15% degli italiani/e pensa che la violenza sia frutto di comportamenti provocatori delle donne.
      – Il 16% degli uomini, contro il 6% delle donne, pensa che sia giusto che in casa sia l’uomo a comandare.

      L’immagine sociale delle diverse forme di violenza

      - Per 1 italiano/a su 2 la violenza sessuale è la forma più grave di violenza contro le donne.
      - La violenza economica è considerata molto grave solo dal 59% dei cittadini/e.
      – Per il 9% delle donne separate o divorziate, contro il 3% dei rispondenti, gli atti persecutori (stalking) rappresentano la forma più grave di violenza.

      La violenza economica

      - Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito nella vita almeno un episodio di violenza economica. Il 67% tra le donne separate o divorziate.
      - 1 donna su 10 dichiara che il partner le ha negato di lavorare.
      – Più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal suo partner senza essere stata consultata prima.
      – Quasi 1 italiano/a su 2 ritiene che le donne siano più spesso vittime di violenza economica perché hanno meno accesso degli uomini al mercato del lavoro.

      La situazione economica nei casi di separazione e divorzio

      - Dopo la separazione/divorzio, il 61% delle donne riporta un peggioramento della condizione economica.
      - Il 37% delle donne separate o divorziate dichiara di non ricevere la somma di denaro concordata per la cura dei figli/e.
      - 1 donna separata o divorziata su 4 avverte difficolta a trovare un lavoro con un salario sufficiente al suo sostentamento.

      L’educazione per contrastare la violenza economica

      - La quota di donne che non si sentono preparate rispetto ai temi finanziari è più del doppio di quella degli uomini (10% vs 4%).
      – Quasi 9 italiani/e su 10 (88%) sostengono che bisognerebbe introdurre programmi di educazione economico-finanziaria a partire dalle scuole elementari e medie.
      – Quasi 9 italiani/e su 10 (89%) pensano che bisognerebbe introdurre programmi di educazione sessuo-affettiva a partire dalle scuole elementari e medie.

      ”Dietro ai dati raccolti in questa indagine si trovano storie vere, voci di donne che hanno subito violenza economica e che vogliono raccontarla. Per questo abbiamo voluto inserire nel rapporto testimonianze dai nostri Spazi Donna WeWorld. Da qui emerge come gli abusi economici abbiano una natura trasversale, ma colpiscano maggiormente persone che subiscono forme cumulative di discriminazione: donne molto anziane o molto giovani, con disabilità o dal background migratorio”, commenta Martina Albini, Coordinatrice Centro Studi di WeWorld. “La violenza economica, come tutti gli altri tipi di violenza, ha radici ben precise in sistemi socioculturali maschio-centrici e patriarcali che alimentano asimmetrie di potere. Per questo è necessario un approccio trasversale che sappia sia includere gli interventi diretti, sia stimolare una presa di coscienza collettiva a tutti i livelli della società”.

      VIOLENZA ECONOMICA: I COMPORTAMENTI

      Le esperienze di violenza economica possono essere particolarmente complesse e sfaccettate a seconda dei contesti in cui si inseriscono: ad esempio, gli autori di violenza possono agire comportamenti abusanti culturalmente connotati nel Nord o Sud globale.

      I principali tipi di violenza economica identificati dalle evidenze in materia si distinguono in:

      – CONTROLLO ECONOMICO: L’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale. Questo include, tra le altre cose, fare domande alla vittima su come ha speso il denaro; impedire alla vittima di avere o accedere al controllo esclusivo di un conto corrente o a un conto condiviso; monitorare le spese della vittima tramite estratto conto; pretendere di dare alla vittima la propria autorizzazione prima di qualsiasi spesa.
      - SFRUTTAMENTO ECONOMICO: L’autore della violenza usa le risorse economiche e finanziarie della vittima a suo vantaggio. Ad esempio rubando denaro, proprietà o beni della vittima; costringendo la vittima a lavorare più del dovuto (per più ore, svolgendo più lavori, incluso il lavoro di cura, ecc.); relegando la vittima al solo lavoro domestico.
      – SABOTAGGIO ECONOMICO: L’autore della violenza impedisce alla vittima di cercare, ottenere o mantenere un lavoro e/o un percorso di studi distruggendo, ad esempio, i beni della vittima necessari a lavorare o studiare (come vestiti, computer, libri, altro equipaggiamento, ecc.); non prendendosi cura dei figli/e o di altre necessità domestiche per impedire alla vittima di lavorare e/o studiare; adottando comportamenti abusanti in vista di importanti appuntamenti di lavoro o di studio della vittima.

      CONTRASTO ALLA VIOLENZA ECONOMICA: LE PROPOSTE DI WEWORLD

      Grazie all’esperienza maturata in dieci anni di intervento a sostegno delle donne e dei loro diritti, abbiamo sviluppato una serie di proposte per contrastare la violenza economica:

      PREVENIRE

      – Introduzione di curricula obbligatori di educazione sessuo-affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado a partire dalla scuola dell’infanzia.
      – Introduzione di curricula obbligatori di educazione economico-finanziaria nelle scuole a partire dalla scuola primaria.
      – Campagne di sensibilizzazione multicanale e rivolte alla più ampia cittadinanza che individuino il fenomeno e le sue specificità.

      (RI)CONOSCERE E MONITORARE

      – Adozione di una definizione condivisa di violenza economica che ne specifichi i comportamenti.
      - Attuazione della Legge 53/2022, riservando attenzione alla raccolta e monitoraggio di dati sul fenomeno della violenza economica e su altri dati spia (condizione di comunione/separazione dei beni, presenza o meno di un conto in banca, condizione occupazionale, titolo di studio, presenza o meno di immobili o beni intestati, ecc.)

      INTERVENIRE

      - Maggiori e strutturali finanziamenti al reddito di libertà (sostegno economico per donne che cercano di allontanarsi da situazioni di violenza e sono in condizione di povertà) integrato a politiche abitative e del lavoro più solide e inclusive
      – Attività di prevenzione ed empowerment femminile che possano integrare l’operato della filiera dell’antiviolenza attraverso presidi territoriali permanenti.
      – Allargamento della filiera dell’antiviolenza a istituti finanziari con ruolo di “sentinella”.

      Pour télécharger le rapport:
      https://ejbn4fjvt9h.exactdn.com/uploads/2023/11/CIO-CHE-E-TUO-E-MIO-previewsingole-3.pdf

      https://www.weworld.it/news-e-storie/news/cio-che-e-tuo-e-mio-fare-i-conti-con-la-violenza-economica-il-nostro-report-
      #sabotage_économique #WeWorld

  • Face à l’intensification du travail, les jeunes plongent dans un malaise profond : « Je m’enfonçais dans le travail, je n’avais plus de distance »


    PAUL BOUTEILLER

    Tâches absurdes, rythme intense, précarité de l’emploi, absence de seniors pour les guider… les transformations du monde professionnel génèrent de la souffrance chez les jeunes salariés. Le nombre d’arrêts-maladie explose chez les moins de 30 ans.

    Lorsque Robin (certains prénoms ont été modifiés) se rend chez son médecin, courant 2022, il ne pense pas en ressortir avec un #arrêt_de_travail. A seulement 27 ans, cette option ne semble même pas pouvoir traverser l’esprit de ce chef de projet dans une agence de création de sites Web. « J’avais poussé la porte de son cabinet pour avoir des somnifères, dans l’espoir de retrouver le sommeil et de continuer à fonctionner au boulot. » Mais le fait est qu’il ne peut plus continuer, l’alerte alors le professionnel de #santé. Robin a été essoré par le surcroît de travail dans la start-up où il est salarié, qui connaît alors une croissance fulgurante, au point d’avoir vu ses effectifs tripler en quelques mois et son portefeuille clients s’étoffer plus encore.

    Face à la pression mise sur son équipe, très jeune comme lui et peu accompagnée par des seniors, il a développé des symptômes d’anxiété professionnelle de plus en plus invalidants. Sans « les outils adéquats » et surtout « sans le temps nécessaire » pour répondre aux demandes grandissantes de #clients au profil nouveau, il passe ses nuits à se repasser les difficultés éprouvées dans la journée, et se rend le matin au travail la boule au ventre. Avant son arrêt, il se surprend à fondre en larmes à plusieurs reprises après des rendez-vous clients. « Dans le bureau du médecin, j’ai mesuré que la situation avait vraiment dérapé », souffle Robin, qui a dû être arrêté durant un mois.

    Etre contraints de se mettre sur pause dès le début de leur vie professionnelle : de nombreux jeunes diplômés y sont désormais confrontés. La santé au travail se dégrade ces dernières années, et en particulier pour les plus jeunes. Alors que le nombre d’arrêts-maladie atteignait un niveau record en 2022, comme le constataient deux études parues cet été, la progression la plus frappante concerne en effet les moins de 30 ans. Selon l’une d’elles, publiée par le cabinet de conseil WTW en août à propos du secteur privé, le taux d’absentéisme – un indicateur RH qui prend (notamment) en compte les #arrêts-maladie, les #accidents_de_travail, les #absences_injustifiées – dans cette tranche d’âge a augmenté de 32 % en quatre ans, avec un bond important chez les cadres.

    Si aucune de ces études ne détaille les motifs de ces absences, la Sécurité sociale note que les premières causes des arrêts longs prescrits en 2022 relevaient de troubles psychologiques, comme l’anxiété, la dépression ou l’épuisement. Et, en la matière, d’autres enquêtes concordent : les jeunes sont bien touchés de plein fouet par une dégradation. Chez les 18-34 ans, les arrêts liés à la souffrance au travail ont ainsi bondi de 9 %, en 2016, à 19 %, en 2022, selon un baromètre du groupe mutualiste Malakoff Humanis. La consommation de somnifères, d’anxiolytiques ou d’antidépresseurs par les salariés de moins de 30 ans a également doublé entre 2019 et 2022, précise cette étude.

    https://www.lemonde.fr/campus/article/2023/10/30/face-a-l-intensification-du-travail-les-jeunes-plongent-dans-un-malaise-prof
    https://archive.ph/yNJPw

    #précaires #présentéisme #management #intensification_du_travail #sous-effectifs #télétravail #concurrence #isolement #travail #précarité_de_l’emploi #emploi #santé_au_travail #violence_économique

  • Così la fine del #reddito_di_cittadinanza colpisce le donne vittime di violenza

    Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica e il 60% non ha autonomia finanziaria. Molte di loro per ricominciare avevano fatto ricorso al Rdc: adesso non ne usufruiranno più. I percorsi protetti sono rischio ed è possibile che tornino dal partner maltrattante

    Quando ha lasciato il marito che la picchiava, Alessia aveva sei figli da mantenere. Lavorava ma ha scelto di licenziarsi per mettersi in sicurezza. Arrivare a fine mese era difficile, soprattutto in una città costosa come Roma. Così è finita in una casa rifugio per donne vittime di violenza. Ha fatto domanda per ricevere il reddito di cittadinanza, che dopo qualche mese le è stato riconosciuto: insieme agli assegni familiari, arrivava a prendere circa 1.600 euro al mese. Con i soldi messi da parte, Alessia (il nome è di fantasia, come gli altri di questo articolo) si è poi trasferita con i figli in un piccolo paese nel Sud Italia: ha trovato un nuovo lavoro, e questo le ha permesso di ricominciare.

    Dal primo gennaio 2024 il reddito di cittadinanza verrà definitivamente sospeso, e questo rischia di compromettere i percorsi di uscita dalla violenza di molte donne. “Grazie al reddito di cittadinanza molte donne hanno lasciato il maltrattante e hanno trovato il coraggio di iniziare una nuova vita”, spiega Federica Scrollini, operatrice del centro antiviolenza BeFree di Roma. “Quel sostegno economico è stato volàno per la ricerca di una nuova autonomia che comprende casa, lavoro, cura di stesse e dei figli. Senza questa base di partenza, molti percorsi di fuoriuscita dalla violenza non vedranno la luce. D’altronde, con un mercato del lavoro in asfissia, i servizi sociali ridotti dall’osso e l’ennesima crisi economica alle porte, dove possiamo andare senza soldi?”.

    Secondo l’Istat il 38% delle donne inserite in un percorso di uscita dalla violenza ha subìto anche violenza economica. Il 60% non ha autonomia finanziaria, quota che sale al 69% se si considera la fascia tra i 18 e i 29 anni. Alcune di loro per ricominciare hanno fatto ricorso al reddito di cittadinanza, che da gennaio 2024 sarà sostituito dall’assegno di inclusione, concesso a tutte le famiglie con un minore, una persona con disabilità o con più di 60 anni, oppure con componenti svantaggiati inseriti in programmi di cura e assistenza certificati dalla pubblica amministrazione. L’importo è fino a 6mila euro l’anno, 500 al mese, più un contributo affitto di 3.360 euro l’anno, 280 al mese: il totale è di un massimo di 780 euro al mese, l’equivalente del reddito di cittadinanza. La misura prevede alcune agevolazioni per le donne vittime di violenza: nel conteggio dell’Isee, le donne potranno costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito, e non avranno l’obbligo di partecipare percorsi di inclusione lavorativa, né di accettare le proposte di lavoro eventualmente offerte. “Il problema è che l’assegno esclude di fatto le donne che non hanno figli a carico, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica”, denuncia l’organizzazione ActionAid.

    Per le donne che non hanno figli, dal primo settembre c’è la possibilità di richiedere il supporto per la formazione e lavoro, pensato per le famiglie con una persona in grado di lavorare (i cosiddetti “occupabili”). Questo sussidio però è molto più ridotto -350 euro al mese- ed è vincolato alla partecipazione a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro individuati dal governo. Il limite massimo di Isee per ottenerlo, inoltre, è stato abbassato a 6mila euro, molto meno rispetto ai 9.360 euro del reddito di cittadinanza: gli “occupabili” che si trovano nella fascia intermedia restano senza aiuti. ActionAid ha lanciato quindi una petizione per chiedere al governo di garantire reddito, lavoro e autonomia abitativa affinché le donne non ricadano nella violenza.

    “Nei nostri servizi ci sono diverse donne che ancora ricevono il reddito di cittadinanza”, afferma Simona Lanzoni, vicepresidente della fondazione Pangea e coordinatrice della rete nazionale antiviolenza Reama, che ha aperto lo sportello Mia Economia sulla violenza economica. “Da gennaio rischiano di perdere quella sicurezza economica: ancora non sappiamo che cosa succederà. Comunque il reddito di cittadinanza non era una misura risolutiva: è utile in una fase iniziale, ma poi oltre quello che cosa c’è? In Italia mancano i sostegni al lavoro”.

    Lo sa bene Mara, brasiliana, arrivata in Italia da giovane. Per molti anni è stata vittima di violenza in ambito familiare, e ha anche subìto un abuso sessuale. Poi c’è stata la denuncia alla polizia: quando è arrivata in casa rifugio, aveva quasi cinquant’anni e non aveva niente in mano. Sono state le operatrici ad aiutarla a fare domanda per il reddito di cittadinanza: percepiva circa 700 euro al mese, e così si è sentita pronta a intraprendere un tirocinio, che da solo non le avrebbe garantito un guadagno sufficiente a sopravvivere. Dalla casa rifugio è passata alla casa di semi-autonomia: il tirocinio si è trasformato in un’assunzione, anche se a tempo determinato. Il contratto però le viene rinnovato di mese in mese, e il compenso non è sufficiente a pagare un affitto. Così Mara sta pensando di tornare in Brasile.

    Un altro strumento pensato per aiutare le donne che escono da una situazione di violenza e si trovano in condizione di povertà è il reddito di libertà: istituito nel 2020, consiste in un contributo economico di 400 euro al mese per un massimo di dodici mesi. Per il periodo tra il 2020 e il 2022 la misura è stata finanziata con 12 milioni di euro, a cui si aggiungono 1,8 milioni per il 2023: in tutto ne hanno potuto beneficiare meno di 3mila donne, un numero molto ridotto se si considera che secondo l’Istat ogni anno sarebbero circa 21mila le persone che avrebbero i requisiti per accedervi. In più non sono state adottate linee guida nazionali per valutare lo stato di bisogno delle richiedenti e oggi vige il principio del “chi prima arriva meglio alloggia”: le donne possono fare domanda e risultare idonee, ma una volta finiti i fondi non otterranno comunque il contributo.

    “Abbiamo molte donne che aspettano di ricevere il reddito di libertà”, spiega Mariangela Zanni, presidente del Centro Veneto Progetti Donna e consigliera dell’associazione nazionale Donne in rete contro la violenza(D.i.Re), che in Italia raccoglie più di cento centri antiviolenza e più di 50 case rifugio. “Si tratta di una misura importante, ma i finanziamenti sono pochi e le liste di attesa sono lunghe”.

    La violenza economica continua così ad essere uno dei principali strumenti di controllo sulla donna da parte del maltrattante. “La privazione del salario, l’impedimento di lavorare, l’obbligo a prendersi cura da sole dei figli, impedisce a molte donne che subiscono violenza di avere un’autonomia economica”, conclude Anita Lombardi, operatrice dello sportello di orientamento al lavoro del centro antiviolenza Casa delle donne di Bologna. “Per questo tutti gli strumenti che danno un sostegno economico, a partire dal reddito di cittadinanza fino al reddito di libertà, sono importanti affinché venga assicurato a queste donne il diritto a progettare la propria vita in libertà e autonomia”.

    https://altreconomia.it/cosi-la-fine-del-reddito-di-cittadinanza-colpisce-le-donne-vittime-di-v

    #revenu_de_Base #rdb #revenu_universel #Italie #femmes #violence_domestique #VSS #violences_sexuelles #violence_économique #autonomie_financière #autonomie #reddito_di_libertà

  • Refusal Requires a Guerilla Mentality • Ill Will
    https://illwill.com/refusal
    https://images.ctfassets.net/zzo3jtyu2pmq/31HQ3OLlTGYAubIqyZuoVx/5def8f98f9cf3494a748834b459326f3/Dutschke_1-1.jpg

    The following organizational speech was delivered by Rudi Dutschke on September 5, 1967, at the 22nd delegates’ conference of the Socialist German Students’ Union (SDS).1 Written together with #Hans-Jürgen_Krahl, it boldly announced an anti-authoritarian breakaway from the traditionalist wing of the organization, immediately provoking fierce controversy.

    [...] Extra-economic coercive violence gains immediate economic potency in integral statism. Thus it plays a role for the present capitalist social formation, a role that it has not played since the days of primitive accumulation. If in that phase it brought about the bloody process of the expropriation of the masses, which in turn brought about the separation of wage labor and capital in the first place, according to Marx it is hardly used in established competitive capitalism. 

    For the objective self-movement of the concept of the commodity form, its value constitutes itself into the natural laws of capitalist development to the extent that economic violence is internalized in the consciousness of the immediate producers. The internalization of economic violence allows a tendential liberalization of state and political, moral and legal rule. In the current crisis, the inherently produced crisis condition of capitalist development problematizes the internalization of economic violence, which, according to the interpretation of materialist theory, has two solutions. On the one hand, the crisis facilitates the emergence of proletarian class consciousness and its organization into material counter-violence through the autonomous action of the self-liberating working class. On the other hand, it objectively compels the bourgeoisie to resort to the physically terrorist coercive power of the state in the interest of its economic power of control.

    Capitalism’s way out of the world economic crisis in 1929 was based on its fixation on the terrorist power structure of the fascist state. After 1945, this extra-economic coercive violence was by no means dismantled, but was psychologically implemented on a totalitarian scale.

    This internalization included the disavowal of manifest internal repression and was constitutive of pseudo-liberalism and pseudo-parliamentarism, albeit at the price of the anti-communist projection of an absolute external enemy.

    #violence_économique

  • La violenza economica che silenziosamente colpisce ancora le donne

    Il tabù della gestione finanziaria esiste ancora nelle relazioni sentimentali, e sono le donne a subire le conseguenze della “dipendenza”. Ma non è il riconoscimento giuridico che manca bensì quello sociale. Ancora oggi alcuni comportamenti di sopraffazione da parte degli uomini nella sfera finanziaria sono considerati normali.

    Lucia non sa quanti soldi ci siano sul conto che condivide con il marito. Non è lei che lo amministra, non ne sarebbe in grado. Mara, invece, un conto non ce l’ha proprio. È il suo uomo che le passa dei contanti per le piccole spese settimanali, le sole che le competono. Del resto, lei non lavora e non conosce l’ammontare dello stipendio di lui. Antonia ha un impiego ma non può disporre come vuole dei suoi guadagni: ogni volta che compra qualcosa, deve mostrare al suo compagno lo scontrino. Quando ha bisogno di acquistare dei medicinali, ha paura che lui non glielo permetta.

    Tutte queste situazioni hanno un denominatore comune: la violenza economica. Questo termine, ancora poco conosciuto, si riferisce ad atti di controllo e di monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso o distribuzione di denaro, con la costante minaccia di negare risorse economiche. Può avvenire anche attraverso l’esposizione a un debito oppure il divieto ad avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale, da amministrare secondo la propria volontà.

    “Si fatica ancora a riconoscere e ad affrontare la violenza economica -afferma Manuela Ulivi, avvocata e consigliera nazionale di D.i.Re -Donne in rete contro la violenza, realtà che unisce diverse organizzazioni di donne in tutta la Penisola-. I soldi sono un tabù. Non se ne parla mai, soprattutto nelle relazioni sentimentali. Invece bisognerebbe farlo, avere una propria autonomia finanziaria è fondamentale».

    A mancare è principalmente l’informazione, non il riconoscimento giuridico. “Di questo tipo di maltrattamenti non si parla solo nella Convenzione di Istanbul, ma anche in direttive europee precedenti -continua l’avvocata-. La violenza economica è entrata nell’ordinamento italiano già alla fine degli anni 90”. Ancora oggi, tuttavia, alcuni comportamenti di sopraffazione da parte degli uomini, nella sfera finanziaria, sono considerati normali. “Di solito arriviamo a capire che c’è anche questo tipo di violenza dopo molti incontri -dice Francesca Vecera, responsabile del centro antiviolenza di Foggia, Impegno donna-. Molte persone danno per scontato che la donna sia economicamente dipendente dall’uomo”.

    Di questo ci si può accorgere anche osservando i dati sull’occupazione femminile: secondo quanto riportato dall’Istat, nel 2021 in Italia lavorava solo il 49,4% delle donne, mentre gli uomini che avevano un impiego erano il 17,7% in più. “Ci sono ancora mariti che dicono alle mogli che non avranno più bisogno di lavorare, perché ci saranno loro a pensare alla famiglia. Questo però riduce l’indipendenza e la possibilità di gestire autonomamente la propria vita -continua Vecera-. E non si deve pensare che queste dinamiche accadano solo nei ceti sociali più bassi: sono situazioni trasversali, che si attuano a ogni livello culturale ed economico”.

    Anche quando lavora, la donna, sia da libera professionista sia da dipendente, ha un guadagno nettamente inferiore rispetto a un collega maschio, anche per lavori molto qualificati (secondo dati Istat, le prime hanno una retribuzione oraria media di 15,2 euro, mentre i secondi di 16,2, con un divario più alto tra i dirigenti e i laureati). “Bisogna superare la visione secondo la quale le lavoratrici possono avere uno stipendio minore -chiosa l’avvocata- perché c’è l’uomo che compensa”. Anche questo, infatti, è sintomo di una società in cui la sottomissione e il controllo finanziario all’interno della coppia sono quasi normalizzati.

    La violenza economica può avere anche delle declinazioni più criminose, delle vere e proprie truffe: può capitare infatti che la donna diventi una prestanome per delle società che, effettivamente, non amministra e che si ritrovi, poi, anche ingenti debiti. Oppure succede che la moglie si addossi un mutuo o un prestito di un bene che viene intestato al marito. “Spesso le vittime si vergognano a parlare di quanto gli è successo, perché, come accade anche negli altri tipi di violenza, si colpevolizzano -commenta Ulivi-, pensano di aver fatto la figura delle stupide. Quando invece è proprio la fiducia all’interno della relazione amorosa che ti fa abbassare le difese e fare qualcosa che, magari, con una tua amica non faresti mai”.

    I maltrattamenti, spesso, non terminano con la fine della relazione. “Abbiamo visto addirittura mariti che minacciano di farsi licenziare per non pagare gli alimenti -dice Vecera-, dicendo che se non hanno nulla non possono dare nulla. Anche in situazioni in cui ci sono figli”. Alcuni uomini, quando vedono avvicinarsi la separazione, svuotano addirittura i conti correnti. “Nell’ordinamento giuridico italiano al momento del matrimonio c’è la possibilità di scegliere la comunione o la separazione dei beni -spiega Ulivi-. Oggi la maggior parte delle coppie, circa il 70%, sceglie la seconda opzione. Lo si fa per una questione di praticità, ma c’è poca informazione dietro. Per esempio, non si sa che, se si opta per la comunione, quando si riceve una somma per un’eredità, un risarcimento del danno o una donazione non diventa di proprietà di entrambi; solo il patrimonio che si costruisce durante la durata dell’unione è di tutti e due i coniugi”.

    La separazione dei beni può essere fonte di disparità: se la donna è costretta a lasciare il lavoro, non guadagna. E, al momento della fine del matrimonio, si ritrova senza nulla in mano. “Il mantenimento per le mogli è riconosciuto con una difficoltà enorme -continua l’avvocata-. Perché tendenzialmente i tribunali stabiliscono che non possa essere una rendita vitalizia: la persona con capacità di lavoro deve rendersi autonoma. Se però per 20 anni ti sei dedicata alla famiglia, a 40 o 50 anni rendersi autonoma può essere molto complesso”. A volte per le vittime di violenza serve una vera e propria rieducazione finanziaria, che permetta loro di acquistare un’indipendenza. Molti centri come Impegno donna di Foggia, offrono quindi dei corsi per confrontarsi sulle basi della gestione del denaro, dall’utilizzo di bancomat e dei conti correnti alle scelte di spesa quotidiane. Alcune persone hanno partecipato anche a un percorso di autoimprenditoria proprio per affacciarsi al mondo del lavoro.

    La violenza economica è un fenomeno estremamente pervasivo, con tante forme diverse e, a volte, inimmaginabili. “Ho visto donne regalare la casa per liberarsi del soggetto che le maltrattava”, racconta Ulivi. Per questo motivo, c’è bisogno di aumentare l’informazione e la conoscenza su questi temi – anche tra i giovani e i giovanissimi – in modo da riconoscere i campanelli d’allarme e prendere le necessarie precauzioni. L’informazione, però, soprattutto quando si tratta del campo economico, bisogna darla anche ai professionisti del mondo della finanza.

    Così stanno facendo le organizzazioni che fanno parte di D.i.Re: un progetto, per esempio, riguarda la formazione degli operatori delle banche, perché consiglino le soluzioni migliori per evitare che il conto, o il bancomat, sia gestito in maniera unilaterale dall’uomo. A Genova, invece, nel 2018 i centri antiviolenza hanno stretto un accordo, per la prima volta in Italia, con il Consiglio notarile dei distretti riuniti di Genova e di Chiavari, che prevede, tra le altre cose, consulenze gratuite per le vittime di violenza, svolto da notaie, in modo che la persona possa identificarsi e trovare un sostegno, ma anche, a volte e dove necessario, un inserimento lavorativo all’interno degli studi. “C’è bisogno di fare una vera battaglia culturale e ideale -conclude Ulivi-. La conoscenza e l’informazione sono le armi più potenti che abbiamo: se una donna sa quali sono i comportamenti a cui fare attenzione, si può allertare prima e ha più probabilità di uscire da una situazione di violenza”.

    https://altreconomia.it/la-violenza-economica-che-silenziosamente-colpisce-ancora-le-donne

    #violence #violence_économique #économie #dépendance #femmes #gestion_financière #argent #travail #dettes #genre

    • Il me semble important de ne pas invisibilisé le sexisme de ce discours, or je ne voie pas grand monde pour en parler. Les commentaires font comme si ce type de discours était rare et interdit alors que la fenêtre est grande ouverte sur l’injonction faites aux femmes de se mettre au service d’hommes à travers la conjugalité et surtout la procréation. Dans le concret c’est le message que toute la société porte aux femmes.

      #sexisme #violence_économique #couple #femmes #divorce #déni #invisibilisation

      http://www.payetondivorce.fr/2019/11/06/divorce-violence-argent

      Une fois débarrassées de notre conjoint violent, nous tombons sous le coup d’une autre violence, dans l’indifférence générale.

      Et si hier une banale et proprette nazillonne a pu tranquillement cracher sur une chaîne d’info que les femmes au smic n’ont pas à divorcer, ce n’est pas du tout parce qu’elle a eu le culot dégueulasse des fachos décomplexés, mais parce qu’elle n’a fait qu’exprimer une vérité que la société toute entière approuve, sans même le savoir. La petite faf d’hier n’a pas proféré une horreur inédite : elle a verbalisé un constat que nous, femmes divorcées avec les huissiers au cul, nous faisons chaque jour. Quand on a pas de fric on ne divorce pas. Et si on divorce quand même, on le paiera.

      Depuis le 6 mai la société ne me dit qu’une seule phrase, toujours la même, à chaque courrier, à chaque mise en demeure, à chaque prélèvement rejeté, à chaque article que je sors de mon caddie : “Marche ou crève, connasse”.

      Et je crois que je fais les deux en même temps, jour après jour. Je marche, et je crève. Je suis dévorée de colère, mais ma colère est politique, et elle se dresse contre une violence économique, infligée de façon systémique à des femmes parce qu’elles ont divorcé. Cette violence n’est pas le fruit de notre inconséquence ou d’une décision mal pesée au regard de nos moyens financiers. Elle est le fruit d’une répression organisée, visant à nous tenir en laisse, à nous empêcher de sauver notre peau. Et comme on ne plie pas et qu’on divorce quand même, on n’a qu’à se débrouiller et crever sous les dettes et le manque de pognon, le manque d’aides, le manque de soutien. Après tout, on s’en est sorties, on l’a quitté ce sale con, qu’est-ce qu’on veut de plus, il y a des femmes qui meurent assassinées quand même, un peu de décence, fermez vos gueules les survivantes au frigo vide. Vous êtes indésirables, invendables pour les assos, invendables dans les médias, tout le monde s’en fout de ce qui va vous arriver.

      Ne l’oubliez pas quand vous me voyez mendier du fric sur internet, ou quand vous voyez passer les appels au secours de celles qui comme moi paient leur décision à chaque minute de leur nouvelle existence, toujours vivantes et dépérissant face à des gens qui détourneront forcément le regard à la fin de la première saison, puisque leur histoire n’est plus assez sexy pour émouvoir, et que le récit d’un naufrage quotidien, à base de paquets de nouilles et de rage frustrée, sera toujours moins vendeur que la photo d’un visage couvert de bleus ou des pancartes agitées sous vos yeux. Vous nous préférez mortes, en fait.

      Sentez-vous coupables de nous laisser crever en espérant que ça s’arrangera tout seul ou qu’on aura un truc plus passionnant à raconter au prochain épisode. Vous êtes tous coupables. Comme je le suis d’avoir divorcé, alors que je n’ai même pas un SMIC. C’est ce qu’on me prouve chaque jour.

    • Elle a joué son rôle, elle a étendu la fenêtre d’Overton ; L’incorrect va pouvoir passer pour un magazine modéré ; mission accomplie pour la soldate ultra conservatrice Graziani.

      Après ses propos polémiques sur les mères célibataires, l’éditorialiste Julie Graziani renvoyée du magazine « L’incorrect »

      « La rédaction a décidé qu’en aucun cas Julie Graziani ne pouvait plus la représenter, à la télévision ni ailleurs, sur les réseaux sociaux ou dans quelques médias », explique le directeur du mensuel sur son site internet.

      https://www.francetvinfo.fr/societe/violences-faites-aux-femmes/apres-ses-propos-polemiques-sur-les-meres-celibataires-l-editorialiste-
      #violences_faites_aux_femmes

  • Prison ferme pour des syndicalistes de Goodyear : les résistances sociales dans le collimateur ! par Annick Coupé - #Attac
    https://france.attac.org/nos-publications/les-possibles/numero-9-printemps-2016/dossier-la-situation-apres-l-annee-des-attentats/article/prison-ferme-pour-des-syndicalistes-de-goodyear-les-resistances-social

    Le 12 janvier dernier, le tribunal correctionnel d’Amiens a condamné huit anciens salariés de l’usine Goodyear à vingt-quatre mois de prison, dont quinze avec sursis : soit neuf mois de prison ferme et cinq années de mise à l’épreuve. Le motif : ils avaient retenu pendant trente heures deux cadres de l’usine d’Amiens-Nord, le directeur des ressources humaines et le directeur de la production, les 6 et 7 janvier 2014.

    (...)

    François Hollande, qui avait refusé de prononcer une mesure traditionnelle d’amnistie lors de sa prise de fonction en 2012, s’est également opposé à l’amnistie sociale pourtant votée unanimement par la gauche sénatoriale en 2013.

    Condamnation des syndicalistes de Goodyear : bonne année au mouvement social ! - #Syndicat_de_la_magistrature
    http://www.syndicat-magistrature.org/Condamnation-des-syndicalistes-de.html
    La lutte contre la fermeture de l’usine de Goodyear d’ Amiens en France à la croisée des chemins. #WSWS
    https://www.wsws.org/fr/articles/2013/mar2013/good-m07.shtml

    #Goodyear #Goodyear_Amiens-Nord #mouvement_social #justice_de_classe #justice #gouvernement_hollande #PS #social-démocratie #patronnat #violence_économique