• 3 janvier 2024 : la police exécute à coup de Taser un jeune homme agité
    https://ricochets.cc/3-janvier-2024-la-police-execute-a-coup-de-Taser-un-jeune-homme-agite-dang

    2024 à peine commencée, et déjà la police commet un horrible assassinat à Montfermeil. Les milices lourdement armées de ce régime autoritaire en cours de fascisation sont toujours aussi dangereuses. Leurs armes à létalité aléatoire (ditent "non létales") tuent régulièrement, d’autant que leur usage augmente. Leur sinistre « police du futur » prévoit la mise sur le marché d’autres armes dite « non létales », pour toujours plus de répression. En France en 2024 l’agitation, l’agressivité et (...) #Les_Articles

    / #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire, Autoritarisme, régime policier, démocrature...

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...
    https://mathieurigouste.net/La-police-du-futur

    • À Montfermeil, une communauté en deuil après la mort de Kilyan qui a reçu une douzaine de coups de taser
      https://www.bondyblog.fr/societe/a-montfermeil-une-communaute-en-deuil-apres-la-mort-de-kilyan-qui-a-recu-u

      Vendredi dernier, ce jeune homme de 30 ans est décédé après avoir reçu une douzaine de décharges de pistolet à impulsion électrique lors de son interpellation par la #police. Dans sa ville, le choc et l’incompréhension dominent. Un rassemblement a eu lieu en sa mémoire. Reportage.

      À Montfermeil, samedi 7 janvier, l’heure est au recueillement après la mort de Kilyan. Ce jeune homme de 30 ans, originaire de Martinique, est décédé suite à une interpellation policière dans la nuit de mercredi à jeudi. Pas moins de douze coups de #taser lui ont été administrés par les fonctionnaires de police.

      Dans la résidence de la cité Lucien Noël, la communauté locale s’est rassemblée autour d’un repas organisé par les proches du défunt. Malgré la nuit froide et pluvieuse, les habitants sont au rendez-vous. Une cagnotte a été mise en place pour épauler la famille.

      #violences_policières

    • « Non seulement ils ont enlevé mon frère, mon collègue, mon ami, mais en plus, ils ont menti sur moi, je n’ai jamais appelé la police », assure Michel, le gérant du Citymarket. Et continue de préciser que la police est intervenue dans la réserve de son commerce, hors de portée des caméras, puis, qu’à la suite de l’incident, « ils ont tout nettoyé, les projectiles, les caméras… Plus rien n’était là ». Ce dernier a décidé de fermer son commerce, le temps du deuil.

  • I processi farsa che in Marocco trasformano i migranti in trafficanti

    Quasi 70 persone in transito sono state accusate di reati legati all’immigrazione irregolare in seguito al “massacro di Melilla” del 24 giugno 2022. Una strategia, con il benestare dell’Ue, per scoraggiare le partenze e gli arrivi nel Paese.

    Ange Dajbo si trova a oltre quattromila chilometri da casa sua ma a meno di dieci minuti di strada in auto dalla destinazione finale del suo viaggio. Nonostante non sia mai stata così vicina all’enclave spagnola di Melilla (assieme a Ceuta le uniche frontiere terrestri dell’Unione europea con l’Africa) la donna ivoriana di 31 anni è più lontana che mai dalla Spagna. Non ci sono soltanto decine di chilometri di filo spinato, rilevatori di movimento, droni, e numerose squadre della polizia marocchina e spagnola a separarla dall’Europa. A fine settembre scorso, Ange Dajbo e suo marito Alphonse, genitori di un bambino di un anno, sono stati processati dal giudice di Nador, città nel Nord del Paese, entrambi accusati di reati legati all’immigrazione irregolare.

    Le autorità marocchine accusano i Dajbo di essere la catena di trasmissione tra la comunità subsahariana e una rete di trafficanti, sulla base di una deposizione alla polizia giudiziaria che la famiglia racconta essergli stata estorta con la violenza. “Ero venuto in Marocco per emigrare irregolarmente -si legge nel documento- ma poi ho iniziato questo business e con i 500 dirham (46 euro, ndr) a persona che guadagnavo mantenevo me e mia moglie”. Questo impianto accusatorio è valso ad Alphonse Dajbo la condanna a un anno di carcere, una pena che potrebbe salire in appello. Sua moglie è stata assolta. “Noi non parliamo neanche arabo -ricorda Ange Dajbo- non capivamo di cosa ci accusavano e non sappiamo cosa ci hanno fatto firmare”.

    Il 18 ottobre 2022, pochi giorni dopo la nascita di suo figlio, 470 migranti tentano in massa l’attraversamento della frontiera di Melilla. Una settimana dopo la polizia marocchina, di notte, sfonda la porta del loro appartamento e li arresta. “Abbiamo vissuto mesi nascosti in una foresta. Quando ho scoperto di essere incinta abbiamo trovato una camera in affitto per accudire il bambino, mentre mio marito faceva qualche lavoretto come carrozziere o garzone al mercato”, racconta la donna mentre discute la strategia difensiva con l’avvocato Mbarek Bouirig, che si è fatto carico probono della difesa della famiglia.

    Città del Nord del Marocco come Nador, Tangeri e Fnidaq sono diventate magneti per i candidati all’emigrazione. A migliaia si nascondono nelle foreste in periferia nel timore di essere arrestati, processati o deportati verso il Sud del Regno dove c’è richiesta di manodopera agricola a basso costo.

    L’avvocato, che assiste altri dieci migranti coinvolti in processi simili a Nador, ritiene che l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri “risenta dell’influenza della politica migratoria dello Stato”. In altre parole, secondo Bouirig, il processo alla famiglia Dajbo è soltanto uno dei tasselli della strategia del governo, volta scoraggiare i migranti subsahariani non solo dal tentare il passaggio, ma anche dal sostare nelle città frontaliere in attesa della notte giusta per partire in gommone per la Spagna o tentare di oltrepassare il confine terrestre con Melilla. Nel 2023 circa 15mila migranti sono arrivati in Spagna dal Nord del Marocco e altri 35mila si sono diretti alle Canarie partendo dal Sud del Regno: numeri che si avvicinano a quelli degli arrivi in Grecia (43mila) e non erano così cospicui dal 2018, su una rotta che ha fatto più di 950 vittime secondo l’Ong Caminando Fronteras.

    Il 24 giugno 2022, Ange e Alphonse Dajbo si trovavano a Casablanca quando circa duemila migranti, principalmente sudanesi, attaccarono in massa la barriera dell’enclave in quello che è passato alle cronache come “il massacro di Melilla”. La reazione violenta della Guardia Civil spagnola e della Gendarmerie marocchina ha causato la morte di almeno 37 persone, mentre 77 risultano tutt’oggi scomparse.

    Nonostante entrambi i Paesi abbiano aperto dei fascicoli per indagare sulle responsabilità delle autorità, i soli colpevoli a essere individuati dai giudici marocchini sono stati 33 migranti, di cui 18 hanno visto triplicare la pena in appello arrivando a condanne anche di tre anni in carcere. Altri 32 sono tutt’ora in giudizio con l’accusa di appartenere a reti criminali. “A partire da quella data abbiamo riscontrato un aumento dei procedimenti giudiziari a carico dei migranti subsahariani”, spiega Omar Naji, responsabile dell’Association marocaine des droits de l’homme (Amdh).

    Da allora analizza l’attività dei tribunali della regione per la controversa pratica di perseguire le persone in transito come trafficanti, una strategia apparentemente progettata per scoraggiare ulteriori flussi migratori. Benché non sia disponibile nessun dato statistico sui procedimenti aperti nei confronti dei migranti subsahariani, Omar Naji è convinto che i numeri di quella che definisce “repressione giudiziaria delle migrazioni” siano in costante aumento.

    Sono 1.221 i morti registrati nel 2022 lungo la rotta, sia di terra sia di mare, tra il Marocco e l’Unione europea a fronte di 30mila arrivi. Nel 2015 erano decedute 67 persone su 17mila che erano riuscite a raggiungere il territorio europeo. È il tragico costo della “gestione dei flussi” dell’Ue

    “Un processo non lascia cicatrici sul corpo -osserva nel suo ufficio a Nador- ma allarma l’intera comunità con la minaccia della privazione della libertà, una delle poche gioie della vita che resta ai migranti”. Il Marocco è considerato un partner strategico per il controllo dell’immigrazione e la sua collaborazione con l’Ue illustra ciò che potrebbe accadere anche in Tunisia, da dove sono già partiti più di 95mila migranti nel 2023. Anche se i numeri dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) non distinguono tra i morti via mare lungo la rotta delle Isole Canarie e quelli lungo la frontiera terrestre con Ceuta e Melilla, secondo l’Amdh i dati restano indicativi del fatto che ci sia una correlazione tra l’aumento dei fondi europei e l’aumento delle persone che muoiono.

    “Addobbato con la retorica del voler salvare vite umane e del combattere le reti criminali, il denaro europeo ha reso il passaggio più remunerativo per i trafficanti e più rischioso per i migranti”, spiega Omar Naji, che sottolinea anche come il Marocco renda più o meno porose le sue frontiere per rinforzare la propria posizione nello scacchiere diplomatico. A fronte di 234 milioni di euro stanziati dal 2015, di cui quasi quattro quinti spesi per la gestione dei confini, e di ulteriori 500 milioni fino al 2027, il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tragitto dal Marocco all’Europa è salito vertiginosamente: da 67 morti su circa 17mila arrivi nel 2015, a 1.221 su 30mila nel 2022.

    L’Europa riconosce il Marocco come un “Paese sicuro”, ma poche persone più di Aboubacar Wann Diallo sanno che la realtà è più ombreggiata delle categorie del diritto. Esce dalla prigione di Nador dopo aver visitato uno dei sopravvissuti alla strage del 24 giugno, oggi in galera. “Come sta?”, crepita una voce all’altro capo del telefono, in Sudan. “Abdallah è triste, ma sta bene. Vi manda un abbraccio”, risponde Aboubacar alla madre del condannato.

    Dopo esser fuggito dalle persecuzioni politiche nel suo Paese, il guineano laureato in giurisprudenza è arrivato in Marocco nel 2013 dove oggi lavora per un’associazione locale: accompagna i migranti di passaggio nella regione, ma soprattutto trascorre le sue giornate tra l’obitorio, il tribunale e il carcere, occupato nel reperire informazioni sui migranti arrestati e nel riconoscimento dei morti in mare o alla frontiera terrestre. “Cerco di restare professionale -spiega-. Ma vacillo quando ascolto la voce in pena della madre di un fratello condannato ingiustamente o deceduto”.

    Racconta che i pubblici ministeri richiedono condanne dure per i migranti, a volte senza conoscere il dossier: “Sembra che ci sia una volontà politica di mandare un messaggio alla comunità nera: se attraversate, andate in prigione”. Aboubacar è diventato una figura rispettata in città e ha saputo costruire stretti legami con le autorità politiche, giudiziarie e di pubblica sicurezza di Nador, superando le discriminazioni quotidiane contro i neri subsahariani. Ma non tutti hanno la stessa fortuna.

    A Oujda, città frontaliera con l’Algeria a circa due ore di macchina da Nador, due famiglie di quattro persone della Costa d’Avorio vivono in un appartamento di trenta metri quadrati in un quartiere periferico. Ritenendo la rotta marocchina troppo rischiosa, stanno preparando le valige per attraversare l’Algeria e raggiungere l’Europa dalla Tunisia. “Preferiamo attraversare il deserto piuttosto che essere obbligati a vivere nascosti per paura di finire in galera”, afferma Karen Jospeh, trentacinquenne camerunense. Come loro, secondo un volontario locale di Alarm Phone, circa 200 persone al giorno stanno facendo la stessa scelta.

    https://altreconomia.it/i-processi-farsa-che-in-marocco-trasformano-i-migranti-in-trafficanti

    #Maroc #migrations #criminalisation_de_la_migration #justice (well...) #procès #dissuasion #Melilla #24_juin_2022 #trafiquants_d'êtres_humains #répression #répression_judiciaire #externalisation

  • Analyse des méthodes de la justice dans le procès anti-terro des inculpé.es du 8.12 - Paris-luttes.info
    https://paris-luttes.info/analyse-des-methodes-de-la-justice-17685

    A chaque interrogatoire, la juge use de la même méthode. Elle ne pose pas les questions par ordre chronologique, c’est-à-dire les éléments « reprochés » de février ou avril 2020, mais elle débute systématiquement par les propos tenus en GAV. En procédant ainsi, elle enferme le/la prévenu.e dans un discours souvent tenu en état de choc et de sidération, et il est alors beaucoup plus difficile pour elle/lui de faire entendre sa voix au présent. Même si le/la prévenu.e réfute complètement les propos tenus en GAV, la juge revient dessus comme si elle ne prenait pas en compte les conditions dans lesquelles ces propos ont été tenus.
    Les propos tenus en GAV deviennent un boulet qu’on se traine tout au long de la procédure judiciaire, et il sera alors impossible de faire comprendre que les barbouzeries et les manipulations de la DGSI ont biaisé ces propos.

  • Neuvième partie : La nouvelle structure de l’autonomie zapatiste. « Enlace Zapatista
    https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/01/neuvieme-partie-la-nouvelle-structure-de-lautonomie-zapatis

    Je vais essayer de vous expliquer comment nous avons réorganisé l’autonomie, c’est-à-dire à quoi ressemble la nouvelle structure de l’autonomie zapatiste. Et plus tard, je vous donnerai des explications plus détaillées. Ou peut-être non, je ne vous en expliquerai pas plus, car c’est la pratique qui compte. Bien sûr, vous pouvez aussi venir à l’anniversaire et voir les pièces de théâtre, chansons, poésies et les arts et culture de cette nouvelle étape de notre lutte. Sinon, les tercios compas vous enverront des photos et vidéos. À un autre moment, je vous raconterai ce que nous avons trouvé de bon et de mauvais dans notre bilan critique des MAREZ et des CBG. Maintenant, je vais juste vous dire où on en est.

    […]

    Quatrièmement. – Comme on pourra le voir dans la pratique, le commandement et la coordination de l’autonomie ont été transférés des CBG et des MAREZ aux pueblos et aux communautés, aux GAL. Les zones (ACGAZ) et les régions (CGAZ) sont commandées par les pueblos, elles doivent rendre des comptes aux pueblos et chercher des moyens de répondre à leurs besoins en matière de santé, d’éducation, de justice, d’alimentation et à ceux découlant de situations d’urgence causées par les catastrophes naturelles, pandémies, crimes, invasions, guerres et autres malheurs causés par le système capitaliste.

    Cinquièmement. – La structure et la configuration de l’EZLN ont été réorganisées de manière à accroître la défense et la sécurité des localités et de la terre mère en cas d’agressions, d’attaques, d’épidémies, d’invasion par des entreprises prédatrices de la nature, d’occupations militaires partielles ou totales, de catastrophes naturelles et de guerres nucléaires. Nous nous sommes préparés pour que nos pueblos survivent, même isolés les uns des autres.

    Sixièmement. – Nous comprenons qu’il vous soit difficile d’assimiler ceci. Et que vous deviez batailler un certain temps pour le comprendre. Cela nous a demandé 10 ans à nous pour le penser, et sur ces 10 ans, 3 pour le préparer à la pratique.

    […]

    En réalité, l’unique intention de ce communiqué est de vous dire que l’autonomie zapatiste continue et avance, que nous pensons qu’il en sera mieux ainsi pour les pueblos, communautés, lieux-dits, quartiers, arrondissements, ejidos et hameaux où habitent, c’est-à-dire, luttent les bases d’appui zapatistes. Et que cela a été une décision de leur part, qui a pris en compte leurs idées et propositions, leurs critiques et autocritiques.

    […]

    Nous avons certainement commis beaucoup d’erreurs pendant toutes ces années. Nous en ferons certainement beaucoup d’autres pendant les 120 prochaines années. Mais nous NE nous rendrons PAS, nous NE changerons PAS de chemin, nous NE nous vendrons PAS. Nous examinerons toujours notre lutte, ses temps et ses manières avec un regard critique.

    #zapatistes #réorganisation #démocratie #autonomie #politique #communisme #communalisme #Moises #autocritique #processus

  • Briançon : risque d’expulsion imminente au Pado
    https://ricochets.cc/RISQUE-D-EXPULSION-IMMINENTE-AU-PADO.html

    RISQUE D’EXPULSION IMMINENTE AU PADO Le Pado est un squat d’habitation et de passage situé à la frontière franco-italienne, à Briançon (34A avenue de la République). Ce squat à ouvert début août dans l’objectif d’y accueillir les personnes souhaitant rester plus longtemps sur Briançon que ce que permettent les associations locales. Pendant l’automne il était le seul lieu d’accueil pour les personnes venant de passer la frontière à pied. Depuis le refuge des terrasses (espace tenu par l’association le (...) #Les_Articles

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  • A la COP alternative de Bordeaux, le procès fictif de Total Energies : du #théâtre participatif au service de la justice climatique

    Vendredi 1er Décembre, #Scientifiques_en_rébellion a organisé à la base sous-marine de Bordeaux, dans le cadre de l’#Alter-COP28, le procès fictif du président de Total Energies. A la base du procès, un changement d’époque : nous sommes en 2035, le #réchauffement_climatique s’est emballé et a été à l’origine d’une série de catastrophes écologiques et sanitaires qui font vaciller les systèmes sociaux et économiques des sociétés du Nord et du Sud. Les dommages humains et financiers sont sans pareil dans l’histoire de l’humanité et il faudra bien les payer. Mais qui ? De nombreux procès ont eu lieu afin d’établir qui est responsable et comptable de ces catastrophes et qui va en assumer les coûts et les conséquences, en s’appuyant sur une loi d’écocide adoptée en 2032.

    C’est un de ces procès fictifs, celui de Total Energies, que Scientifiques en rébellion a voulu mettre en scène. Non pas pour juger Total Energies, mais pour questionner notre dépendance aux énergies fossiles et révéler la complexité d’une situation où les responsabilités sont multiples et liées. Le cadre d’un procès, basé sur les témoignages et les interrogatoires contradictoires des avocats, permet de faire la lumière sur les différentes dimensions de la problématique.

    Préalablement au procès, des membres de STOP Total et une membre de Scientifiques en rébellion ont donné des éléments de contexte : budget carbone et bombes climatiques, rôle et responsabilité des financeurs, actions des associations, procès déjà intentés contre Total Energies, nouveaux projets pétro-gaziers de l’entreprise, etc.

    Le procès lui-même avait une forme proche du théâtre-forum, et a permis au public de participer au procès, de choisir quels aspects de cette responsabilité il souhaitait aborder et quels témoins il souhaitait entendre. Tout d’abord, les organisateur.ices de l’événement ont joué une première fois la scène du procès : après les prises de parole initiales du président du tribunal et du procureur, les premiers témoins ont été entendus (une représentantes des victimes, une association de protection de l’environnement et finalement Patrick Pouyanné). Le public a ensuite été invité à travailler en petits groupes à différents rôles possibles de nouveaux ou nouvelles témoins. C’est ainsi que se sont succédées à la barre des membres du public prenant le rôle d’une représentante du Crédit Agricole, d’une militante climat, de l’ancienne Ministre de la Transition Ecologique (Madame Déchu !) ou même du lac Victoria lui-même.

    Ce procès a permis de s’approprier par le jeu les multiples dimensions de notre addiction aux hydrocarbures et de comprendre la complexité de cette emprise. La forme volontairement ludique du procès fictif a évité les sentiments d’impuissance et de désespoir et a au contraire généré beaucoup de joie, de force et d’envie d’agir.

    Le procès était aussi une façon d’interroger l’état de la justice climatique, aujourd’hui en 2023, le jour même où des Scientifiques en rébellion comparaissaient au tribunal correctionnel de Paris pour avoir organisé la Nuit de l’extinction - plusieurs conférences scientifiques sur le climat et la biodiversité dans un lieu de sciences : la galerie de paléontologie du MNHN. Qui sont les vrais criminels climatiques aujourd’hui ? Quel droit et quelle justice à l’heure des crises écologiques et climatiques qui mettent en péril l’existence même de nos sociétés ? Ce sont ces questions que nous avons posées, dans la joie et la bonne humeur.

    https://scientifiquesenrebellion.fr/textes/presse/cop28-bcp3-proces-total
    #justice_transformatrice #procès_fictif #procès #COP28 #COP_alternative #TotalEnergies #justice #responsabilité #énegies_fossiles #STOP_Total #théâtre-forum #droits_de_la_nature #complexité #joie #justice_climatique #droit

  • Crimes sexuels de guerre : une histoire de la #violence

    Israël a récemment annoncé l’ouverture d’une enquête sur de possibles #crimes_sexuels commis par le #Hamas. Le viol comme arme de guerre est aussi mis en avant dans le cadre de la guerre en Ukraine. L’invasion russe peut-elle servir de modèle pour comprendre les mécanismes de ces #violences ?

    Avec

    - #Sofi_Oksanen Écrivaine
    - #Céline_Bardet Juriste et enquêtrice criminelle internationale, fondatrice et directrice de l’ONG « We are Not Weapons of War »

    Israël a récemment ouvert une enquête sur d’éventuels crimes sexuels perpétrés par le Hamas. Parallèlement, l’utilisation du viol comme arme de guerre a été évoquée dans le contexte du conflit en Ukraine. Peut-on utiliser l’invasion russe comme un modèle pour comprendre les mécanismes de ces violences ?
    Le viol, arme de guerre traditionnelle des Russes ?

    Par son histoire familiale et ses origines estoniennes, l’écrivaine finlandaise Sofi Oksanen a vécu entre l’URSS et la Finlande et a grandi avec des récits de guerre lors de l’occupation soviétique des États baltes. Ces thèmes sont aujourd’hui centraux dans ses écrits. Selon elle, « dans la stratégie de guerre russe, il y a toujours eu des violences sexuelles. L’invasion en Ukraine est une sinistre répétition de la guerre telle que l’ont toujours menée des Russes. Et pourquoi n’ont-ils jamais cessé ? Car on ne leur a jamais demandé de le faire. »

    Les crimes sexuels font partie intégrante de la manière dont les Russes font la guerre. Elle déclare même dans son dernier ouvrage La guerre de Poutine contre les femmes que des soldats russes demandent la permission à leur famille pour commettre des viols : « ils sont adoubés et encouragés à commettre des crimes sexuels et des pillages. » Céline Bardet, juriste et enquêtrice internationale, insiste-t-elle sur la nécessité de documenter et de punir ces féminicides pour ce qu’ils sont. Elle dresse un parallèle avec la guerre en Syrie : « les femmes se déplaçaient par peur d’être violées. Quand on viole des hommes, on veut aussi les féminiser et les réduire à néant. »

    Comment mener une enquête sur les violences sexuelles en temps de guerre ?

    « J’ai créé depuis longtemps un site qui publie des rapports sur la situation. J’ai voulu écrire ces livres, car je voulais rendre accessible, faire comme une sorte de guide pour permettre de comprendre les crimes de guerre et comment les documenter. Sur les sites, il est difficile de relier les point entre eux pour comprendre la manière dont la Russie mène ses guerres. Elle conquiert et s’étend de la même manière. Il faut reconnaître ce schéma pour mieux le combattre. », explique Sofi Oksanen.

    Une opération hybride se déroule actuellement à la frontière entre la Finlande et la Russie : « la Russie nous envoie des réfugiés à la frontière. Cela s’était déjà produit en 2015, en Biélorussie également. Loukachenko a beaucoup recouru à ce moyen de pression. La Finlande a alors fermé sa frontière ». La Russie est également accusée de déportation d’enfants en Ukraine : « ces violences sont documentées. Concernant l’acte d’accusation émis par la CPI, beaucoup de gens en Ukraine y travaillent, mais avec des zones occupées, le travail de la justice prend plus de temps », déclare Céline Bardet.

    Concernant les violences effectuées contre des femmes par le Hamas le 7 octobre, Céline Bardet émet néanmoins des réserves sur la potentielle qualification de « féminicide de masse » : « les éléments ne sont pas suffisants pour parler de féminicide de masse. Pour le considérer ainsi, il faut prouver une intention particulière de commettre des violences contre des femmes, car elles sont des femmes. Pour le moment, le féminicide n’est d’ailleurs pas une définition pour le droit international ».

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/france-culture-va-plus-loin-l-invite-e-des-matins/crimes-sexuels-de-guerre-une-histoire-de-la-violence-3840815
    #crimes_sexuels #viols_comme_arme_de_guerre #viols #guerre #viol_de_guerre #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #Rwanda #génocide #outil_génocidaire #Libye #hommes #Ukraine #humiliation #pouvoir #armée_russe #torture #impunité #patriarcat #déshumanisation #nettoyage_ethnique #violence_de_masse #violences_sexuelles_dans_la_guerre #systématisation #féminicide #féminicides_de_masse #intentionnalité

    #podcast #audio

    Citations :
    Sofi Oksanen (min 30’54) : « Ce qui m’a poussée à écrire ce livre c’est que, vous savez, les #procès, ça coûte très cher, et ce qui m’inquiète c’est que certains crimes sexuels vont être marginalisés et ne sont pas jugés comme ils le devraient. Ils ne vont pas être jugés comme étant des crimes assez importants pour faire l’objet de poursuites particulières. Or, si on ne les juge pas, ces crimes, l’avenir des femmes et des enfants ne sera qu’assombri ».
    Céline Bardet (min 32’08) : « La justice c’est quoi ? C’est la poursuite au pénal, mais c’est aussi de parler de ces crimes, c’est aussi de donner la parole à ces survivantes et ces survivants si ils et elles veulent la prendre. C’est documenter ça et c’est mémoriser tout cela. Il faut qu’on sache ce qui se passe, il faut qu’on parle pour qu’en tant que société on comprenne l’origine de ces violences et qu’on essaie de mieux les prévenir. Tout ça se sont des éléments qui font partie de la justice. La justice ce n’est pas que un tribunal pénal qui poursuit quelqu’un. C’est énormément d’autres choses. »
    Sofi Oksanen (min 33’00) : « Je suis complètement d’accord avec Céline, il faut élargir la vision qu’on a de la justice. C’est bien d’en parler à la radio, d’en parler partout. Il faudrait peut-être organiser des journées de commémoration ou ériger un #monument même si certaines personnes trouveraient bizarre d’avoir un monument de #commémoration pour les victimes des violences sexuelles. »

    ping @_kg_

    • Deux fois dans le même fleuve. La guerre de Poutine contre les femmes
      de #Sofi_Oksanen

      Le 22 mars 2023, l’Académie suédoise a organisé une conférence sur les facteurs menaçant la liberté d’expression et la démocratie. Les intervenants étaient entre autres Arundhati Roy, Timothy Snyder et Sofi Oksanen, dont le discours s’intitulait La guerre de Poutine contre les femmes.
      Ce discours a suscité un si grand intérêt dans le public que Sofi Oksanen a décidé de publier un essai sur ce sujet, pour approfondir son analyse tout en abordant d’autres thèmes.
      L’idée dévelopée par Sofi Oksanen est la suivante : la Russie ressort sa vieille feuille de route en Ukraine – comme l’impératrice Catherine la Grande en Crimée en 1783, et comme l’URSS et Staline par la suite, à plus grand échelle et en versant encore plus de sang. La Russie n’a jamais tourné le dos à son passé impérialiste. Au contraire, le Kremlin s’est efforcé de diaboliser ses adversaires, s’appuyant ensuite sur cette propagande pour utiliser la violence sexuelle dans le cadre de la guerre et pour déshumaniser les victimes de crimes contre les droits de l’homme. Dans la Russie de Poutine, l’égalité est en déclin. La Russie réduit les femmes au silence, utilise le viol comme une arme et humilie ses victimes dans les médias en les menaçant publiquement de représailles.
      Un essai coup de poing par l’une des grandes autrices européennes contemporaines.

      https://www.editions-stock.fr/livre/deux-fois-dans-le-meme-fleuve-9782234096455
      #livre #Russie #femmes

    • #We_are_NOT_Weapons_of_War

      We are NOT Weapons of War (#WWoW) est une organisation non-gouvernementale française, enregistrée sous le statut Loi 1901. Basée à Paris, elle se consacre à la lutte contre les violences sexuelles liées aux conflits au niveau mondial. Fondée en 2014 par la juriste internationale Céline Bardet, WWoW propose une réponse globale, holistique et efficace à l’usage endémique du viol dans les environnements fragiles via des approches juridiques innovantes et créatives. WWoW travaille depuis plus de 5 ans à un plaidoyer mondial autour des violences sexuelles liées aux conflits et des crimes internationaux.

      L’ONG française We are NOT Weapons of War développe depuis plusieurs années la web-application BackUp, à vocation mondiale. BackUp est un outil de signalement et d’identification des victimes et de collecte, sauvegarde et analyse d’informations concernant les violences sexuelles perpétrées dans le cadre des conflits armés. Il donne une voix aux victimes, et contribue au recueil d’informations pouvant constituer des éléments de preuves légales.

      https://www.notaweaponofwar.org

      #justice #justice_pénale

  • #Taux_de_change : retour sur la politique israélienne des #otages

    Eyal Weizman, fondateur du collectif Forensic Architecture, revient sur la manière dont les #civils installés autour de #Gaza ont servi de « #mur_vivant » lors des massacres du 7 octobre perpétrés par le #Hamas, et retrace l’évolution de la politique israélienne à l’égard des otages.

    Au printemps 1956, huit ans après la Nakba (un terme arabe qui désigne « la catastrophe » ou « le désastre » que fut pour les Palestiniens la création d’Israël), un groupe de fedayins palestiniens franchit le fossé qui sépare Gaza de l’État d’Israël. D’un côté se trouvent 300 000 Palestiniens, dont 200 000 réfugiés expulsés de la région ; de l’autre, une poignée de nouvelles installations israéliennes. Les combattants palestiniens tentent de pénétrer dans le kibboutz de Nahal Oz, tuent Roi Rotberg, un agent de sécurité, et emportent son corps à Gaza, mais le rendent après l’intervention des Nations unies.

    #Moshe_Dayan, alors chef de l’état-major général d’Israël, se trouvait par hasard sur place pour un mariage et a demandé à prononcer, le soir suivant, l’éloge funèbre de Rotber. Parlant des hommes qui ont tué #Rotberg, il a demandé : « Pourquoi devrions-nous nous plaindre de la #haine qu’ils nous portent ? Pendant huit ans, ils se sont assis dans les camps de réfugiés de Gaza et ont vu de leurs yeux comment nous avons transformé les terres et les villages où eux et leurs ancêtres vivaient autrefois. » Cette reconnaissance de ce que les Palestiniens avaient perdu, les hommes politiques israéliens d’aujourd’hui ne peuvent plus se permettre de l’exprimer. Mais Dayan ne défendait pas le #droit_au_retour : il a terminé son discours en affirmant que les Israéliens devaient se préparer à une #guerre_permanente et amère, dans laquelle ce qu’Israël appelait les « #installations_frontalières » joueraient un rôle majeur.

    Au fil des ans, le #fossé s’est transformé en un système complexe de #fortifications - une #zone_tampon de 300 mètres, où plus de deux cents manifestants palestiniens ont été tués par balle en 2018 et 2019 et des milliers d’autres blessés, plusieurs couches de #clôtures en barbelés, des #murs en béton s’étendant sous terre, des mitrailleuses télécommandées - et des équipements de #surveillance, dont des tours de guet, des caméras de vidéosurveillance, des capteurs radar et des ballons espions. À cela s’ajoute une série de #bases_militaires, dont certaines situées à proximité ou à l’intérieur des installations civiles qui forment ce que l’on appelle l’#enveloppe_de_Gaza.

    Empêcher le retour des réfugiés

    Le #7_octobre_2023, lors d’une attaque coordonnée, le Hamas a frappé tous les éléments de ce système interconnecté. #Nahal_Oz, l’installation la plus proche de la clôture, a été l’un des points névralgiques de l’attaque. Le terme « #Nahal » fait référence à l’unité militaire qui a créé les installations frontalières. Les installations du Nahal ont débuté comme des avant-postes militaires et sont devenues des villages civils, principalement de type #kibboutz. Mais la transformation n’est jamais achevée et certains résidents sont censés se comporter en défenseurs quand la communauté est attaquée.

    La « #terre_des_absents » a été la #tabula_rasa sur laquelle les planificateurs israéliens ont dessiné le projet des colons sionistes après les expulsions de 1948. Son architecte en chef était #Arieh_Sharon, diplômé du Bauhaus, qui a étudié avec Walter Gropius et Hannes Meyer avant de s’installer en Palestine en 1931, où il a construit des lotissements, des coopératives de travailleurs, des hôpitaux et des cinémas. Lors de la création de l’État d’Israël, David Ben Gourion l’a nommé à la tête du département de planification du gouvernement. Dans The Object of Zionism (2018), l’historien de l’architecture Zvi Efrat explique que, bien que le plan directeur de Sharon soit fondé sur les principes les plus récents du design moderniste, il avait plusieurs autres objectifs : fournir des logements aux vagues d’immigrants arrivés après la Seconde Guerre mondiale, déplacer les populations juives du centre vers la périphérie, sécuriser la frontière et occuper le territoire afin de rendre plus difficile le retour des réfugiés.

    Dans les années 1950 et 1960, le #plan_directeur de Sharon et de ses successeurs a conduit à la construction, dans les « #zones_frontalières », définies à l’époque comme représentant environ 40 % du pays, de centres régionaux ou « #villes_de_développement » qui desservaient une constellation d’#implantations_agraires. Ces villes de développement devaient accueillir les immigrants juifs d’Afrique du Nord – les Juifs arabes – qui allaient être prolétarisés et devenir des ouvriers d’usine. Les implantations agraires de type kibboutz et #moshav étaient destinées aux pionniers du #mouvement_ouvrier, principalement d’Europe de l’Est. Les #terres appartenant aux villages palestiniens de #Dayr_Sunayd, #Simsim, #Najd, #Huj, #Al_Huhrraqa, #Al_Zurai’y, #Abu_Sitta, #Wuhaidat, ainsi qu’aux tribus bédouines #Tarabin et #Hanajre, sont occupées par les villes de développement #Sderot et #Ofakim et les kibboutzim de #Re’im, #Mefalsim, #Kissufim et #Erez. Toutes ces installations ont été visées le 7 octobre.

    La première #clôture

    À la suite de l’#occupation_israélienne de 1967, le gouvernement a établi des installations entre les principaux centres de population palestinienne à Gaza même, dont la plus grande était #Gush_Katif, près de Rafah, à la frontière égyptienne ; au total, les #colonies israéliennes couvraient 20 % du territoire de Gaza. Au début des années 1980, la région de Gaza et ses environs a également accueilli de nombreux Israéliens évacués du Sinaï après l’accord de paix avec l’Égypte.

    La première clôture autour du territoire a été construite entre 1994 et 1996, période considérée comme l’apogée du « #processus_de_paix ». Gaza était désormais isolée du reste du monde. Lorsque, en réponse à la résistance palestinienne, les colonies israéliennes de Gaza ont été démantelées en 2005, certaines des personnes évacuées ont choisi de s’installer près des frontières de Gaza. Un deuxième système de clôture, plus évolué, a été achevé peu après. En 2007, un an après la prise de pouvoir du Hamas à Gaza, Israël a entamé un #siège à grande échelle, contrôlant et limitant les flux entrants de produits vitaux - #nourriture, #médicaments, #électricité et #essence.

    L’#armée_israélienne a fixé les privations à un niveau tel que la vie à Gaza s’en trouve presque complètement paralysée. Associé à une série de campagnes de #bombardements qui, selon les Nations unies, ont causé la mort de 3 500 Palestiniens entre 2008 et septembre 2023, le siège a provoqué une #catastrophe_humanitaire d’une ampleur sans précédent : les institutions civiles, les hôpitaux, les systèmes d’approvisionnement en eau et d’hygiène sont à peine capables de fonctionner et l’électricité n’est disponible que pendant la moitié de la journée environ. Près de la moitié de la population de Gaza est au #chômage et plus de 80 % dépend de l’#aide pour satisfaire ses besoins essentiels.

    L’enveloppe de Gaza

    Le gouvernement israélien offre de généreux #avantages_fiscaux (une réduction de 20 % de l’impôt sur le revenu par exemple) aux habitants des installations autour de Gaza, dont beaucoup longent une route parallèle à la ligne de démarcation, à quelques kilomètres de celle-ci. L’enveloppe de Gaza comprend 58 installations situées à moins de 10 km de la frontière et comptant 70 000 habitants. Au cours des dix-sept années depuis la prise de pouvoir par le Hamas, malgré les tirs sporadiques de roquettes et de mortiers palestiniens et les bombardements israéliens sur le territoire situé à quelques kilomètres de là, les installations n’ont cessé d’augmenter. La hausse des prix de l’immobilier dans la région de Tel-Aviv et les collines ouvertes de la région (que les agents immobiliers appellent la « Toscane du nord du Néguev ») a entraîné un afflux de la classe moyenne.

    De l’autre côté de la barrière, les conditions se sont détériorées de manière inversement proportionnelle à la prospérité croissante de la région. Les installations sont un élément central du système d’#enfermement imposé à Gaza, mais leurs habitants tendent à différer des colons religieux de Cisjordanie. Démontrant l’aveuglement partiel de la gauche israélienne, certaines personnes installées dans le Néguev sont impliquées dans le #mouvement_pacifiste.

    Le 7 octobre, les combattants du Hamas ont forcé les éléments interconnectés du réseau de siège. Des tireurs d’élite ont tiré sur les caméras qui surplombent la zone interdite et ont lancé des grenades sur les #tours_de_communication. Des barrages de roquettes ont saturé l’#espace_radar. Plutôt que de creuser des tunnels sous les clôtures, les combattants sont venus par le sol. Les observateurs israéliens ne les ont pas vus ou n’ont pas pu communiquer assez rapidement ce qu’ils ont vu.

    Les combattants ont fait sauter ou ouvert quelques douzaines de brèches dans la clôture, élargies par les bulldozers palestiniens. Certains combattants du Hamas ont utilisé des parapentes pour franchir la frontière. Plus d’un millier d’entre eux ont pris d’assaut les bases militaires. L’armée israélienne, aveuglée et muette, n’a pas de vision claire du champ de bataille et les détachements mettent des heures à arriver. Des images incroyables sont apparues sur Internet : des adolescents palestiniens ont suivi les combattants à vélo ou à cheval, sur une terre dont ils avaient peut-être entendu parler par leurs grands-parents, maintenant transformée au point d’en être méconnaissable.

    Les #massacres du 7 octobre

    Les événements auraient pu s’arrêter là, mais ce ne fut pas le cas. Après les bases, ce furent les installations, les horribles massacres maison par maison, et le meurtre d’adolescents lors d’une fête. Des familles ont été brûlées ou abattues dans leurs maisons, des civils incluant des enfants et des personnes âgées ont été prises en otage. Au total, les combattants ont tué environ 1 300 civils et soldats. Plus de 200 personnes ont été capturées et emmenées à Gaza. Jusqu’alors, rien, dans la #violence ni la #répression, n’avait rendu de tels actes inévitables ou justifiés.

    Israël a mis des décennies à brouiller la ligne de démarcation entre les fonctions civiles et militaires des installations, mais cette ligne a aujourd’hui été brouillée d’une manière jamais envisagée par le gouvernement israélien. Les habitants civils cooptés pour faire partie du mur vivant de l’enveloppe de Gaza ont subi le pire des deux mondes. Ils ne pouvaient pas se défendre comme des soldats et n’étaient pas protégés comme des civils.

    Les images des installations dévastées ont permis à l’armée israélienne d’obtenir carte blanche de la part de la communauté internationale et de lever les restrictions qui avaient pu être imposées précédemment. Les hommes politiques israéliens ont appelé à la #vengeance, avec un langage explicite et annihilationiste. Les commentateurs ont déclaré que Gaza devrait être « rayée de la surface de la Terre » et que « l’heure de la Nakba 2 a sonné ». #Revital_Gottlieb, membre du Likoud à la Knesset, a tweeté : « Abattez les bâtiments ! Bombardez sans distinction ! Assez de cette impuissance. Vous le pouvez. Il y a une légitimité mondiale ! Détruisez Gaza. Sans pitié ! »

    L’échange de prisonniers

    Les otages civils des installations dont Israël a fait un « mur vivant » sont devenus pour le Hamas un #bouclier_humain et des atouts pour la #négociation. Quelle que soit la façon dont le #conflit se termine, que le Hamas soit ou non au pouvoir (et je parie sur la première solution), Israël ne pourra pas éviter de négocier l’#échange_de_prisonniers. Pour le Hamas, il s’agit des 6 000 Palestiniens actuellement dans les prisons israéliennes, dont beaucoup sont en #détention_administrative sans procès. La prise en otages d’Israéliens a occupé une place centrale dans la #lutte_armée palestinienne tout au long des 75 années de conflit. Avec des otages, l’#OLP et d’autres groupes cherchaient à contraindre Israël à reconnaître implicitement l’existence d’une nation palestinienne.

    Dans les années 1960, la position israélienne consistait à nier l’existence d’un peuple palestinien, et donc qu’il était logiquement impossible de reconnaître l’OLP comme son représentant légitime. Ce déni signifiait également qu’il n’y avait pas à reconnaître les combattants palestiniens comme des combattants légitimes au regard du droit international, et donc leur accorder le statut de #prisonniers_de_guerre conformément aux conventions de Genève. Les Palestiniens capturés étaient maintenus dans un #vide_juridique, un peu comme les « combattants illégaux » de l’après 11-septembre.

    En juillet 1968, le Front populaire de libération de la Palestine (FPLP) a détourné un vol d’El-Al et l’a fait atterrir en Algérie, inaugurant une série de détournements, dont l’objectif explicite était la libération de prisonniers palestiniens. L’incident d’Algérie a conduit à l’échange de 22 otages israéliens contre 16 prisonniers palestiniens, bien que le gouvernement israélien ait nié un tel accord. Seize contre 22 : ce taux d’échange n’allait pas durer longtemps. En septembre 1982, après l’invasion du Liban par Israël, le Commandement général du FPLP d’Ahmed Jibril a capturé trois soldats de l’armée israélienne ; trois ans plus tard, dans le cadre de ce qui a été appelé l’accord Jibril, Israël et le FPLP-CG sont finalement parvenus à un accord d’échange de prisonniers : trois soldats contre 1 150 prisonniers palestiniens. Dans l’accord de 2011 pour la libération de Gilad Shalit, capturé par le Hamas en 2006, le taux d’échange était encore plus favorable aux Palestiniens : 1 027 prisonniers pour un seul soldat israélien.
    Directive Hannibal

    Anticipant de devoir conclure de nombreux accords de ce type, Israël s’est mis à arrêter arbitrairement davantage de Palestiniens, y compris des mineurs, afin d’augmenter ses atouts en vue d’un échange futur. Il a également conservé les corps de combattants palestiniens, qui devaient être restitués dans le cadre d’un éventuel échange. Tout cela renforce l’idée que la vie d’un colonisateur vaut mille fois plus que la vie d’un colonisé, calcul qui évoque inévitablement l’histoire du #colonialisme et du commerce d’êtres humains. Mais ici, le taux de change est mobilisé par les Palestiniens pour inverser la profonde asymétrie coloniale structurelle.

    Tous les États ne traitent pas de la même manière la capture de leurs soldats et de leurs citoyens. Les Européens et les Japonais procèdent généralement à des échanges secrets de prisonniers ou négocient des rançons. Les États-Unis et le Royaume-Uni affirment publiquement qu’ils ne négocient pas et n’accèdent pas aux demandes des ravisseurs et, bien qu’ils n’aient pas toujours respecté cette règle à la lettre, ils ont privilégié l’abstention et le silence lorsqu’une opération de sauvetage semblait impossible.

    Cette attitude est considérée comme un « moindre mal » et fait partie de ce que les théoriciens des jeux militaires appellent le « jeu répété » : chaque action est évaluée en fonction de ses éventuelles conséquences à long terme, les avantages d’obtenir la libération d’un prisonnier étant mis en balance avec le risque que l’échange aboutisse à l’avenir à la capture d’autres soldats ou civils.

    Lorsqu’un Israélien est capturé, sa famille, ses amis et ses partisans descendent dans la rue pour faire campagne en faveur de sa libération. Le plus souvent, le gouvernement y consent et conclut un accord. L’armée israélienne déconseille généralement au gouvernement de conclure des accords d’échange, soulignant le risque pour la sécurité que représentent les captifs libérés, en particulier les commandants de haut rang, et la probabilité qu’ils encouragent les combattants palestiniens à prendre davantage d’otages. Yahya Sinwar, qui est aujourd’hui le chef du Hamas, a été libéré dans le cadre de l’#accord_Shalit. Une importante campagne civile contre ces échanges a été menée par le mouvement religieux de colons #Gush_Emunim, qui y voyait une manifestation de la fragilité de la société « laïque et libérale » d’Israël.

    En 1986, à la suite de l’#accord_Jibril, l’armée israélienne a publié la directive controversée Hannibal, un ordre opérationnel secret conçu pour être invoqué lors de la capture d’un soldat israélien par une force armée irrégulière. L’armée a nié cette interprétation, mais les soldats israéliens l’ont comprise comme une autorisation de tuer un camarade avant qu’il ne soit fait prisonnier. En 1999, #Shaul_Mofaz, alors chef de l’état-major général, a expliqué cette politique en ces termes : « Avec toute la douleur que cela implique, un soldat enlevé, contrairement à un soldat tué, est un problème national. »

    Bien que l’armée ait affirmé que le nom de la directive avait été choisi au hasard par un programme informatique, il est tout à fait approprié. Le général carthaginois Hannibal Barca s’est suicidé en 181 avant J.-C. pour ne pas tomber aux mains des Romains. Ceux-ci avaient fait preuve d’une détermination similaire trente ans plus tôt : lorsque Hannibal tenta d’obtenir une rançon pour les soldats qu’il avait capturés lors de sa victoire à Cannes, le Sénat, après un débat houleux, refusa et les prisonniers furent exécutés.

    Le 1er août 2014, lors de l’offensive sur Gaza connue sous le nom d’« #opération_Bordure_protectrice », des combattants palestiniens ont capturé un soldat de Tsahal près de Rafah, et la #directive_Hannibal est entrée en vigueur. L’armée de l’air a bombardé le système de tunnels où avait été emmené le soldat, tuant 135 civils palestiniens, dont des familles entières. L’armée a depuis annulé la directive. Toutefois, la plupart des bombardements actuels vise les #tunnels où se trouvent les postes de commandement du Hamas et les otages : le gouvernement semble ainsi, par ces bombardements aveugles, non seulement menacer les Gazaouis d’une #destruction sans précédent, mais aussi revenir au principe de préférer des captifs morts à un accord. #Bezalel_Smotrich, ministre israélien des finances, a appelé à frapper le Hamas « sans pitié, sans prendre sérieusement en considération la question des captifs ». #Gilad_Erdan, ambassadeur d’Israël auprès des Nations unies, a déclaré que les otages « ne nous empêcheraient pas de faire ce que nous devons faire ». Mais dans cette guerre, le sort des #civils de Gaza et des Israéliens capturés est étroitement lié, tout comme celui des deux peuples.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/041123/taux-de-change-retour-sur-la-politique-israelienne-des-otages
    #Israël #Palestine #Eyal_Weizman #à_lire

  • La frontiere tue, l’état complice - Un nouveau mort près de Briançon
    https://ricochets.cc/La-frontiere-tue-l-etat-complice-Un-nouveau-mort-pres-de-Briancon.html

    LA FRONTIERE TUE, L’ETAT COMPLICE Dans la nuit du 27 au 28 octobre 2023, la police a traqué un groupe de quatre personnes parti de Clavière vers 4h du matin. Après une course poursuite, deux d’entre eux ont été arrêtés, tandis que les deux autres se sont retrouvés seuls et perdus dans la montagne sans téléphone, et donc sans gps, traqués par la police. Après s’être cachés et avoir marché pendant deux jours, ils ont fini par retrouver – vers 1h du matin le 29 octobre 2023 - un chemin longeant une falaise. (...) #Les_Articles

    / #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire, #Migrant.e.s_-_Réfugié.e.s_-_Exilé.e.s

    https://valleesenlutte.org/spip.php?article649

  • La tyrannie macroniste utilise sans limite les institutions non-démocratiques en place pour imposer ses méthodes de dictature
    https://ricochets.cc/La-tyrannie-macroniste-utilise-sans-limite-les-institutions-non-democratiq

    Les digues de la décence minimale cèdent partout. Les défenseurs de la démocratie réelle, des contre-pouvoirs effectifs, de la liberté d’opposition, de l’égalité sociale et de la fraternité... vont-ils se dresser ensemble pour stopper la tyrannie en France macronisée engagée dans un processus de fascisation ? Plus la tyrannie s’installe et renforce ses moyens de contrôle et de coercitions, plus il devient difficile de la démanteler. Attendre et regarder ailleurs c’est s’ajouter de nouvelles difficultés et (...) #Les_Articles

    / Autoritarisme, régime policier, démocrature..., Procès, justice, répression policière ou (...)

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature... #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire

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    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...

  • #Dispak_Dispac’h

    Quelles vies valent d’être pleurées  ? Comment s’ouvrir et comment résister  ? Installons-nous dans l’#agora de Dispak Dispac’h avec les protagonistes et écoutons le magistral #acte_d’accusation émis en 2018 par le Groupe d’information et de soutien des immigrés (GISTI) lors du #Tribunal_permanent_des_peuples qui met l’Europe face aux violations des droits des personnes migrantes et réfugiées que notre continent laisse commettre. Les interprètes et membres de la société civile vont tour à tour prendre la parole, s’écouter, se regarder, danser et créer avec nous un espace propre à éveiller nos envies d’agir. C’est le dispositif imaginé par #Patricia_Allio, autrice, metteuse en scène et réalisatrice bretonne, dont le regard et la pratique bouleversent nos sensibilités et visent notre Europe et ses abdications

    https://festival-avignon.com/fr/edition-2023/programmation/dispak-dispac-h-332016
    #théâtre #migrations #réfugiés #droits_fondamentaux #art_et_politique #justice_transformatrice #politiques_migratoires #accusation

  • « C’est la criminalisation des idées politiques de gauche qui est en jeu dans ce procès. »
    https://ricochets.cc/C-est-la-criminalisation-des-ide%CC%81es-politiques-de-gauche-qui-est-en-j

    L’offensive du régime macroniste, des autres droitistes et de l’Etat-capitalisme contre les mouvements subversifs de gauche et leurs idées s’étend dans les médias dominants, dans la répression policière, et aussi dans les lois et procès. Nouvel exemple : ⚖️ TRIBUNE : NE NOUS LAISSONS PAS (ANTI)TERRORISER – « Solidarité avec les inculpé·es du 8 décembre » – « C’est la criminalisation des idées politiques de gauche qui est en jeu dans ce procès. » En soutien aux inculpé·es du procès dit de « l’ultragauche », (...) #Les_Articles

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    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature... #Fichage,_contrôle_et_surveillance
    https://iaata.info/Gardes-a-vues-Antiterroristes-Comment-les-biais-psychologiques-induisent-de-

  • #Valence, affaire ubuesque de l’enseigne du CHAMAS Tacos : la police est partout - ambiance kafkaïenne et fascisante
    https://ricochets.cc/Valence-affaire-ubuesque-de-l-enseigne-du-CHAMAS-Tacos-la-police-est-parto

    Il est déjà hallucinant que des personnes puissent se plaindre à la police d’une enseigne lumineuse défectueuse qui affichait innocemment HAMAS au lieu de CHAMAS, mais il est encore plus ubuesque que des policiers municipaux se déplacent en nombre (deux patrouilles) pour ça et de surcroit obligent à éteindre l’enseigne immédiatement sous menace de fermeture administrative ! Voici la voix du Daubé sur cette affaire à la fois drôle et terrifiante, et ci-dessous un post qui relie ce fait au contexte et à (...) #Les_Articles

    / Valence, #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire, Autoritarisme, régime policier, (...)

    #Autoritarisme,_régime_policier,_démocrature...
    https://www.ledauphine.com/economie/2023/10/19/a-cause-d-une-lettre-defectueuse-le-chamas-tacos-devient-hamas-tacos-le-

  • La saga des « Décrocheuses de #Valence » - Rassemblement de soutien le 24
    https://ricochets.cc/La-saga-des-Decrocheuses-de-Valence-Rassemblement-de-soutien-24-octobre-20

    Rappel des faits : Léa, Lucie et Anne-Marie , décrocheuses du portrait de Macron dans la mairie de la Roche de Glun, , lors de la campagne nationale de 2019 « Décrochons Macron » initiée par l’association ANV-Cop 21 , pour dénoncer l’inaction climatique et sociale du gouvernement, ont été relaxée en 1re instance au tribunal de Valence, en novembre 2020. Le parquet fait aussitôt appel et elles se retrouvent en Cour d’appel de Grenoble en juin 2021, condamnées du chef de « vol en réunion » pour une peine (...) #Les_Articles

    / Valence, #Procès,_justice,_répression_policière_ou_judiciaire

  • 11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace

    –—

    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    Le 20.09.2023 la défense de #Mimmo_Lucano a prononcé le plaidoyer final dans le cadre de l’#appel à la condamnation de l’ancien maire de #Riace...
    https://seenthis.net/messages/1018103

    #accueil #migrations #solidarité #asile #réfugiés #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acquittement #justice #Xenia

    • La corte d’appello condanna Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi

      La sentenza di primo grado aveva fissato la condanna a 13 anni e due mesi, la procura aveva chiesto 10 anni e 5 mesi. I suoi avvocati volevano l’assoluzione. Lucano non ha mai smesso di lavorare nei progetti per l’accoglienza e in una lettera aveva invitato i giudici ad andare a vedere il Villaggio Globale di Riace

      La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi: un decimo di quanto chiesto dalla procura. Le accuse sono state fortemente ridimensionate, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni.

      La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride. Un processo che lo vede alla sbarra insieme ad altre 17 persone. Le accuse erano pesanti: associazione a delinquere e peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa.

      La prima condanna

      Il Tribunale di Locri a settembre del 2021 lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, e 700mila euro di danni per la gestione dei progetti di accoglienza per i migranti (ma c’è anche la gestione dei rifiuti, il mancato pagamento della Siae e altri illeciti amministrativi), nonostante Riace sia stata lodata in tutto il mondo, e gli stessi giudici abbiano descritto i progetti come figli di un’utopia.

      Dal processo è stato dimostrato che Lucano non ha tratto benefici per il suo conto corrente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici trovavano la colpa nel «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico».

      E ancora: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», perché, si leggeva, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».

      Per i difensori, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, si tratta di un processo politico, in cui sono stati fatti anche errori. Durante il processo d’appello sono state aggiunte nuove intercettazioni e contestate trascrizioni della guardia di finanza da quelle precedenti. Nelle motivazioni d’appello i due legali avevano parlato di «lettura forzata se non surreale dei fatti».

      Dopo la sentenza di primo grado era scaturito in ambito internazionale un appello firmato dal linguista Noam Chomsky, dall’ex capitana Sea Watch Carola Rackete, fino al leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon perché venissero ritirate le accuse a suo carico.
      La lettera

      Alle ultime elezioni regionali si era candidato in appoggio a Luigi de Magistris, ma non è stato eletto. Non ha smesso di lavorare. Il 20 settembre l’ex sindaco di Riace ha consegnato una lettera alla Corte: «Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».

      Lucano ha poi ricordato: «Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali».

      Ma non ha desistito, e ha invitato i giudici ad andare a vedere i risultati del suo lavoro: «Ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

      https://www.editorialedomani.it/politica/italia/mimmo-lucano-sentenza-corte-appello-oooeao9j

    • Non reggono in Appello le accuse monstre a Lucano. L’ex sindaco condannato a un anno e 6 mesi
      https://www.youtube.com/watch?v=qBE1GEzNnow&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

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      La decisione della Corte nel processo al “modello Riace”: assolti 15 imputati su 17. L’accusa aveva chiesto 10 anni 5 mesi per l’ex sindaco. In primo grado la pena comminata era stata di oltre 13 anni

      L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano è stato condannato a un anno e sei mesi (con pena sospesa) dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, pena sensibilmente inferiore rispetto ai 13 anni e due mesi rimediati in primo grado e rispetto alla richiesta della Procura generale (10 anni e 5 mesi). Oggi assente a Reggio Calabria, l’ex primo cittadino ha atteso l’esito della camera di consiglio durata circa sei ore, nel piccolo borgo del “modello” per molti anni simbolo dell’accoglienza e alla sbarra dopo l’inchiesta “Xenia” della procura di Locri. Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione.

      L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, aveva chiesto per l’ex primo cittadino una condanna di 10 anni e 5 mesi di reclusione. Imputati davanti ai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, (presidente Elisabetta Palumbo, giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti) Lucano e altre 17 persone.
      Si conclude così il secondo capitolo giudiziario scaturito dall’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che si basa sull’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza dei migranti per “trarre vantaggi personali”. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema di accoglienza messo in piedi nel borgo della Locride. In primo grado il Tribunale di Locri aveva condannato Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, a fronte della richiesta della Procura a 7 anni e 11 mesi.

      Il dibattimento

      Nel corso del dibattimento i legali di Lucano, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, avevano sottolineato come quella di Lucano fosse una «innocenza documentalmente provata» poiché l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso».
      Nelle motivazioni d’appello i legali avevano sottolineato che in sentenza c’era stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili. Nel corso delle arringhe finali i legali di Lucano avevano chiesto alla corte di ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva motivato la sentenza in 900 pagine definendo Lucano “dominus indiscusso” del sistema messo in piedi a Riace per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Tanti i sostenitori di Lucano che hanno atteso la decisione dei giudici dentro e fuori la Corte d’appello di Reggio Calabria, tra loro anche Giuseppe Lavorato.
      In tanti di sono recati anche a Riace e hanno aspettato insieme all’ex sindaco l’esito del processo.

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/10/11/non-reggono-in-appello-le-accuse-monstre-a-lucano-lex-sindaco-

    • Lucano: “Finalmente respiro e ora torno in politica. Sogno un’altra Italia”

      Dopo la sentenza che ha cancellato la condanna a 13 anni e due mesi, parla l’ex sindaco del paese dell’accoglienza. “Riace era avanguardia dei diritti e della speranza, torniamo a esserlo”

      Ora respiro, ora respiro di nuovo». Non è facile parlare con l’ex sindaco dell’accoglienza Mimmo Lucano dopo la sentenza che lo ha assolto dall’accusa di aver trasformato la “sua” Riace in un “sistema clientelare” costruito al solo scopo di “ricavarne benefici politici”, sostenevano i giudici del primo grado. “Che assurdità. Proprio io, che non mi sono mai voluto candidare. Ma adesso la verità è stata ristabilita”, dice l’ex sindaco dell’accoglienza mentre dietro di lui si sente il paese in festa e di tanto in tanto la comunicazione salta perché qualcuno l’abbraccia forte.

      Quando ha sentito il giudice leggere la sentenza che ribaltava quella durissima di primo grado che effetto le ha fatto?

      “In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere”.

      È stata dura?

      “È stata dura, è stata lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Ma adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più”.

      In questi anni c’è stato qualcosa che è stato più difficile di altre da sopportare?

      «Il sospetto. Quelle ombre che sono state evocate su di me, l’idea che è stata instillata che avessi fatto tutto per un tornaconto personale. Riace era ed è un’idea di umanità, di rinascita per gli ultimi, per tutti. Adesso la verità è venuta a galla».

      I giudici di primo grado dietro quel modello avevano letto un sistema criminale.

      “Assurdo. La contestazione di associazione a delinquere è quanto di più lontano da quello che il villaggio globale, la comunità che qui avevamo costruito, rappresenta.Noi abbiamo sempre lottato per la fratellanza, perché tutti avessero un’opportunità, questa è l’antitesi alle associazioni criminali, che qui significano mafia. E noi l’abbiamo sempre combattuta. I miei primi passi in politica sono stati proprio contro la mafia”.

      A proposito di politica, cade anche l’interdizione ai pubblici uffici. Pensa di candidarsi nuovamente?

      “È presto, la sentenza è appena arrivata, solo adesso inizio a realizzare, ma ci sto pensando. Sicuramente adesso si apre una fase nuova, di rinascita e di speranza”.

      In che misura?

      “Fin dall’inizio della sua storia Riace è stata un’avanguardia in termini di difesa dei diritti umani, anzi dell’umanità. Abbiamo mostrato concretamente che accoglienza non è un problema di ordine pubblico o motivo di allarme sociale, ma occasione per il territorio che la sperimenta, crescita, rinascita per tutti, per chi c’era e per chi viene accolto”.

      E adesso che l’Italia sembra andare in tutt’altra direzione?

      «In questo momento storico così buio, con i decreti Cutro e Piantedosi che criminalizzano i migranti e chi prova a essere solidale, che i giudici cancellino una sentenza che provava a smentirlo trasforma Riace nuovamente in un’avanguardia».

      Di cosa?

      «Della speranza di un’altra Riace possibile, di un’altra Italia possibile, di un altro mondo possibile. Noi abbiamo sempre lottato per questo».

      Nel frattempo però il “paese dell’accoglienza” è stato distrutto

      «In realtà non del tutto. Paradossalmente la sentenza di primo grado ha scatenato un’ondata incredibile di solidarietà. Associazioni come “A buon diritto” hanno promosso persino una raccolta fondi per aiutarmi a pagare la sanzione pecuniaria che mi era stata inflitta. Ma quando il presidente Luigi Manconi mi ha chiamato, gli ho chiesto di usare quei fondi per altro».

      A cosa sono stati destinati?

      «Qui a Riace vivono ancora tante famiglie di rifugiati, quei fondi sono stati utilizzati per dei progetti di lavoro che adesso impiegano tantissime persone anche in strutture come il frantoio, che inizialmente era stato letto come parte di un progetto criminale ed è speranza per chi è arrivato senza più avere nulla».

      Insomma, l’accoglienza a Riace non è morta.

      «Assolutamente no e questo si deve anche a tutte le persone che in questi anni non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno né a me, né a Riace. Il mio primo pensiero oggi è stato per loro, per i miei legali, l’avvocato Mazzone soprattutto, il primo a credere in me e che adesso non c’è più».

      Al ministro Salvini che in passato l’ha definita uno zero ha pensato?

      «No, ma so che è uno che guarda il calcio. E a lui che ha usato la mia condanna per criminalizzare l’accoglienza direi che i risultati si commentano a fine partita».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/10/12/news/lucano_finalmente_respiro_e_ora_torno_in_politica_sogno_unaltra_italia-41

    • Freispruch in Riace

      Dem für gute Flüchtlingsarbeit bekannten italienischen Bürgermeister drohten 13 Jahre Haft. Jetzt hat ihn ein Gericht in zweiter Instanz freigesprochen.

      Mimmo Lucano ist kein Schwerverbrecher. Zu diesem Schluss kam am Mittwochnachmittag das Gericht im süditalienischen Reggio Calabria, das in zweiter Instanz den früheren Bürgermeister der kleinen kalabrischen Gemeinde Riace in fast allen Anklagepunkten freisprach.

      Lucano war mit seiner Politik der ausgestreckten Hand gegenüber Mi­gran­t*in­nen weit über Italien hinaus berühmt geworden, und wurde für sein „Modell Riace“ in den Medien gefeiert und mit Preisen ausgezeichnet, unter anderem mit dem Friedenspreis der Stadt Dresden – bis er im Jahr 2021 in erster Instanz als angeblicher Chef einer kriminellen Vereinigung zu exorbitanten 13 Jahren und 2 Monaten Haft verurteilt wurde.

      Angeblich hatte er, der in den Jahren 2004 bis 2018 Bürgermeister des 1.800-Seelen-Ortes Riace war, sich der Förderung illegaler Einwanderung schuldig gemacht, zahlreiche Delikte wie Betrug, Urkundenfälschung, Unterschlagung begangen, mehr als 700.000 Euro an staatlichen Geldern beiseite geschafft.
      Alles nur Show in Riace?

      Und das Modell Riace? Alles nur Fassade, wenn man Staatsanwaltschaft und Gericht glauben darf, das 2021 in erster Ins­tanz urteilte. Diese „Fassade“ bestand darin, dass Lucano dem Verfall des Dorfkerns von Riace, dem Wegzug jüngerer Menschen etwas entgegensetzen wollte: die Ansiedlung von Migrant*innen, für die Häuser instand gesetzt wurden, und die Schaffung von Arbeit in neu eröffneten Läden und Werkstätten, in denen alteingesessene Bür­ge­r*in­nen gemeinsam mit Neuankömmlingen aus Syrien oder Äthiopien tätig waren. Ende 2017 lebten 470 Mi­gran­t*in­nen in Riace, mehr als ein Viertel der Ortsbevölkerung.

      Doch in den Augen des Innenministeriums in Rom und der Justiz war das alles nur Show. Im Jahr 2017 behauptete der damalige Präfekt von Reggio Calabria, in Riace würden systematisch die staatlichen Zuwendungen für Mi­gran­t*in­nen unterschlagen. 2018 dann erließ das Gericht von Locri Haftbefehl gegen Lucano, der in Hausarrest genommen und seines Amtes enthoben wurde.

      Der damalige Innenminister und Chef der fremdenfeindliche Lega, Matteo Salvini, nutzte diese Steilvorlage, um das Modell Riace von einem Tag auf den anderen zu liquidieren und die dort lebenden Geflüchteten wegzuschaffen.
      Weder persönliche Bereicherung noch politischer Ehrgeiz

      Lucano stand mit 23 Mitangeklagten vor Gericht, und wurde dann zu einer Haftstrafe verurteilt, die eines Mafiabosses würdig gewesen wäre. Dabei mussten auch die Staatsanwaltschaft und das damals urteilende Gericht zugeben, dass auf keinem seiner Konten auch nur ein roter Heller war und ihm keine private Bereicherung nachgewiesen werden konnte. Aber egal: Seine Gegner argumentierten, es sei ihm um „politischen Nutzen“ und den eigenen Ruhm gegangen. Lucano allerdings hatte mehrfach Angebote für Kandidaturen zum Europaparlament und zum nationalen Parlament ausgeschlagen. Viel politischer Ehrgeiz war da nicht zu sehen.

      Zu einer ganz anderen Würdigung kamen denn jetzt auch die Rich­te­r*in­nen in zweiter Instanz. Fast alle Mitangeklagten Lucanos wurden freigesprochen. Er selbst allerdings wurde wegen Urkundenfälschung in einem Verwaltungsakt von 2017 zu 18 Monaten Haft auf Bewährung verurteilt. Dennoch feierten er und seine An­hän­ge­r*in­nen das Verdikt wie einen Freispruch. Die zahlreichen Anwesenden im Gerichtssaal stimmten „Mimmo, Mimmo!“-Sprechchöre an und sangen „Bella Ciao“. Lucano selbst, der das Urteil in Riace abgewartet hatte, brach nach dem Richterspruch in Freudentränen aus. Er sieht seinen guten Ruf wiederhergestellt und erwägt eine Rückkehr in die Politik.

      https://taz.de/Ex-Buergermeister-Mimmo-Lucano/!5962687

    • Mimmo Lucano, ridotta drasticamente la condanna in appello: un urlo liberatorio!

      «La solidarietà non può essere reato»

      La sentenza di appello del processo a carico dell’ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, e dei membri della sua giunta, per un totale di 18 imputati, rovescia completamente il verdetto di primo grado.

      I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, lo hanno condannato a un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, stravolgendo la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio per le iniziative di accoglienza, cooperazione, convivenza pacifica e solidarietà costruite nei tre mandati (tra il 2004 e il 2018) da Sindaco di Riace.

      La Corte ha così assolto Lucano da tutti i reati più gravi e poi tutti gli altri 17 imputati e ha ristabilito una verità dei fatti totalmente diversa da quella, abnorme, disegnata dal primo grado.

      «Ci sarà ora qualcuno che chiederà scusa a Mimmo Lucano per la sistematica attività di diffamazione indirizzata nei suoi confronti» si chiede A Buon Diritto.

      Per il presidente, Luigi Manconi, e per tutta l’associaizone «la soddisfazione per la sentenza di appello è grande».

      «Abbiamo sostenuto fin dal primo momento l’idea di politica dell’accoglienza e dell’ospitalità promossa dalla giunta di Riace e abbiamo sostenuto gli imputati con una sottoscrizione nazionale che ha dato eccezionali risultati. Questa sentenza conferma che eravamo nel giusto quando affermavamo che la solidarietà non può essere criminalizzata», conclude l’associazione alla quale si sono aggiunti in queste ore diversi commenti di personalità e organizzazioni solidali che sono sempre state vicine all’ex Sindaco.

      Intervistato da Repubblica, Mimmo Lucano ha detto: «In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere».

      E poi: «È stata dura e lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più».

      https://twitter.com/RaffaellaRoma/status/1712154008217854430

      https://www.meltingpot.org/2023/10/mimmo-lucano-ridotta-drasticamente-la-condanna-in-appello-un-urlo-libera

    • C’è un giudice a Reggio Calabria

      Mimmo Lucano, a lungo agli arresti domiciliari e condannato a tredici anni e due mesi dal tribunale di Locri, con una sentenza nella cui motivazione si leggono anche pesanti giudizi etici (un “falso innocente» che avrebbe agito con una «logica predatoria delle risorse pubbliche» per soddisfare «appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica»), ha visto oggi la Corte d’appello di Reggio Calabria assolvere i suoi coimputati (salvo uno) e ridurre drasticamente la condanna a un anno e sei mesi di reclusione.

      Da quel che si può capire dal dispositivo letto oggi in udienza, la condanna dovrebbe riguardare un episodio di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta di rifiuti. Un reato che a detta del Ministro della giustizia andrebbe abolito perché inutile e fonte di ritardi e costi processuali (9 condanne su 5.000 processi penali).

      Ovviamente, come si suol dire in queste occasioni, aspettiamo di leggere la motivazione, che probabilmente ci riserverà ulteriori piacevoli sorprese. Ma già il dispositivo giustifica alcune valutazioni.

      L’indagine, nata da ispezioni al Comune di Riace disposte dal Prefetto di Reggio Calabria dell’epoca (successivamente nominato da Salvini capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale) e da indagini della Guardia di Finanza, non ha retto al vaglio del giudizio della Corte d’appello. La difesa di Lucano, sostenuta dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, aveva sostenuto, oltre ad alcuni plateali errori delle indagini (un’intercettazione erroneamente trascritta dalla polizia giudiziaria), l’inconsistenza del quadro probatorio dell’accusa e questa linea è stata evidentemente condivisa dalla Corte. Ma insieme all’accusa giuridica necessariamente dovrebbero essere caduti anche i giudizi morali negativi e le feroci critiche al modello di accoglienza realizzato da Lucano. Il “modello Riace” conosciuto e apprezzato nel mondo, sia nelle aule universitarie che nelle più diverse tribune mediatiche.

      E’ difficile però che quel modello, nell’attuale temperie culturale e politica, possa facilmente essere rimesso completamente in piedi. Non ostante la propria personale sofferenza per le accuse ricevute, Lucano, con l’aiuto concreto di alcune associazioni, ha continuato a praticare nel Villaggio Globale di Riace la sua idea di accoglienza. Non è certo il “modello Riace” che vedeva coinvolto l’intero paese, ma è importante che sia rimasto e rimanga in piedi il suo nucleo etico e culturale.

      https://www.articolo21.org/2023/10/ce-un-giudice-a-reggio-calabria

    • La condanna di Mimmo Lucano è stata ridotta in appello a 1 anno e 6 mesi

      In primo grado l’ex sindaco di Riace era stato condannato a oltre 13 anni per la gestione dei migranti, con una sentenza molto contestata

      Mercoledì la Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a un anno e sei mesi di reclusione per reati commessi nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti di Riace, in Calabria. Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni e 6 mesi di carcere, quasi il doppio della pena chiesta dall’accusa, con una sentenza assai contestata dato che la sua gestione dei migranti a Riace era stata raccontata in tutta Europa e nel resto del mondo come un modello di integrazione e solidarietà: il cosiddetto “modello Riace”.

      La sentenza d’appello è arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio e non si sanno ancora le motivazioni della decisione dei giudici. In primo grado, a settembre del 2021, Lucano era stato condannato per 21 reati che includevano associazione a delinquere e una serie di reati tra cui falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Nella sentenza di appello i giudici hanno assolto Lucano da quasi tutti i reati, dichiarato il non luogo a procedere per difetto di querela per altri e concesso la sospensione condizionale della pena.

      Lucano è stato invece condannato per falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, e comunque limitatamente a un solo atto, delle decine indicate nella sentenza di primo grado, relativo a un contributo ricevuto per l’accoglienza di alcuni migranti. La procura aveva chiesto una condanna a 10 anni e 5 mesi: insieme a Lucano erano imputate altre 17 persone, tutte assolte a parte una.

      La vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano era iniziata nel 2016, a seguito di alcune rilevazioni di varie irregolarità amministrative da parte di ispettori della prefettura locale. Due anni dopo era stata avviata un’inchiesta, l’operazione Xenia, che nel 2021 aveva portato alla condanna in primo grado da parte del tribunale di Locri. Lucano era stato invece assolto dalle accuse di concussione e immigrazione clandestina.

      In sostanza, secondo i giudici, il sistema organizzato da Lucano, descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di una serie di reati. A dicembre del 2021 erano state pubblicate le motivazioni della sentenza. Secondo i giudici Lucano li aveva compiuti per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica una volta andato in pensione. Gli avvocati di Lucano avevano ritenuto queste accuse insensate, e avevano sostenuto che Lucano avesse gestito Riace col solo scopo di realizzare un sistema ispirato a valori di accoglienza e solidarietà.

      Le critiche alla sentenza avevano riguardato anche il calcolo della pena: i giudici avevano individuato due separati disegni criminosi, ripartendo quindi in due filoni i reati di cui Lucano era accusato e quindi duplicando la pena, con più di 10 anni di reclusione per il primo e più di 2 per il secondo, raddoppiando, come detto, la pena chiesta dall’accusa.

      Lucano e i suoi avvocati avevano fatto ricorso, e a luglio del 2022 c’era stato un ulteriore sviluppo nella vicenda: la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale: significa che la corte aveva ammesso un’integrazione alle prove raccolte durante il processo di primo grado. L’integrazione consisteva in 50 pagine di una perizia cosiddetta “pro veritate”, realizzata da un consulente della difesa di Lucano, Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito aveva trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste c’erano differenze, che la difesa aveva definito «fondamentali», tra il testo che presentava Milicia e quello che venne presentato dal perito del processo di primo grado.

      Prossimamente verranno depositate le motivazioni della sentenza d’appello.

      https://www.ilpost.it/2023/10/11/lucano-appello-ridotta-pena

    • Italie : peine allégée pour le maire qui aidait des migrants

      Condamné en première instance à treize ans de prison pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », il a vu l’essentiel des charges portées contre lui être abandonnées.

      Par un cri de victoire et des embrassades avec ses proches, #Domenico_Lucano, dit « #Mimmo », a célébré l’arrêt de la cour d’appel de Reggio de Calabre, mercredi 11 octobre. Les juges lui ont en effet notifié qu’il n’était plus « que » condamné à dix-huit mois de prison avec sursis, en dépit des réquisitions du procureur. Ancien maire de Riace de 2004 à 2018, petite ville d’à peine 2 000 âmes perchée sur les collines calabraises, Mimmo Lucano avait été condamné en première instance, en 2021, à une lourde peine : plus de treize ans de réclusion pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », « pratiques frauduleuses » et « détournements de biens publics ». « Justice a été rendue à un homme qui a toujours travaillé dans le seul et unique intérêt du bien commun et de la défense des plus faibles », ont réagi les deux avocats de l’ancien élu, à la sortie de la cour d’appel.

      « Il s’agissait d’un #procès_politique, les charges pesant sur lui étaient excessives, souligne Gianfranco Schiavone, président du Consortium italien de solidarité (ICS), une plate-forme qui dispense de l’aide juridique aux demandeurs d’asile. Cet épisode restera comme une page sombre de la justice italienne, celle où l’on a cherché à démolir un homme et un #modèle d’accueil. » Car derrière le maire de Riace, c’est bien l’intégration des migrants qui était mise en cause.

      En 1998, Mimmo Lucano accueille pour la première fois des Kurdes échoués sur une plage voisine, et ne s’arrêtera plus de porter secours aux migrants. En vingt ans, il va faire de Riace une commune connue dans le monde entier pour son #accueil_inconditionnel. Des dizaines d’exilés, venus de Somalie, de Tunisie, d’Afghanistan, trouvent refuge dans la bourgade. Une coopérative sociale est créée, tout comme des boutiques. L’école du village rouvre et fait cohabiter petits Calabrais et migrants.

      Cible de Matteo Salvini

      Le « modèle Riace », perçu comme un modèle d’intégration vertueux par le travail permettant, aussi, d’enrayer le déclin d’une Calabre qui se vide, est vanté dans de nombreux pays. En 2016, le magazine américain Fortune classe l’édile au 40e rang des personnes les plus influentes de la planète. La même année, le pape François lui envoie une lettre dans laquelle il exprime son soutien à ses initiatives en faveur des migrants.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/italie-la-cour-d-appel-allege-la-peine-du-maire-calabrais-condamne-pour-avoi

    • Le maire calabrais Mimmo Lucano voit sa peine pour « délit de solidarité » réduite

      En 2021, il avait été condamné, en première instance, à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour délit de solidarité. Le crime de Domenico Lucano, dit Mimmo : avoir mis en place un ambitieux système d’accueil des réfugiés dans le village de Riace, en Calabre, dont il était maire.

      Sa peine a été réduite à un an de prison et 1 400 euros d’amende par la cour d’appel de Locri, en Calabre, qui a rendu son verdict ce mercredi en fin d’après midi. Les 17 autres solidaires assis à ses côtés sur le banc des accusés ont tous été acquittés, alors qu’ils avaient écopé, en première instance, de 1 à 10 ans de prison.

      « C’est une #victoire ! Je viens de l’avoir au téléphone. Il pleurait en remerciant tous ceux qui l’ont soutenu », explique Martine Mandrea, animatrice de son comité de soutien à Marseille.

      https://www.humanite.fr/monde/domenico-lucano/le-maire-calabrais-mimmo-lucano-voit-sa-peine-pour-delit-de-solidarite-redu

    • Cosa insegna la (quasi) assoluzione di Mimmo Lucano

      La quasi-assoluzione in appello di Mimmo Lucano e della sua giunta rappresenta una svolta nella battaglia culturale e politica relativa alla criminalizzazione della solidarietà. La pesante condanna ricevuta in primo grado, oltre tredici anni di carcere, superiore alle richieste della pubblica accusa, appare ora abnorme e immotivata, probabilmente viziata da teoremi pregiudiziali.

      All’ex sindaco di Riace era stata addebitata addirittura l’associazione per delinquere. Già il fatto che magistratura e forze dell’ordine in quel contesto avessero dedicato una quantità ingente di tempo e risorse a indagare sull’accoglienza dei rifugiati, distogliendole necessariamente dalla lotta alla ndrangheta, aveva qualcosa di surreale. Entrando nel merito, nel 2019 la Cassazione aveva criticato la conduzione delle indagini, affermando che poggiavano “sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale sfornito di significativi e precisi elementi”.

      La vicenda Lucano si aggiunge quindi a una serie di casi giudiziari in cui i protagonisti di iniziative di accoglienza verso profughi e migranti sono stati colpiti non solo da veementi campagne politiche e mediatiche, ma anche da accuse che li hanno costretti a difendersi e non di rado a sospendere la loro attività: basti ricordare Carola Rackete e le molte ong finite sotto processo, con le navi ispezionate e sequestrate, ma mai condannate; padre Mussie Zerai, processato perché impegnato ad aiutare i profughi eritrei suoi connazionali; gli attivisti di Baobab a Roma, che rifocillavano i profughi e li aiutavano a ripartire verso la Francia; i coniugi triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che con la loro associazione Linea d’Ombra assistevano i migranti della rotta balcanica.

      Il fenomeno non è solo italiano, giacché, per restare in Europa, in Francia aveva fatto rumore il processo a Cédric Herrou, contadino-attivista che accoglieva in val Roja i profughi provenienti dall’Italia.

      Non è il caso di parlare di un complotto, e tanto meno di rivolgere agli inquirenti accuse di politicizzazione speculari a quelle provenienti, anche in questi giorni, dal fronte della chiusura dei confini. Occorre però vedere in queste ripetute inchieste giudiziarie, quasi sempre destinate al fallimento o a magri risultati, uno dei frutti più tossici di un clima culturale avvelenato: un clima in cui l’accoglienza è esposta al rischio costante di essere scambiata per un atto sovversivo, di attacco alla sovranità statuale e al controllo (selettivo) dei confini. E in cui di fatto si finisce per intimidire e scoraggiare chi si mobilita per soccorrere e aiutare.

      Se vi è un auspicio da trarre da questa vicenda, è che magistratura e forze dell’ordine siano sollecitate a indirizzare le loro energie, non infinite e quindi necessariamente guidate da scelte di priorità, a indagare ben altri luoghi di malaffare, ben altre forme di lesione della legalità, ben altre violazioni della sovranità statuale. E per quanto riguarda noi cittadini, sia lecito sognare un mondo in cui l’accoglienza non sia né di destra, né di sinistra, ma la conseguenza di un’opzione per i diritti umani affrancata da logiche di schieramento.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/mimmo-lucano-assoluzione-criminalizzazione-solidarieta

    • Per Mimmo Lucano ribaltata la sentenza: crollano quasi tutte le accuse

      La Procura generale di Reggio Calabria aveva chiesto 10 anni e 5 mesi di reclusione, mentre per i giudici è rimasto in piedi solo un falso in atto pubblico per un’assegnazione di fondi a cooperative

      Crollano in appello quasi tutte le accuse contestate all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, dopo una camera di consiglio di 7 ore, lo hanno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Assolti altri 16 imputati, collaboratori di Lucano, mentre l’unica altra condanna, a un anno, è per Maria Taverniti.

      Dalla lettura del dispositivo emerge che la Corte, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha condannato Lucano solo per il reato di falso in atto pubblico in relazione ad una determina del 2017 relativa all’assegnazione di fondi pubblici alle cooperative, mentre sono state prescritte altre due accuse tra le quali l’abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel Comune di Riace a due cooperative sociali prive dei requisiti richiesti dalla legge.

      Tutti gli atti del processo sono stati trasmessi comunque alla Corte dei Conti. Il resto cade, soprattutto l’accusa di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. Lucano non era presenta alla lettura della sentenza e ha atteso l’esito nel suo paese.

      Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione che smonta le accuse contenute prima nei durissimi rapporti della Prefettura di Reggio Calabria e poi nell’inchiesta “Xenia” della procura di Locri che nel 2018 aveva portato Lucano agli arresti domiciliari. L’inchiesta della procura di Locri e poi la sentenza di primo grado avevano accusato un modello di accoglienza diventato famoso nel mondo e iniziato nel 1998 quando con un gruppo di amici accolse alcuni curdi sbarcati a Riace, da cui il soprannome “Mimmo u’ curdu”.

      Eletto tre volte sindaco, tra il 2004 e il 2018, quando venne sospeso dopo gli arresti domiciliari. «È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto, umiliato, offeso - ha commentato Lucano -. E che mi ha reso agli occhi della gente come un delinquente. Avrò fatto anche degli errori, ma sono stato attaccato, denigrato, anche a livello politico, per distruggere il “modello Riace”, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria». Ma cosa rimane del “modello Riace”? Nulla o poco più. Non esistono più né Cas, né Sprar.

      Il Comune, a guida leghista dopo la caduta di Lucano, non ha più confermato quel sistema. Il nome di Riace però continua ad attrarre. Arrivano ancora immigrati, lo stesso Lucano aiuta a trovare case, ma è accoglienza improvvisata e non ci sono né lavoro né fondi per attività. E proprio per questo hanno chiuso quasi tutte le botteghe e i laboratori di artigianato. Molti i debiti ancora da pagare e comunque nel paese non si vede più quel turismo solidale di allora. Invece purtroppo a Riace marina è comparsa la prostituzione di donne nigeriane. Non è però finito il modello calabrese di accoglienza.

      Proprio nella Locride non sono pochi i comuni che continuano ad ospitare gli immigrati, ormai realtà consolidate, come a Camini, paese confinante con Riace. O come a Roccella Jonica, anche questo confinante, Comune record per sbarchi dalla rotta turca, e dove si accoglie senza tensione. O ancora a Gioiosa Jonica, Benestare, Caulonia, Ardore, Siderno. Tutte località che ancora ospitano Cas e Sai, pur tra non poche difficoltà. Ma senza problemi di irregolarità o bilanci in disordine. Buona accoglienza silenziosa e poco conosciuta. Senza riflettori politici, positivi o negativi. Solo accoglienza e integrazione. Tutta un’altra storia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/per-lucano-ribaltata-la-sentenza

    • Mimmo Lucano: «Il modello Riace ha spaventato chi non guarda ai migranti con umanità»

      L’ex sindaco a Telesuonano: «Futuro? Tre possibilità, ma ne preferisco una». L’avvocato Daqua: «Grave errore giudiziario che nessuno ripagherà»

      https://www.youtube.com/watch?v=sw2suusH4H8

      «Il mio sogno? È nato un po’ per caso e ho cercato di realizzarlo in maniera inconsapevole. Mi sono interessato di accoglienza, di solidarietà dopo uno sbarco. Ma è vero, man mano che passavano gli anni, ho immaginato in maniera concreta di riscattare la mia terra, la Calabria. Nonostante i luoghi della precarietà, spesso anche dell’abbandono, del silenzio, dell’omertà, abbiamo trasmesso un messaggio al mondo: che almeno siamo grandi per essere vicini a chi subisce le decisioni di guerra, chi subisce scelte di politiche che hanno depredato i territori del cosiddetto terzo e quarto mondo, abbiamo fatto capire che è possibile costruire alternative umane utilizzando i nostri spazi, i nostri luoghi che sono dei luoghi abbandonati. E non c’è voluto nulla, il modello Riace non è altro che l’utilizzo di case in cui prima abitavano i nostri emigranti che per ragione di lavoro hanno cercato altrove possibilità di un sogno per la loro vita». Ha esordito così, con queste parole semplici ma potenti, Mimmo Lucano, ospite nell’ultima puntata di Telesuonano, il format condotto da Danilo Monteleone in onda su L’altro Corriere tv (canale 75). L’ex sindaco di Riace, da poco reduce dalla sentenza di appello “Xenia” che ha fatto cadere quasi tutte le accuse a suo carico (dai 13 e due mesi inflitti a Lucano in primo grado, si è passati a un anno e sei mesi – con pena sospesa – per una «residua ipotesi di falso su una determina»), ha ripercorso il suo viaggio giudiziario, partendo dall’inizio dell’operazione che lo ha coinvolto.
      Dopo la sentenza

      «Quella mattina è stato l’epilogo di qualcosa di strano. Negli ultimi anni della terza legislatura, che corrispondono al 2015-2016, avevo percepito un atteggiamento ostile soprattutto dalla prefettura di Reggio Calabria, e anche a livello centrale con tentativi così ingiustificati di contrastare quello che invece nel piccolo era stata una soluzione per un problema globale come quello della migrazione. Devo dire che il primo ad avere raccontato al mondo che in Calabria esiste un luogo in cui addirittura l’immigrazione, l’arrivo delle persone, non è solo un problema, ma risolve i problemi delle comunità locali, è stato il regista Wim Wenders. Ha detto “questo è un messaggio per il mondo, è un messaggio globale, è stato fatto a livello locale però va molto al di là di questa prospettiva”. E poi quella mattina, quell’epilogo è stata la fine di una favola, è stato di nuovo scendere nella realtà ed è cambiato tutto. Ricordo le persone che mi sono state vicine in maniera molto lucida. Ancora vivo quei momenti, quelle sensazioni, quel bussare alla porta nelle prime ore del mattino, e poi ho visto l’avvocato Antonio Mazzone, Andrea Daqua che per me non sono stati solo avvocati. Hanno lottato insieme a me per un ideale di giustizia, di rispetto, della dignità, della democrazia della nostra terra. Aspettavo questo riscatto, la mia realtà stava vivendo un paradosso. Monsignor Bregantini è venuto a fare il testimone, partendo con il treno da Campobasso e ha detto: “Attenzione, questa non è una storia criminale, è una storia profetica che indica al mondo un’altra soluzione”». Dopo la sentenza di primo grado c’è stato però qualcosa che è riuscito a dare speranza a Lucano. «È durata solo un giorno quella sensazione di sconforto, perché il giorno dopo, eravamo all’inizio di ottobre, perché la sentenza è arrivata il 30 settembre 2021, ho ricevuto una telefonata che mi ha cambiato completamente lo stato d’animo. Non lo so perché, ho avvertito che c’era quasi un raggio di luce in una storia con tante ombre. Luigi Manconi (sociologo ed ex senatore, ndr), mi chiama e mi dice che c’è un’indignazione generale per quella condanna che è una condanna che non è solo verso una persona, ma verso gli ideali che appartengono alla collettività e soprattutto appartengono anche alla dimensione dei nostri luoghi, della nostra terra. Io l’ho sempre vista sotto questo aspetto, io sono stato il tramite, però quello che volevamo contrastare è quel messaggio che dice attenzione, la soluzione umana prevale su quella disumana. La soluzione disumana non porta a nulla, porta solo a guerre, a odi, a razzismi, a commercio di armi. Manconi in quella circostanza si è fatto promotore di una raccolta fondi che era finalizzata al pagamento della mia multa, perché oltre agli anni di reclusione dovevo pagare anche una sanzione pecuniaria. Io mi sono rifiutato, perché non riconoscevo quella giustizia. Ho detto “questi fondi utilizziamoli per riavviare l’accoglienza” e così è stato. Il villaggio globale ha riaperto l’asilo, ha riaperto la mensa sociale, ha riaperto la scuola, il dopo scuola, la scuola per gli adulti, abbiamo riaperto la fattoria sociale che prima addirittura era stata considerata il luogo del reato penale per quanto riguarda il peculato».

      A chi ha dato fastidio Riace?

      «A chi ha dato fastidio Riace? Qualcuno – ha affermato Lucano – ha voluto sintetizzare dicendo così: “noi siamo Riace, loro sono Cutro”. Ecco, ancora oggi si scelgono i percorsi di deportazione per la soluzione dei migranti, di persone che, non dobbiamo mai dimenticarlo, sono vittime delle politiche dei Paesi occidentali e siamo noi che abbiamo imposto regimi, guerre, vendita di armi, abbiamo depredato quei territori, le persone che arrivano non è vero che arrivano per fare un viaggio perché sono migranti economici». Sul primo percorso ispettivo su Riace del governo, che in quella fase era di centrosinistra, Lucano evidenzia come in quel periodo si diceva che appoggiare Riace significava perdere consensi. «Perché, paradossalmente, i consensi li ha chi propone misure di ordine, di disciplina, di chiusura delle frontiere, di chiusura dei porti. Riace non è stato tutto questo, semplicemente ha proposto una soluzione partendo dai luoghi. Ancora oggi io dico, che rispetto alle deportazioni in Albania (Lucano si riferisce all’accordo Italia-Albania, ndr) la soluzione ideale sarebbe quella di riaccendere i paesi abbandonati della Calabria». «Ci sono tanti disoccupati nei nostri paesi – ha proseguito l’ex sindaco –. Addirittura quando io facevo il sindaco non c’era nemmeno il reddito di cittadinanza. C’è una realtà locale di autoctoni che vive condizioni di difficoltà e qual è la soluzione? Quella di andare via, andando via si desertificano i territori che rimangono dei luoghi dove c’è solo il silenzio. L’arrivo delle persone è stato vissuto con la consapevolezza che invece poteva esserci una rigenerazione dei luoghi, qualcuno l’ha definita un’accoglienza dolce che occupa gli spazi che non sono di nessuno. Se tutte le realtà disabitate, soprattutto le aree interne, le aree fragili calabresi, dessero la disponibilità di numeri piccoli, allora non si parlerebbe più di invasione, ma di una straordinaria opportunità. Una cosa che si sarebbe potuta fare in Calabria? Penso alla legge 18 del 2009 che prendeva spunto da questa economia sociale e solidale che in atto a Riace, poteva essere l’occasione per attuare delle politiche in cui l’Europa sarebbe dovuta stare attenta ad avviare dei processi legati al recupero delle aree abbandonate nelle campagne, per una nuova riforma agraria, per attività sulla zootecnica, su quelle che sono le risorse e le vocazioni dei territori».

      Cosa resta oggi del modello Riace?


      «Oggi a Riace non c’è la scuola – ha ricordato Lucano – non c’è l’asilo, c’è di nuovo quell’atmosfera di oblio sociale che prelude poi all’abbandono. Quando le comunità diventano questo, di fronte agli occhi ti appare solo un deserto, paesi fantasmi. Ecco, il mio impegno di questi anni è andato in questa direzione. Poi è arrivata la storia giudiziaria, il voler dire che non c’è altra soluzione se non quella di chiudere le frontiere, chiudere gli spazi, di considerare l’immigrazione solo come un problema, solo come un’invasione, solo come qualcosa che produce la paura, che giustifica misure di sicurezza. Riace è stato il paese pioniere di una nuova visione che ribalta totalmente il paradigma dell’invasione. E secondo me è qui che bisogna cercare il movente giudiziario che mi ha portato ad essere indagato. Credo che il neoliberismo a livello mondiale non gradisca il senso dell’umanità».
      Il futuro di Mimmo Lucano

      Ma c’è davanti a Mimmo Lucano un ritorno all’impegno politico diretto? «Quello che ho davanti – ha detto ancora l’ex sindaco di Riace – è qualcosa che non riguarda solo me, in tanti hanno sostenuto Riace come un’idea in cui si è ritrovata tutta l’Europa. Io sono stato tante volte in Germania, in Francia, in Spagna. Riace non è qualcosa che riguarda solo me, quello che dovrò fare, ma certamente è un messaggio politico. Io non so quello che farò, ma credo dipenderà dal contributo che potrò dare alla collettività ed è una decisione che prenderò insieme alle tante persone che hanno condiviso il mio percorso di sofferenza. Esistono tre possibilità per dedicarsi all’impegno politico e sociale: la prima è fare il sindaco, l’altra è impegnarsi per la Regione, per la nazione e per l’Europa, e poi c’è la militanza, che non prevede ruoli. È quella che mi affascina di più».

      Dopo Mimmo Lucano, nella seconda parte di Telesuonano, è toccato all’avvocato Andrea Daqua ripercorrere in maniera più approfondita la vicenda processionale dell’ex primo cittadino di Riace. «Cosa ho pensato quando ho sentito pronunciare la condanna a 13 anni e due mesi? Con il collega Giuliano Pisapia (ex sindaco di Milano che nel frattempo era diventato difensore di Lucano dopo la morte del professore Antonio Mazzone che aveva seguito dall’inizio la vicenda, ndr), abbiamo immediatamente qualificato quel dispositivo come aberrante, ma non in riferimento soltanto alla quantità smisurata, sproporzionata della pena, ma perché noi che avevamo seguito il processo, avevamo subito intuito che c’era un contrasto evidente tra quel dispositivo e il dato che era invece emerso dall’istruttoria. Poi questa nostra convinzione si è rafforzata quando abbiamo letto la motivazione che era più aberrante del dispositivo e, soprattutto, quando abbiamo ascoltato fonti autorevolissime del diritto italiano, giuristi di primo livello che erano completamente sganciati dal processo e non conoscevano nemmeno Lucano, che hanno spiegato perché quella sentenza era aberrante». Così Andrea Daqua che ha sottolineato come anche nel caso di Lucano, «le cause scatenanti o determinanti di un determinato processo possono essere molteplici, ma noi abbiamo il dovere di attenerci al dato documentale, al dato processuale e sulla base di questo abbiamo dimostrato che Lucano è stato vittima di un gravissimo errore giudiziario. Poi su come sia nato questo errore giudiziario o sulle motivazioni qua potremmo parlare interi giorni». Un errore giudiziario che, come spesso capita, travolge una persona, i suoi familiari e, nel caso di Lucano, una esperienza. Chi ripagherà questo danno? «Nessuno – ha dichiarato Daqua –, l’unico modo secondo il mio modesto parere per dare un senso a questo danno irreparabile che ha subito una persona perbene come Lucano, è quello di leggere le carte, di leggere il processo, di capire il perché di tante anomalie e studiare i rimedi possibili affinché ciò non accada più, perché quello che è successo a Lucano domani potrebbe succedere a chiunque. Allora qui è necessario che gli addetti ai lavori riflettano su questo procedimento e capiscano come anche alcuni strumenti processuali andrebbero rivisti».

      Il ricordo dell’avvocato Antonio Mazzone

      «La fortuna di Mimmo (Lucano, ndr) – ha detto ancora l’avvocato Daqua – è che è stato seguito all’inizio dal professore Mazzone, scomparso da tre anni. Io appena mi sono laureato sono entrato nello studio del professore Mazzone e non ne sono mai uscito, anche se poi ho aperto il mio studio. Però continuare a collaborare con lui, è stata veramente una fortuna perché dove arrivava lui nessuno di noi era in grado di arrivare. Appena Lucano mi ha fatto vedere la prima relazione prefettizia, che era uno dei supporti investigativi su cui si è appoggiato poi il costrutto accusatorio, io, convinto della bontà del suo modello, della sua onestà, gli ho detto: “sindaco io la aiuto, ma qui c’è qualcosa che va oltre. Noi dobbiamo parlare con il prof. Mazzone”. Cosa che da lì a qualche giorno abbiamo fatto e da quel momento in poi tutta la prima parte l’abbiamo seguita insieme. Mazzone è stato convinto dal primo minuto dell’onestà di Lucano e aveva ragione». Ma cosa avrebbe detto Mazzone dopo aver ascoltato le due sentenze? «Nel primo grado – ha risposto sorridendo Daqua – è meglio che io non lo dica. Nel secondo grado, avrebbe detto che giustizia è stata fatta. E’ chiaro che in questo processo il merito è del professore, perché quando lui è venuto a mancare noi eravamo già in una fase istruttoriale avanzata. Poi è intervenuto il collega Pisapia, che ringrazio per il modo con cui lui si è messo a disposizione».

      La precisazione sulla sentenza in Appello

      Sull’ultima sentenza in Appello, Daqua ci ha tenuto a fare una precisazione. «Sento spesso dire che è stata ridotta la condanna – ha affermato il legale – non è proprio così, Lucano è stato assolto per tutti i reati. Per un reato, che è una ipotesi di falso relativa a una determina, c’è stata la condanna. E anche su questa noi siamo assolutamente rispettosi della decisione della Corte, aspetteremo l’esito della motivazione, perché secondo noi anche quella determina è lecita, però chiaramente aspetteremo la valutazione della corte e poi valuteremo. Comunque, nel complesso, possiamo dire che il castello accusatorio si è sbriciolato, sono caduti tutti i reati che erano gravi come il peculato, l’associazione a delinquere e la truffa. Abbiamo dimostrato che diverse intercettazioni erano assolutamente non rispondenti al contenuto della effettiva dichiarazione». «Le intercettazioni – ha continuato Daqua – costituiscono sicuramente uno strumento processuale, ma va assolutamente rivisto in una prospettiva di rispetto verso il principio costituzionale di presunzione di innocenza».

      https://www.youtube.com/watch?v=NzLgnpZvtTk&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/11/16/mimmo-lucano-il-modello-riace-ha-spaventato-chi-non-guarda-ai-

  • Le sionisme, l’antisémitisme et la gauche, par Moishe Postone
    http://www.palim-psao.fr/2019/02/le-sionisme-l-antisemitisme-et-la-gauche-par-moishe-postone.html


    Graffiti antisémite en Belgique en 2013

    Moishe Postone : Il est exact que le gouvernement israélien se sert de l’accusation d’#antisémitisme comme d’un bouclier pour se protéger des critiques. Mais ça ne veut pas dire que l’antisémitisme lui-même ne représente pas un problème grave.

    Ce qui distingue ou devrait distinguer l’antisémitisme du #racisme a à voir avec l’espèce d’imaginaire du pouvoir attribué aux #Juifs, au sionisme et à #Israël, imaginaire qui constitue le noyau de l’antisémitisme. Les Juifs sont perçus comme constituant une sorte de pouvoir universel immensément puissant, abstrait et insaisissable qui domine le monde. On ne trouve rien d’équivalent à la base d’aucune autre forme de racisme. Le racisme, pour autant que je sache, constitue rarement un système complet cherchant à expliquer le monde. L’antisémitisme est une critique primitive du monde, de la modernité capitaliste. Si je le considère comme particulièrement dangereux pour la gauche, c’est précisément parce que l’antisémitisme possède une dimension pseudo-émancipatrice que les autres formes de racisme n’ont que rarement.

    MT : Dans quelle mesure pensez-vous que l’antisémitisme aujourd’hui soit lié aux attitudes vis-à-vis d’Israël ? On a l’impression que certaines des attitudes de la #gauche à l’égard d’Israël ont des sous-entendus antisémites, notamment celles qui ne souhaitent pas seulement critiquer et obtenir un changement dans la politique du gouvernement israélien à l’égard des Palestiniens, mais réclament l’abolition d’Israël en tant que tel, et un monde où toutes les nations existeraient sauf Israël. Dans une telle perspective, être juif, sentir qu’on partage quelque chose comme une identité commune avec les autres Juifs et donc en général avec les Juifs israéliens, équivaut à être « sioniste » et est considéré comme aussi abominable qu’être raciste.

    MP : Il y a beaucoup de nuances et de distinctions à faire ici. Dans la forme que prend de nos jours l’#antisionisme, on voit converger de façon extrêmement dommageable toutes sortes de courants historiques.

    L’un d’eux, dont les origines ne sont pas nécessairement antisémites, plonge ses racines dans les affrontements entre membres de l’intelligentsia juive d’Europe orientale au début du XXesiècle. La plupart des intellectuels juifs – intellectuels laïques inclus ? – sentaient qu’une certaine forme d’#identité_collective faisait partie intégrante de l’expérience juive. Cette identité a pris de plus en plus un caractère national étant donné la faillite des formes antérieures, impériales, de collectivité – c’est-à-dire à mesure que les vieux empires, ceux des Habsbourg, des Romanov, de la Prusse, se désagrégeaient. Les Juifs d’Europe orientale, contrairement à ceux d’Europe occidentale, se voyaient avant tout comme une collectivité, pas simplement comme une religion.

    Ce sentiment national juif s’exprima sous diverses formes. Le sionisme en est une. Il y en eut d’autres, représentées notamment par les partisans d’une #autonomie_culturelle juive, ou encore par le #Bund, ce mouvement socialiste indépendant formé d’ouvriers Juifs, qui comptait plus de membres qu’aucun autre mouvement juif et s’était séparé du parti social-démocrate russe dans les premières années du XXe siècle.

    D’un autre côté, il y avait des Juifs, dont un grand nombre d’adhérents aux différents partis communistes, pour qui toute expression identitaire juive constituait une insulte à leur vision de l’humanité, vision issue des Lumières et que je qualifierais d’abstraite. Trotski, par exemple, dans sa jeunesse, qualifiait les membres du Bund de « sionistes qui ont le mal de mer ». Notez que la critique du #sionisme n’avait ici rien à voir avec la Palestine ou la situation des Palestiniens, puisque le Bund s’intéressait exclusivement à la question de l’autonomie au sein l’empire russe et rejetait le sionisme. En assimilant le Bund et le sionisme, Trotski fait plutôt montre d’un rejet de toute espèce d’identité communautaire juive. Trotski, je crois, a changé d’opinion par la suite, mais cette attitude était tout à fait typique. Les organisations communistes avaient tendance à s’opposer vivement à toute espèce de #nationalisme_juif : nationalisme culturel, nationalisme politique ou sionisme. C’est là un des courants de l’antisionisme. Il n’est pas nécessairement antisémite mais rejette, au nom d’un #universalisme_abstrait, toute identité collective juive. Encore que cette forme d’antisionisme soit souvent incohérente : elle est prêt à accorder l’autodétermination nationale à la plupart des peuples, mais pas aux Juifs. C’est à ce stade que ce qui s’affiche comme abstraitement universaliste devient idéologique. De surcroît, la signification même d’un tel universalisme abstrait varie en fonction du contexte historique. Après l’Holocauste et la fondation de l’État d’Israël, cet universalisme abstrait sert à passer à la trappe l’#histoire des Juifs en Europe, ce qui remplit une double fonction très opportune de « nettoyage » historique : la violence perpétrée historiquement par les Européens à l’encontre des Juifs est effacée, et, dans le même temps, on se met à attribuer aux Juifs les horreurs du colonialisme européen. En l’occurrence, l’universalisme abstrait dont se revendiquent nombre d’antisionistes aujourd’hui devient une idéologie de légitimation qui permet de mettre en place une forme d’#amnésie concernant la longue histoire des actes, des politiques et des idéologies européennes à l’égard des Juifs, tout en continuant essentiellement dans la même direction. Les Juifs sont redevenus une fois de plus l’objet d’une indignation spéciale de la part de l’Europe. La solidarité que la plupart des Juifs éprouvent envers d’autres Juifs, y compris en Israël – pour compréhensible qu’elle soit après l’Holocauste – est désormais décriée. Cette forme d’antisionisme est devenue maintenant l’une des bases d’un programme visant à éradiquer l’autodétermination juive réellement existante. Elle rejoint certaines formes de nationalisme arabe – désormais considérées comme remarquablement progressistes.

    Un autre courant d’antisionisme de gauche – profondément antisémite celui-là – a été introduit par l’Union Soviétique, notamment à travers les procès-spectacles en Europe de l’Est après la Seconde Guerre mondiale. C’est particulièrement impressionnant dans le cas du #procès_Slánský, où la plupart des membres du comité central du parti communiste tchécoslovaque ont été jugés puis exécutés. Toutes les accusations formulées à leur encontre étaient des accusations typiquement antisémites : ils étaient sans attaches, cosmopolites, et faisaient partie d’une vaste conspiration mondiale. Dans la mesure où les Soviétiques ne pouvaient pas utiliser officiellement le discours de l’antisémitisme, ils ont employé le mot « sionisme » pour signifier exactement ce que les antisémites veulent dire lorsqu’ils parlent des Juifs. Ces dirigeants du PC tchécoslovaque, qui n’avaient aucun lien avec le sionisme – la plupart étaient des vétérans de la guerre civile espagnole – ont été exécutés en tant que sionistes.

    Cette variété d’antisionisme antisémite est arrivée au Moyen-Orient durant la #guerre_froide, importée notamment par les services secrets de pays comme l’#Allemagne_de_l’Est. On introduisait au Moyen-Orient une forme d’antisémitisme que la gauche considérait comme « légitime » et qu’elle appelait antisionisme. Ses origines n’avaient rien à voir avec le mouvement contre l’installation israélienne. Bien entendu, la population arabe de Palestine réagissait négativement à l’immigration juive et s’y opposait. C’est tout à fait compréhensible. En soi, ça n’a certes rien d’antisémite. Mais ces deux courants de l’antisionisme se sont rejoints historiquement.

    Pour ce qui concerne le troisième courant, il s’est produit, au cours des dix dernières années environ, un changement vis-à-vis de l’existence d’Israël, en premier lieu au sein du mouvement palestinien lui-même. Pendant des années, la plupart des organisations palestiniennes ont refusé d’accepter l’existence d’Israël. Cependant, en 1988, l’OLP a décidé qu’elle accepterait cette existence. La seconde Intifada, qui a débuté en 2000, était politiquement très différente de la première et marquait un revirement par rapport à cette décision. C’était, à mon avis, une faute politique fondamentale, et je trouve surprenant et regrettable que la gauche s’y soit laissée prendre au point de réclamer elle aussi, de plus en plus, l’abolition d’Israël. Dans tous les cas, il y a aujourd’hui au Moyen-Orient à peu près autant de Juifs que de #Palestiniens. Toute stratégie fondée sur des analogies avec la situation algérienne ou sud-africaine est tout simplement vouée à l’échec, et ce pour des raisons aussi bien démographiques que politico-historiques.

    Moishe Postone est notamment l’auteur de Critique du fétiche-capital. Le capitalisme, l’antisémitisme et la gauche (PUF, 2013)

    #Moishe_Postone #URSS #nationalités #autodétermination_nationale #anti-impérialisme #campisme #islam_politique

    • Il y a un siècle, la droite allemande considérait la domination mondiale du capital comme celle des Juifs et de la Grande Bretagne. À présent, la gauche la voit comme la domination d’Israël et des États-Unis. Le schéma de pensée est le même. Nous avons maintenant une forme d’antisémitisme qui semble être progressiste et « anti-impérialiste » ; là est le vrai danger pour la gauche. Le #racisme en tant que tel représente rarement un danger pour la gauche. Elle doit certes prendre garde à ne pas être raciste mais ça n’est pas un danger permanent, car le racisme n’a pas la dimension apparemment émancipatrice qu’affiche l’antisémitisme.

    • Israël, ce ne sont pas les juifs ; heureusement. Le pouvoir d’extrême droite israélien aimerait bien que tout le monde raisonne comme cela. Afin de perpétuer cet amalgame confus, qui permet de dire « t’es anti-impérialiste ? t’es antisémite ! ». on le voit arriver, le glissement dans cette dernière citation. Cet instrumentalisation l’air de rien. On passe de Juif+Grande-Bretagne à Israël+Usa, comme par magie. Et on nie tous les faits politiques qui objectivement démontrent que les Us et Israël sont à la manœuvre conjointement, géopolitiquement, au Moyen Orient, depuis plusieurs dizaines d’années.

      Le pouvoir israélien est un pouvoir fasciste et colonialiste. Cela dure depuis plusieurs dizaines d’années. Le pouvoir américain est un pouvoir impérialiste. Et cela dure depuis plusieurs dizaines d’années. Ce sont des faits objectifs.

      Renvoyer tous leurs adversaires plus ou moins progressistes dans la cuvette de l’antisémitisme, c’est confus, pour rester courtois.

    • La partie sur l’antisionisme et la Palestine repose sur un tour de passe-passe sémantique très classique : la création d’Israël est sobrement qualifiée d’« autodétermination nationale », et sa critique est systématiquement accolée à l’accusation d’être favorable à l’autodétermination des peuples, « sauf des juifs » ; tout en minimisant (voire en niant carrément) le fait que cette « autodétermination » a nécessité – et nécessite toujours – le nettoyage ethnique à grande échelle de la population indigène.

      Encore que cette forme d’antisionisme soit souvent incohérente : elle est prêt à accorder l’autodétermination nationale à la plupart des peuples, mais pas aux Juifs.

      […]

      Cette forme d’antisionisme est devenue maintenant l’une des bases d’un programme visant à éradiquer l’autodétermination juive réellement existante.

      […]

      Cette idée que toute nation aurait droit à l’autodétermination à l’exception des Juifs est bel et bien un héritage de l’Union Soviétique.

      À l’inverse, le termine « colonisation » n’est ici utilisé que pour être nié.

      la violence perpétrée historiquement par les Européens à l’encontre des Juifs est effacée, et, dans le même temps, on se met à attribuer aux Juifs les horreurs du colonialisme européen.

      […]

      Subsumer le conflit sous l’étiquette du colonialisme, c’est mésinterpréter la situation.

      Évidemment : l’euphémisation « immigration juive », alors qu’on parle de la période de la guerre froide (la Nakba : 1948) :

      Bien entendu, la population arabe de Palestine réagissait négativement à l’immigration juive et s’y opposait.

  • Christiane Succab-Goldman, veuve de Pierre Goldman, rompt quarante-quatre ans de silence : « Mon mari a été un objet de fantasmes forcenés »

    https://www.lemonde.fr/culture/article/2023/10/04/christiane-succab-goldman-veuve-de-pierre-goldman-rompt-quarante-quatre-ans-

    L’épouse du militant n’avait pas pris la parole depuis son assassinat, en 1979. Dans un entretien au « Monde », elle réagit au film de Cédric Kahn « Le Procès Goldman » dont elle dénonce les erreurs et affabulations.

    • .... on utilise ma déposition à la #police alors qu’elle n’a jamais été rendue publique. Mais je suis une personne vivante enfin, pourquoi ne m’a-t-on jamais consultée ? Et je ne parle ici que du film. Parce qu’il vous faut savoir qu’il est arrivé à #Cédric_Kahn, lors d’une avant-première à Paris, de faire voter à main levée le public pour déterminer qui le pensait coupable et qui innocent. Concernant une affaire qui a la force de la chose jugée, c’est obscène.

      .... Par ailleurs, cette scène est un copier-coller d’un chapitre de la biographie, très contestable, de Michaël Prazan, publiée en 2005 sous le titre Pierre Goldman. Le frère de l’ombre [Seuil]. Trente ans après le #procès, cet auteur tente de prouver la culpabilité de Pierre et fournit à cet effet le témoignage de Joël Lautric, qui y dément l’alibi qu’il avait donné au second procès. Présenté par Prazan comme un témoin capital, le problème est que Lautric, qui a publiquement changé quatre fois d’avis sur la question avec le temps, est tout le contraire : un témoin fragile et déconsidéré qui n’a pas pesé dans l’acquittement de Pierre.

      #Justice #cinéma

    • Si je parle aujourd’hui c’est qu’il y a eu des choses accumulées avec le temps néfastes pour moi et ma famille. Des rumeurs, des livres, des légendes sur Pierre, des propos rapportés qui n’ont jamais existé, des phrases de lui mal interprétées, des choses inventées, consciemment ou inconsciemment malveillantes, insupportables… Vivant ou mort, Pierre a été un objet de fantasmes forcenés. Le film de Cédric Kahn a sans doute été l’étincelle qui m’a incitée à sortir de ma réserve. J’y deviens une vraie fausse moi-même.

      Vous avez d’ailleurs assigné le producteur et le réalisateur du film en référé, demande qui a été rejetée le 22 septembre. Que demandiez-vous ?

      Qu’un carton signale le caractère fictif de ma présence au tribunal ainsi que des propos qu’on fait tenir à mon personnage. La vérité, c’est que je n’y étais pas présente, pas davantage qu’au premier procès, ni dans la salle, ni à la barre.

      [...] Je ne suis pas un personnage public, j’ai droit à ce qu’on ne romance pas ma vie.

    • Voir mourir son mari après trois ans de mariage, quelques jours avant la naissance de votre enfant, comment se remet-on d’une telle épreuve ?

      On ne s’en remet jamais. J’étais à la clinique durant l’enterrement avec le nouveau-né qu’il avait tant désiré mais qui ne connaîtrait jamais son père. Quand j’en suis sortie, l’appartement était sous scellés.

      Depuis quarante-quatre ans, je fais d’un anniversaire une fête sans penser à la mort. Et c’est cette date-là, précisément, qu’ils choisissent pour sortir ce film.

      Voici les mots par lesquels Pierre Goldman achève en prison la rédaction de « Souvenirs obscurs d’un juif polonais né en France » : « Au terme de ce récit, je devrais me tuer, expier cette révélation où j’ai dû m’écrire afin de sauver ma vie d’une accusation fausse et infamante. Je ne le fais pas : mon désir de liberté est principalement inspiré par l’amour d’une femme. Elle m’a ramené dans la vie. Je veux l’y rejoindre. Sinon le calvaire de l’innocence perpétuelle et recluse m’eût parfaitement convenu. » Peut-on rêver plus belle déclaration d’amour ?

      Pierre avait en fait écrit six pages, aussi intenses. Je n’ose pas vous l’avouer, mais, lorsqu’il m’a donné le manuscrit de ses dernières pages pour que je les relise et les apporte aux éditions du Seuil, je l’ai obligé à les enlever. Il m’a dit : « Mais Christiane, c’est de la littérature, ça nous dépasse. » J’ai répondu : « Tu descends les originaux au parloir, tu les déchires devant moi. Ça nous regarde. » Il l’a fait. Il a réduit à quelques lignes. C’est stupide, mais c’est toujours ce qu’on ne nous aura pas pris.

    • Interview du réalisateur Cédric Khan (loin , très loin du niveau de celle de Christiane Succab-Goldman) :

      https://www.lemonde.fr/culture/article/2023/09/30/cedric-kahn-realisateur-pierre-goldman-est-un-personnage-de-cinema_6191763_3

      N’avez-vous pas ressenti la nécessité, eu égard à la délicatesse de l’affaire, de vous adjoindre les compétences d’un historien ?

      Nous avons plutôt travaillé avec des avocats, pour tout ce qui concernait le procès, et aussi avec Michaël Prazan, qui n’est pas historien mais qui a écrit, en 2005, une biographie de Pierre Goldman, Pierre Goldman. Le frère de l’ombre [Seuil], et qui connaît parfaitement l’affaire. C’est lui qui nous a notamment présentés aux avocats de Pierre Goldman, Georges Kiejman et Francis Chouraqui, dont nous avons recueilli les souvenirs.

      Le livre que vous citez remet en cause l’alibi de Pierre Goldman, trente ans après son acquittement. Il produit, à cet effet, un nouveau témoignage de Joël Lautric, qui revient sur son affirmation selon laquelle Goldman était chez lui à l’heure de l’assassinat. La veuve de Pierre Goldman, Christiane Succab-Goldman, avait vivement critiqué l’ouvrage pour cette raison, en rappelant que Joël Lautric s’était trop dédit depuis le début de l’affaire pour être crédible…

      Je suis d’accord, c’est ce que nous montrons dans le film. Lautric avait déjà changé d’avis entre le premier et le deuxième procès. A chaque fois que Lautric a parlé, il a changé d’avis. Qu’est-ce qui nous prouve même qu’il a dit la vérité à Prazan ? Cet alibi est de toute façon très flageolant.

      Eu égard à cette divergence d’interprétation, avez-vous en contrepoint sollicité Christiane Succab-Goldman, qui fut un témoin de premier plan ?

      Non. Nous avons voulu rendre hommage au débat contradictoire de l’époque en nous contentant des faits publics, qui ne sont pas contestables, et pour éviter justement d’entrer dans la sphère privée. A l’exception des deux avocats de Pierre Goldman, nous n’avons d’ailleurs voulu rencontrer aucun acteur de l’époque. Donc on ne la sollicite pas parce qu’on pense qu’on n’est pas attaquables.

      Et, cependant, vous la faites témoigner au procès, alors qu’elle n’y a, d’un commun accord avec son compagnon, jamais témoigné, ce qui n’empêche pas ce moment, d’ailleurs, d’être l’un des plus poignants du film…

      Je l’ignorais. J’étais persuadé qu’elle y était, contre l’avis de Goldman, cela, je le savais, ce qui créait du coup pour moi une tension intéressante. A vrai dire, sa présence et son témoignage, au même titre que ceux du père de Goldman, nous semblaient tellement évidents qu’on ne s’est même pas posé la question. En écrivant cette scène, nous n’avions aucune intention ni de blesser ni de diffamer Christiane Succab-Goldman, mais, bien au contraire, de montrer une femme digne, combative et amoureuse.

  • Trois syndicalistes CGT hôtellerie jugés pour escroquerie
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/paris-ile-de-france/hauts-de-seine/trois-syndicalistes-cgt-hotellerie-juges-pour-escroquer

    Le ministère public a requis huit et cinq mois de prison avec sursis mercredi contre deux syndicalistes de la CGT HPE, Hôtels de prestige et économiques, jugés pour escroquerie, devant le tribunal correctionnel de Nanterre. lls sont accusés d’avoir sollicité des dons auprès des salariés qu’ils défendaient.

    À la barre du tribunal de Nanterre mercredi, l’ex-trésorier du syndicat Claude Lévy, son épouse Tiziri K. et un troisième syndicaliste. Les trois prévenus sont accusés d’avoir sollicité des #dons auprès des salariés qu’ils défendaient devant les #prud'hommes. Ils sont soupçonnés de les avoir incités à verser à leur #syndicat 10% des sommes obtenues devant ces juridictions. Au total, 46 personnes se sont constituées parties civiles, ainsi que l’Union départementale CGT Paris et l’Union régionale Île-de-France CGT .

    Claude Levy est bien connu dans le monde de l’#hôtellerie en Ile-de-France. Il s’est notamment engagé en 2013 dans la défense de #femmes_de_chambres qui demandaient à être embauchées dans un palace parisien, le #Park_Hyatt Paris-Vendôme ou plus récemment il y a deux ans, au côté d’autres femmes de chambres de l’hôtel #IBIS_Batignoles. Elles exigeaient une amélioration de leurs #salaires.

    10 % de dons

    Mercredi au tribunal, les trois #syndicalistes ont rejeté en bloc assurant ces 10% des sommes versés par des salariés constituent des "dons juridiques" librement consentis dont le principe a été voté à l’unanimité lors de plusieurs congrès tenus par la CGT.

    En juin 2021, a rappelé la présidente, ces transferts représentaient plus de la moitié du capital de la CGT-HPE qui s’élevait à cette date à « un peu plus de 800.000 euros ». Les recherches conduites par les enquêteurs pour évaluer votre rythme de travail devant les instances prud’homales pourraient éventuellement justifier de ce montant", pointe la présidente qui décompte "600 procédures" qui seraient allées jusqu’au jugement.

    Une ambiance tendue

    Lors d’une audience de plus de dix heures, ponctuée par de nombreux rappels de la présidente dans une ambiance tendue, les prévenus se sont défendus de manière véhémente. "Ce #procès, c’est le procès d’un vilain syndicaliste qui s’est impliqué pendant plus de 70 heures (par semaine, nldr ) pour aider les plus démunis. Qu’on me traite d’exploiteur des opprimés, il y a de quoi péter un plomb !", s’est exclamé M. Lévy. La prévenue Tiziri K. a déclaré être victime d’un "règlement de compte" et n’avoir "contraint personne" à verser une partie des indemnités perçues.

    Ils ont mentionné plusieurs attestations versées au dossier, produites par des salariés expliquant avoir versé librement ces sommes à la #CGT-HPE.

    Huit mois de #prison_avec_sursis assortis d’une amende de 8.000 euros ont été requis contre l’ex-trésorier du syndicat Claude Lévy. Son épouse Tiziri K. a été visée par des réquisitions de cinq mois d’emprisonnement avec sursis et une #amende de 5.000 euros. Concernant une troisième syndicaliste également mise en cause, soupçonnée de complicité d’#escroquerie, le parquet a déclaré qu’il s’en remettait à la décision de la cour, qui sera rendue le 28 novembre.

    Le parquet a également demandé la #privation_de_droits_d'éligibilité pendant cinq ans pour les deux prévenus et de manière non obligatoire, l’interdiction d’exercer toute fonction dans le domaine social pendant cinq ans.

    des structures de cette même #CGT qui, dans de nombreux cas, ne donne des infos aux salariés, chômeurs et précaires qui en demandent qu’à la condition qu’ils adhérent juge utile de se porter partie contre des militants syndicaux qui animent des grèves

    #bureaucratie_syndicale #justice #luttes_sociales #luttes_syndicales #grève #caisse_de_grève

    • Ce qui en jeu ici c’est aussi une lutte de tendance au sein de la CGT où l’accusé (et condamné) est clairement identifié comme un opposant à la ligne confédérale, plus combatif que cette dernière et, surtout, contre les pratiques de la fédération, cette dernière, étant de mon point de vue, clairement identifiée comme vendue au patronat.

      À titre d’exemple, cet article de PLI d’août 2022 :

      [Radio] Retour sur l’action de la CGT-HPE - Paris-luttes.info
      https://paris-luttes.info/radio-retour-sur-l-action-de-la-16024

      Retour sur l’action de la CGT-HPE
      Publié le 6 août 2022

      Dans cette émission de Vive la sociale - FPP 106.3 FM - nous aurons un long échange avec Claude Levi, animateur syndical des luttes dans le secteur de la propreté et notamment dans l’hôtellerie. Bonne écoute !
      Retour sur l’action de la CGT-HPE

      Dans cet entretien, Claude Lévy, longtemps cheville ouvrière de la CGT-HPE, dresse un tableau de la situation de la sous-traitance dans l’hôtellerie et des activités de son syndicat. Sont également abordés ses démêlés avec l’union syndicale CGT du commerce parisienne et les brimades qu’il a dû subir, ainsi que Tiziri Kandi, ces dernières années. L’entretien se termine sur un tour d’horizon des perspectives du syndicat CGT-HPE et des projets de Claude et Tiziri.

  • “Affaire du 8 décembre” : quinze ans après Tarnac, l’antiterrorisme encore à la dérive face à l’ultragauche ?
    https://www.telerama.fr/debats-reportages/affaire-du-8-decembre-quinze-ans-apres-tarnac-l-antiterrorisme-encore-a-la-

    Bis repetita ? À l’heure où le premier flic de France vitupère contre les « écoterroristes » de Sainte-Soline et le « terrorisme intellectuel » de l’extrême gauche, l’affaire dite du 8 décembre (son autre nom) pose une question cruciale : où s’arrête le maintien de l’ordre, et où commence l’antiterrorisme, avec son cortège de mesures dérogatoires qui, demain, pourraient viser des milliers de personnes ? Cette interrogation est d’autant plus sensible que le procès débutera sur un sol meuble : selon des éléments consultés par Télérama et Le Monde, le projet des prévenus – « d’intimidation ou de terreur visant l’oppression ou le capital » – semble bien flou et les preuves, évanescentes. « Il n’y a pas de projet, il y a un scénario préétabli par le parquet, qui construit le récit d’une extrême gauche criminelle en y plaquant une méthodologie issue des dossiers d’islamistes radicaux », objectent d’emblée maîtres Lucie Simon et Camille Vannier, avocates d’un des mis en cause. « C’est artificiel, grossier, et terriblement dangereux ».

    • C’est drôle. C’est tout expliqué là.
      https://justpaste.it/bb2t5

      Et entre autre :

      Alors que les effectifs de la DGSI ont presque doublé depuis les attentats de 2015, la menace djihadiste perd en intensité, et les services doivent justifier leur raison d’être. Au point de gonfler artificiellement les nouvelles menaces en maçonnant grossièrement des dossiers pleins de fissures ? Dans une récente interview au Monde, Nicolas Lerner, patron de la maison, tentant de trouver la bonne mesure, assumait cette porosité entre le champ du droit commun et celui de l’exception : « L’ultragauche constitue d’abord et avant tout une menace pour l’ordre public. […] ce n’est pas parce [qu’elle] n’est pas passée à l’acte terroriste ces dernières années que le risque n’existe pas. »

      Ça a le mérite d’être clair, non ?

    • Sérieux ?
      Les milices d’extrême-droite, elles, ont pratiquement pignon sur rue et ont commis l’essentiel des attentats ces dernières années.
      Donc, si ces 🤡 ont besoin de justifier leur existence, on large de quoi avec les #fafs et les suprémacistes.

      C’est bien la preuve que tout ça, c’est de la grosse Bertha purement politicienne, en mode « détruire les alternatives de gauche tout en faisant la courte échelle aux fafs ».

    • Affaire du 8 décembre : L’antiterrorisme à l’assaut des luttes sociales
      Publié le 27 septembre 2023

      Analyse détaillée et politique du dossier d’instruction.

      Militant·es des Soulèvements de la Terre détenues par la Sous-Direction-Antiterroriste (SDAT), unités antiterroristes mobilisées contre des militant.e.s antinucléaire, syndicalistes CGT arrêtés par la DGSI, unités du RAID déployées lors des révoltes urbaines... La mobilisation récurrente des moyens d’enquête antiterroriste pour réprimer les mouvements sociaux associée à la diffusion d’éléments de langage sans équivoque - « écoterrorisme », « terrorisme intellectuel » - ne laissent aucun doute.

      Il s’agit d’installer l’amalgame entre terrorisme et luttes sociales afin de préparer l’opinion publique à ce que les auteurices d’illégalismes politiques soient, bientôt, inculpées pour terrorisme. Et donner ainsi libre cours à la répression politique en lui faisant bénéficier de l’arsenal répressif le plus complet que le droit offre aujourd’hui : la législation antiterroriste.

      C’est dans ce contexte que se tiendra, en octobre, le premier procès pour« terrorisme » de militant.es de gauche depuis l’affaire Tarnac [1]. L’enjeu est majeur. Une condamnation viendrait légitimer le glissement répressif souhaité par le gouvernement. C’est la ligne de partage symbolique entre ce qui peut être, ou non, qualifié de terrorisme que le pouvoir cherche dans ce procès à déplacer.

      https://paris-luttes.info/affaire-du-8-decembre-l-17399#nb2

      Et aussi :

      https://www.laquadrature.net/2023/06/05/affaire-du-8-decembre-le-chiffrement-des-communications-assimile-a-un-

      Cet article a été rédigé sur la base d’informations relatives à l’affaire dite du “8 décembre”1 dans laquelle 7 personnes ont été mises en examen pour « association de malfaiteurs terroristes » en décembre 2020. Leur procès est prévu pour octobre 2023. Ce sera le premier procès antiterroriste visant « l’ultragauche » depuis le fiasco de l’affaire Tarnac

      https://paris-luttes.info/super-bingo-quel-terroriste-d-16515
      (SUPER BINGO ! Quel terroriste d’ultragauche es-tu ?)
      ❝L’adhésion présumée à certaines idées de nos camarades du 8/12 tient une place centrale dans l’accusation qui leur est faite. De la DGSI au PNAT, la criminalisation de leurs engagements politiques est l’axe principal permettant d’alimenter une présomption de culpabilité qui semble se suffire à elle-même. Ce degré extrême de répression des idées révolutionnaires a pour objectif de purger la société de ses éléments contestataires afin d’imposer un régime néo-fasciste. Des pans de plus en plus larges du mouvement social sont visés par les dispositifs antiterroristes : black blocs, écologistes, anarchistes, grévistes, (pro)kurdes, journalistes d’investigation, etc.

      Voilà pourquoi il nous a semblé important de vous partager ces 50 questions qui ont été posées par la DGSI aux inculpé.es lors des gardes-à-vue à Levallois-Perret entre le 8 et le 12 décembre 2020.

      True Story.
      #FuckDGSI

      ✨👇 TELECHARGE LE SUPER BINGO DU TERRORISTE D’ULTRAGAUCHE ICI ! 👇✨
      SuperTerro ! A4 https://paris-luttes.info/IMG/pdf/superterro_a4.pdf
      SuperTerro ! LIVRET https://paris-luttes.info/IMG/pdf/superterro_livret.pdf

      ALORS, QUEL TERRORISTE D’ULTRAGAUCHE ES-TU ?
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      « De fait, l’ultragauche est multiple et protéïforme »
      Parquet National Anti-Terroriste

      L’« ultragauche » est une construction policière qui a pour intérêt d’englober pêle-mêle la multitude des luttes sociales qui échappent au contrôle électoral, associatif et syndical. Le PNAT considère que la menace d’ultragauche se dissimule dans un vaste panel de lieux et de pratiques. Pratique !

      Dans ses réquisitions de novembre 2022, le PNAT associe à une « menace terroriste » :

      ☠ « un certain nombre de maisons d’édition » (La Fabrique, Agone, Entremonde, Libertalia, etc.)
      ☠ « une myriade de sites internet » (Lundi Matin, Attaque, Chronique de la guerre sociale en France, La Horde, Paris Luttes Info, La Bogue, IAATA, ect.)
      ☠ « un militantisme non-violent » (tractage, organisation de concerts, collage, graffiti, piquets de grève, soutien logistique à des grèvistes et des ressortissants étrangers, etc.)
      ☠ « certains espaces de rencontres » (bars associatifs, clubs de sport, centres sociaux, collectifs d’habitants, librairies, squats, etc.)
      ☠ « certains espaces ruraux désertés » (Cévennes, Corrèze, Ariège, Tarn, Ardèche, Dordogne, etc.)
      ☠ « les dégradations de biens privés ou publics » (champs OGM, caméras de surveillance, antennes relais, armoires de fibre optique, banques, multinationales, véhicules de gendarmerie, etc.)
      ☠ « l’occupation illégale de lieux » (squats, occupations, ZADs, etc.)
      ☠ « des actions coup de poing » (attaques de permanences de partis, affrontements avec des militants d’extrême-droite, black bloc, actions de solidarité internationale, etc.)

      Il peut y avoir plusieurs manières de réagir face à une GAV antiterroriste. La plus recommandée est d’exercer son droit à garder le silence. Cependant, vu la « gravité » des soupçons qui pèsent sur toi, ta non-collaboration sera considérée comme un aveu de culpabilité, ou une « preuve » que tu es un.e militant.e aguerri.e. Tu iras probablement en détention provisoire, mais ta défense sera plus « facile ».
      Une fois le dossier entre tes mains, tu sauras à quoi t’en tenir.

      Les conditions d’une GAV antiterroriste sont particulières : privation sensorielle et temporelle, interrogatoires très intensifs (entre 300 et 800 questions), instabilité émotionnelle due à l’arrestation spectaculaire, menace d’une peine de prison démesurée, techniques de manipulation des enquêteur.ices, etc.

      Il n’y a pas de honte à craquer, pleurer, répondre aux questions, etc. Ce sont des professionnels qui ont accumulé des décennies d’expériences pour « faire parler » leurs suspects. Mais il ne faut jamais oublier : chaque question (même anodine) a pour objectif que tu t’incrimines toi-même ou que tu incrimines d’autres personnes. Les agents te mentiront aisément.
      POUR S’ARMER FACE À LA GARDE A VUE
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      « Comment la police interroge et comment s’en défendre » du Projet Évasions
      ☻ Disponible en téléchargement sur le site : https://projet-evasions.org

      « Petit manuel de défense dollective : de la rue au tribunal » de Riposte Collective
      ☻ Disponible sur le site : https://infokiosques.net
      Note

      Pour soutenir les inculpé.es du 8 décembre et trouver plus d’infos, rdv sur https://soutien812.net

  • #Processus_de_Rabat : la Suisse organise à Genève une #rencontre consacrée aux personnes disparues sur les routes migratoires

    La Suisse s’engage dans le cadre du Processus de Rabat, le dialogue euro-africain sur la migration et le développement. En collaboration avec la Gambie, elle organise, les 20 et 21 septembre 2023 à Genève, une réunion thématique sur la question « Séparation des familles et personnes disparues dans le contexte de la migration : prévention, recherche et réunification ».

    La problématique des personnes disparues sur les routes migratoires constitue un défi majeur pour la communauté internationale. Depuis 2014, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) a répertorié près de 60 00 migrants disparus ou décédés dans le monde, sachant que de nombreux cas ne sont probablement pas recensés. L’adoption, lors de la conférence ministérielle de Cádiz en décembre 2022, du plan d’action 2023-2027 a permis de créer un nouveau cadre stratégique pour le Processus de Rabat. À l’initiative de la Suisse, le nouveau #plan_d'action comporte pour la première fois des #mesures concernant les migrants disparus et les #familles_séparées.

    La rencontre qui se déroulera à Genève portera sur la #prévention, la #recherche et l’#identification des #migrants_disparus ainsi que sur la #réunification_des_familles. Elle aura pour objectif d’encourager l’échange de connaissances entre les quelque 70 représentants d’autorités nationales et d’organisations internationales, de déterminer les instruments utiles ainsi que les bonnes pratiques et de renforcer la collaboration internationale.

    Depuis plusieurs années déjà, la Suisse se penche sur le sujet des personnes disparues. Le 11 mai 2021, elle a lancé, avec le Comité international de la Croix-Rouge (CICR), l’Alliance mondiale pour les personnes disparues. À ce jour, l’Alliance, dont la présidence est assurée par la Suisse et le Mexique, compte 12 États membres. La rencontre thématique s’inscrit dans le cadre de cet engagement. Elle est organisée par le Secrétariat d’État aux migrations et la Division Paix et droits de l’homme du Département fédéral des affaires étrangères, en collaboration avec le Centre international pour le développement des politiques migratoires, qui assure le secrétariat du Processus de Rabat. De nombreuses organisations, telles que le CICR, le Haut-Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés, l’OIM, le Fonds des Nations Unies pour l’enfance, l’Argentine Forensic Anthropology Team et des Sociétés nationales de la Croix-Rouge et du Croissant-Rouge, fournissent une contribution importante à cette réunion grâce à leur expertise.

    Depuis 2006, le Processus de Rabat sert de plateforme pour le dialogue migratoire entre une cinquantaine de pays d’Afrique du Nord, d’Afrique occidentale, d’Afrique centrale et d’Europe. L’Union européenne, la Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest et diverses organisations internationales y prennent également part. La Suisse est un membre actif du Processus de Rabat depuis 2006 et est représentée au sein de son comité de pilotage depuis décembre 2022. Le Processus de Rabat lui permet de renforcer le dialogue migratoire avec les pays européens et africains. En tant que pays de référence en matière de protection et d’asile, la Suisse joue le rôle d’État hôte de conférences thématiques, contribuant ainsi au développement de cette composante stratégique du dialogue. Cette année, c’est le Maroc qui assure la présidence du Processus de Rabat.

    https://www.admin.ch/gov/fr/accueil/documentation/communiques.msg-id-97798.html
    #disparus #migrations #asile #réfugiés #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières

    • Riace resiste e chiede giustizia per Lucano

      Battuta dal vento Riace aspetta sulla collina. Un piccolo borgo immerso nella Locride calabrese che ha conquistato l’attenzione del mondo intero per ben due volte negli ultimi cinquant’anni, a vederlo oggi sembra davvero che dorma impassibile di fronte alla storia e in attesa di un destino già scritto. Come tanti altri borghi su queste stesse colline, come potrebbe dirsi di tanti altri luoghi delle cosiddette aree interne, Riace sa che in questo modello di sviluppo non ha futuro. Lo avrà forse la Marina del paese, che ambisce a trovare il suo posto almeno per qualche mese l’anno nell’industria del turismo. Qualche anziano nei bar, poche luci accese nel paese. Rimangono aperte le botteghe di un altro mondo possibile, il vasaio di Kabul, le sarte, gli artisti, e attendono, anche se non ci sono passeggiatori pronti a entrare. Un sonno inquieto dove non c’è pace e rassegnazione mista a rabbia si contendono il campo. Il 20 settembre Domenico Lucano, detto Mimmo, detto Mimì Capatosta, tornerà sul banco degli imputati per essere nuovamente giudicato sulla sua condotta da sindaco prima che una piccola restaurazione tornasse a conquistare questo piccolo borgo che ha tentato la rivoluzione. In questa estate torrida un mese di eventi e incontri ha animato il Villaggio globale di Riace sfidando il senso di sconfitta e la ragionevolezza. Un appuntamento per rinsaldare alleanze e rilanciare.

      (#paywall)
      https://left.it/2023/09/07/riace-resiste-e-chiede-giustizia-per-lucano-left

    • Scandale – Procès politique : Mimmo Lucano, jugé pour avoir accueilli des migrants

      Migrants. Au moment où Lampedusa reflète à la fois le durcissement de la politique migratoire de l’Europe et l’urgence de construire des réponses aux guerres, aux dictatures, à l’exploitation capitaliste, au dérèglement climatique qui conduisent à l’exode, qu’est-ce qui peut bien valoir 13 ans de prison aujourd’hui en Italie ? L’hospitalité, ce serait le crime de Domenico Mimmo Lucano, ex-maire de Riace en Calabre. Déjà condamné à 13 ans de prison en septembre 2021 en première instance, son procès en appel se tient ce 20 septembre. Notre article.
      Que reproche-t-on à Mimmo Lucano ?

      En 1998, 200 réfugiés kurdes échouent sur les plages de Riace. Le village, sous l’impulsion du prêtre et de Mimmo Lucano, installe les migrants dans les maisons du village abandonnées du fait de l’exode intérieur calabrais vers le nord de l’Italie ou vers l’Allemagne, voire l’Amérique. Avec l’emprunt contracté auprès d’une banque éthique et l’accord des propriétaires, les maisons du centre-ville sont rénovées. Mimmo Lucano s’engage dans les municipales autour des valeurs d’hospitalité, consubstantielles selon lui de la Calabre, en désignant les réfugiés non pas comme un problème, mais comme la solution à la désertification et à l’appauvrissement de son village. Et ça marche.

      De fait, l’école rouvre ainsi que les petits commerces, des coopératives et des entreprises artisanales, avec la mobilisation citoyenne et l’engagement de l’équipe municipale. Un exemple : le village dans sa partie haute est escarpé et les rues étroites. Le marché du ramassage des ordures ménagères a été attribué à une coopérative de carrioles conduites par des ânes, là où les appels d’offres conduisaient à l’allouer à des entreprises liées à la N’dranghetta, la mafia calabraise, pour une tâche non effectuée. Mimmo est réélu deux fois.

      Il devient regardé dans le monde, cité en exemple par de nombreuses ONGs et par l’ONU, désigné meilleur maire de la planète par ses pairs, de nombreux articles, reportages, films dont un signé par Wim Wenders relatent cette « utopie réalisée ».
      Riace : une zone à mettre en quarantaine pour l’extrême droite italienne

      Dès 2016, les aides économiques du Centre d’accueil extraordinaire sont coupées. En 2018, avec l’arrivée au ministère de l’Intérieur de Matteo Salvini en Italie, les aides du Système de protection pour demandeurs d’asile et réfugiés sont suspendues. Le ministre de l’Intérieur d’extrême droite, venant du parti la Ligue du Nord, le désigne comme un ennemi à abattre. Le 1er octobre 2018, il est arrêté.

      Une décision de justice le bannit de Riace. Le 5 septembre 2019, après 11 mois d’interdiction de séjour dans sa commune, l’ancien maire obtient la révocation de cette décision de justice contre l’avis du procureur, et retourne vivre dans son village après des municipales ayant donné la victoire à la Ligue du Nord. Son procès s’ouvre et en septembre 2021, il est condamné à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amendes. Son crime ? Avoir considéré les migrants comme des frères et sœurs en humanité.

      Mimo dit souvent que c’est la réussite et la diffusion de l’exemple de Riace qui a mis le village dans la ligne de mire de la mafia calabraise puis des différents pouvoirs italiens et des néo-fascistes. Au-delà même du point de vue sur la politique migratoire, cette propagation mettait en cause un modèle de pouvoir politique et aussi économique, c’est-à-dire considérer les réfugiés sans-papiers comme de la main d’œuvre bon marché et corvéable pour ramasser les olives.
      L’Italie sous Meloni : la chasse aux migrants

      En Italie, sous Salvini puis Meloni, l’hospitalité est donc punie sous les motifs d’inculpation d’ « escroquerie », « détournement de fonds », » abus de pouvoir », « faux en écriture » et « association de malfaiteurs ». Comme un air des Soulèvements de la Terre qui plaine dans les plaines de Calabre. Autant de supposés délits et infractions attribués au maire, commis dans l’organisation de l’accueil et l’intégration de migrants dans son village de Riace.

      Mimmo Lucano a été condamné en première instance pour avoir favorisé l’immigration illégale et pour détournement de fonds. Il a été aussi condamné pour avoir conclu un contrat avec la coopérative de ramassage des ordures ménagères contre les entreprises mafieuses, décrété la gratuité pour tous – de la demande de certificats municipaux de toutes natures – et la prise en charge municipale du versement de 5 euros à la préfecture. On pourrait ainsi égrener les mille pages du délibéré.

      Le tribunal de Locri, ville siège de la N’dranghetta, reproche au maire d’avoir utilisé les fonds quotidiennement attribués à l’accueil des migrants pour des projets d’intégration à long terme. Plus simple pour le pouvoir italien de financer avec cet argent, des entreprises privées qui bricolent des prisons à migrants. L’ancien maire est aussi condamné pour ne pas avoir respecté les procédures d’attribution des marchés municipaux en favorisant les coopératives locales de migrants et d’habitants de Riace.

      La rumeur parcourt la ville et le tribunal d’une infamante accusation d’association de malfaiteurs. Et d’enrichissement personnel. Un théorème accusatoire auquel manque la pièce maîtresse : l’accusation a été incapable non seulement de démontrer, mais même de repérer quelque forme d’enrichissement personnel ou d’accumulation de patrimoine.

      Au bout de ces deux mandats comme maire à la Mairie de Riace, Mimmo Lucano est resté le même homme, aux revenus modestes et sans patrimoine personnel, qu’il était avant son élection. Et si aucune trace d’enrichissement personnel n’apparaît, la réussite du modèle d’accueil et d’intégration des migrants dans le village de Riace est bien une réalité établie sous les yeux de tous et saluée dans le monde entier. En effet, Mimmo Lucano n’a fait que « tordre » les règles de la bureaucratie pour réussir avec peu un pari contraire au dogme libéral et que d’autres définissent comme utopique.
      Face à l’infâmie, la solidarité s’organise

      Mimmo a plusieurs fois répété que l’exemple est venu de France.

      Le 17 novembre 2021, à l’initiative de deux collectifs citoyens, un meeting de solidarité réunissant 700 personnes se tenait à la Bourse du travail de Paris en présence notamment de Danièle Obono, députée insoumise. Plusieurs villes et villages dont Grabels, Marseille… faisaient du maire de Riace leur citoyen d’honneur.

      Le 21 mars 2022, Jean-Luc Mélenchon signait une lettre adressée au premier ministre Italien Draghi et au président Mattarella dans une coalition de personnalités mondiales dont Ada Colau, maire de Barcelone, Noam Chomsky, linguiste américain, Malin Bjork eurodéputée suédoise, Jeremy Corbyn, député anglais, Yara Hawari, écrivaine palestinienne, Oezlem Demirel députée européenne allemande, Carola Rackete, capitaine de navire en Méditerranée…

      Avec une simple demande : « Abandonnez toutes les charges contre Mimmo Lucano ». Un livre réunissant les contributions inédites de 40 auteurs et 20 graphistes – Terre d’humanité/un chœur pour Mimmo ed Manifestes ! – et le film Un paese di Calabria de Shu Aiello et Catherine Catella servaient d’activeurs à des dizaines de réunions dans des associations, des théâtres, cinémas et librairies.

      Dans un silence médiatique assourdissant.
      Ce 20 septembre, un procès hautement politique

      Aujourd’hui, Mimmo Lucano affronte son procès en appel. Les réquisitions du procureur intervenues en octobre 2022 sont de 10 ans et 5 mois d’emprisonnement. La possibilité de la condamnation de Mimmo est réelle, après l’expérience hospitalière de Riace saluée dans le monde entier, du Haut-commissariat aux réfugiés de l’ONU au Pape. Il serait ainsi « le premier prisonnier politique du gouvernement Meloni-Salvini ». Cela ne peut nous laisser indifférent.

      Mimmo ne se rendra pas à son procès. Autour de quelques amis et soutiens, il tient à profiter encore de sa terre, son village pour ce qui pourrait être ses derniers moments non d’homme libre mais de liberté de mouvement. Il assume la totalité de ses actes et déclare « J’assume d’être sorti de la légalité, mais la légalité et la justice sont deux choses différentes. La légalité est l’instrument du pouvoir et le pouvoir peut être injuste. »

      Il continue la bataille de Riace. Après une interdiction, le moulin à huile d’olive « free N’dranghetta » a été remis en circuit ainsi que des parcelles agricoles. L’association Citta futura réfléchit à comment reprendre le contrôle des maisons, certains propriétaires reprenant la jouissance de leurs biens abandonnés mais restaurés grâce à l’argent public et aux dons, avec l’accord du nouveau maire de la Ligue du nord, pour les louer via AIRbnB. La côte napolitaine étant saturée, les bétonneurs, spéculateurs et autres mafieux visent la Calabre.

      Pendant que des politiques français, de Darmanin à Le Pen pérorent en Italie et y prônent la chasse aux réfugiés comme ils font la chasse aux pauvres en France, de nombreux militants tentent de donner de la visibilité à ce procès. Très vite, on parlera de lui de nouveau à l’occasion de la publication du verdict fin septembre, soit pour fêter sa liberté et reprendre le cours de l’expérience de Riace, soit pour continuer le combat pour Mimmo. Pour un autre monde, fondé sur l’hospitalité et la fraternité.

      Laurent Klajnbaum
      Mise à jour de la rédaction du 20 septembre 2023, 14h07 : à la demande du procureur, la dernière audience du procès de Mimmo a été reportée au 11 octobre.

      https://linsoumission.fr/2023/09/20/scandale-mimmo-migrants

    • Processano Riace, vogliono altre carceri per innocenti

      Processano Riace e Mimmo Lucano, criminalizzano la buona accoglienza e la solidarietà. E puntano tutto su respingimenti, “guerra ai trafficanti” e nuovi e altri centri di detenzione. Il fatto è che il business non è l’accoglienza, come si affanna a strombazzare la destra peggiore. Il business sono i rimpatri e la detenzione.

      di Tiziana Barillà

      Sì, Italia e Unione Europea investono fior di miliardi per spostare oltre le frontiere la loro ferocia, con accordi consolidati come quelli con Libia e Turchia, e nuovi come quello con la Tunisia. Ma i lager e le carceri per innocenti non sono un’esclusiva della Libia, della Turchia o dei paesi terzi a cui appaltiamo la barbarie.

      Le prigioni per innocenti ci sono anche in Italia, e adesso vogliono farne altre 12.

      Torino, Milano, Bari, Brindisi, Macomer, Gradisca d’Isonzo, Roma, Caltanissetta, Palazzo San Gervasio e Trapani. In Italia ci sono 10 Centri di Permanenza per il Rimpatrio: carceri per innocenti dove – attraverso la misura di detenzione amministrativa – vengono trattenute centinaia di persone che hanno l’unica colpa di essere arrivati qui in cerca di un rifugio.

      Non hanno commesso nessun reato – se non quello di attraversare i confini senza documenti – ma vengono privati della libertà e rinchiusi in vere e proprie prigioni, in attesa di essere rimpatriati nei loro Paesi di origine.

      Centri gestiti da privati che sono un vero e proprio fulcro di affari per le multinazionali che gestiscono la detenzione dei migranti: quasi sempre multinazionali che si occupano di carceri.

      Eh sì, è questo il business. A farsi carico della loro gestione non è lo Stato ma cooperative o multinazionali, che hanno trovato nella detenzione amministrativa un business niente male: 44 milioni di euro nel triennio 2018-2021 per gestire circa 400 detenuti, le strutture e il personale di sorveglianza.

      E nel triennio 2021-2023 sono previsti 56 milioni di euro.

      Queste prigioni per innocenti – oltre a essere inaccettabili – non rispettano nemmeno gli standard minimi europei del comitato per la prevenzione della tortura.

      Stanze sovraffollate in condivisione con le blatte, finestre senza vetri, materassi ammuffiti, bagni senza porte

      Niente psicologo, niente mediatori, niente personale sanitario

      I governi, italiano ed europeo, consentono e alimentano il profitto sulla pelle di detenuti innocenti, sacrificano centinaia di vite umane sull’altare del capitalismo criminale e questo mentre chiudono e rendono impossibile la vita ai progetti di buona accoglienza e criminalizzano il suo simbolo, la Riace di Mimmo Lucano

      L’alternativa a questo schifo la conosciamo già: è il modello Riace. Quello infamato e assediato con ogni mezzo: mediatico, politico, giudiziario. Quello che da due anni toglie il sonno a Mimmo Lucano, in attesa di una sentenza che tarda ad arrivare.

      ps. l’udienza per conoscere la sentenza di appello nel processo Xenia – che vede coinvolti Lucano e altri 17 imputati – è stata fissata per l’11 ottobre 2023, alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

      https://www.osservatoriorepressione.info/processano-riace-vogliono-carceri-innocenti

    • Che cosa succede al processo contro Mimmo Lucano? Al processo d’appello, la parola alla difesa

      Salvo sorprese, questo dovrebbe essere il mio ultimo report dalle udienze del processo su Riace e Lucano in corso presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Il 20 settembre si è tenuta l’ultima udienza, dedicata alla difesa dell’ex-sindaco di Riace: gli avvocati difensori, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, che da anni lo difendono a titolo gratuito, hanno illustrato le loro valutazioni critiche della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Locri ormai quasi due anni fa. Al prossimo appuntamento, fissato per l’11 ottobre, si aprirà la Camera di Consiglio per definire la sentenza di secondo grado.

      Con le parole dei difensori di Lucano è riapparso come per incanto il dibattimento. Quel dibattimento che la sentenza di Locri aveva ignorato, tutta schiacciata com’era sulle argomentazioni dell’accusa, al punto da non tener in nessun conto le vicissitudini che avevano subìto nel corso della discussione processuale. La logica della prova, della sua debolezza o della sua mancanza, vibrava di nuovo nell’aria, dopo che quella sentenza l’aveva relegata a indizio, supposizione, pre-giudizio, se non addirittura a gratuiti voli pindarici su intenzioni passate e future.

      Giuliano Pisapia ha voluto mettere a fuoco la figura di Lucano, perché in un processo penale, ha detto, l’elemento soggettivo è fondamentale: vi si giudica una persona, non solo degli atti. E lo ha fatto partendo dalla lettura di una sua lettera ai giudici. “Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture”. Lucano racconta di aver vissuto anni di grande amarezza non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta su di lui e sull’esperienza di Riace. Per questo ha continuato a dedicarsi, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio Globale di Riace che continua a ospitare persone con fragilità. “Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere!”.

      Ecco, dice Pisapia, “io non parlo di un santo. Mi interessa chi è colui che oggi è imputato e al momento ha una sentenza con una condanna esorbitante”. La sentenza di primo grado ha volutamente disconosciuto i valori che hanno ispirato tutta la sua azione pubblica e il carattere ideale di questa sua missione. A questo servono i giudizi morali, le derisioni, i veri e propri insulti che infarciscono la sentenza e che hanno scandalizzato tanti giuristi che vi hanno visto la negazione dell’imparzialità del giudice. Eppure costituiscono un pezzo importante della sentenza: la denigrazione di Lucano fa parte di una strategia di sospetto nei confronti di chiunque agisca in nome di valori, osserva Luigi Ferrajoli, perché dietro non può che esserci un secondo fine, una ricerca di vantaggi personali. Così anche per Lucano si è sostenuto che inseguisse un vantaggio economico. Dalla lettura degli atti processuali, però, risulta che non aveva un soldo sul proprio conto corrente, che ha messo tutto a disposizione degli altri, perfino i premi che ha ricevuto, che vive in condizioni di povertà. “Falcone diceva di seguire i soldi. Vi prego, seguite i soldi di Lucano, non li troverete”.

      Allora, di fronte all’impossibilità di provare il vantaggio economico, si è preteso che Lucano abbia agito per vantaggi politici, per creare un sistema clientelare che gli garantisse una lunga carriera politica. Ma come si fa a dire che ha fatto quello che ha fatto per motivi politici se, come tutti sanno, ha ostinatamente rifiutato di candidarsi per un posto praticamente assicurato al Parlamento Europeo? “Questo dovrebbe già chiudere il processo”, osserva Pisapia, perché manca il dolo e manca la consapevolezza e la volontà di perseguire un vantaggio personale – due fattori essenziali per stabilire un reato penale.

      Lucano è una persona che ha sempre avuto come priorità il bene altrui. Come aveva detto Monsignor Bregantini al Tribunale di Locri, è qualcuno che ha anticipato lo spirito dell’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. Certo, anche chi agisce a fin di bene può arrivare a violare norme, ma questo comporta dei rilievi che vanno chiariti, non rinnega certo la finalità virtuosa dell’azione. Se il sistema di accoglienza a Riace era cresciuto in modo esponenziale, vuol dire che Riace si era messa a disposizione di istituzioni in difficoltà nell’affrontare un problema nazionale. Negare il valore di questo contributo, trasformare l’accoglienza a Riace in un’azione criminale di accaparramento, insinuare che la povertà di Lucano sia un’astuta menzogna, sono modalità proprie di quello che Ferrajoli ha indicato come il processo offensivo, dove il giudice si considera nemico del reo, non cerca prove certe, ma solo conferme di una colpevolezza presunta.

      Dopodiché Pisapia è entrato brevemente nella discussione di alcuni capi d’imputazione, in particolare quelli che riguardano i cosiddetti “lungo permanenti”, le verifiche su rendicontazioni e documentazione da parte delle associazioni, una carta d’identità considerata falsa. Su nessuno di questi capi d’imputazione, ha detto, il dibattimento ha provato in modo certo la responsabilità di Lucano; per questo ne ha chiesto l’assoluzione.

      Si è rivolto direttamente ai giudici: “La vostra sentenza sarà importante perché, specialmente in questo periodo in cui la situazione dei migranti è particolarmente difficile e complicata, avere tante Riace aiuterebbe a risolvere tanti problemi e a evitare situazioni drammatiche che un Paese come il nostro non dovrebbe guardare da lontano, ma dovrebbe essere capace di affrontare”. E ha concluso con una chiosa, evidentemente riferita alla sua esperienza di avvocato e di politico. “Quando la politica entra nelle aule di giustizia, la giustizia scappa inorridita dalla finestra. Per me è qualcosa di insuperabile: un conto è la giustizia e un conto è la politica. Devono avere ognuno i propri ruoli e non devono entrare nei ruoli altrui”.

      A questo punto ha preso la parola l’avvocato Andrea Daqua, per esaminare nel dettaglio i capi d’imputazione su cui la sentenza di primo grado ha costruito la condanna di Lucano a più di tredici anni di reclusione. Per mostrarne debolezze e contraddizioni, è ripartito dalle anomalie delle relazioni su Riace: dalla prima relazione prefettizia fortemente negativa, finita in mano a Il Giornale ancor prima di arrivare al sindaco; alla seconda relazione della Prefettura, sollecitata dallo stesso Lucano, che esprimeva un giudizio positivo dell’accoglienza, che però il Prefetto secretò per circa un anno. Fino all’ispezione congiunta di Prefettura e Sprar, affidata a Sergio Troilo e Enza Papa, con l’obiettivo di svalutare Riace e che portò all’improvvisa chiusura dello Sprar. Il ricorso di Lucano contro quella misura fu accolto, fino alla conferma definitiva da parte del Consiglio di Stato, che definì Riace un “modello encomiabile” e stabilì che lo Sprar doveva essere riaperto. Intanto però era stato chiuso.

      Daqua descrive la sentenza di primo grado come il punto di arrivo di un’indagine unidirezionale che, invece di accertare i fatti, ha eliminato ogni elemento in contrasto con l’impianto accusatorio precostituito da quelle ispezioni. Ne è prova quell’intercettazione a discarico che il tribunale di Locri si era rifiutato di prendere in considerazione e che i giudici d’appello hanno ammesso riaprendo l’istruttoria. In quell’intercettazione, l’ispettore Del Giglio rivelava a Lucano che “lo Stato non vuole il racconto della realtà di Riace [perché] l’obiettivo integrazione è soltanto una parola buttata là” e confessava di ritenere personalmente che “Riace, al di là delle disfunzioni eventuali o delle anomalie amministrative, quindi della burocrazia, abbia realizzato una realtà evidentemente ancora unica sul territorio nazionale. Dovete difenderla”.

      Così, il Tribunale di Locri si è appiattito sull’accusa, ha stravolto i fatti, ignorato la documentazione prodotta dalla difesa e i contributi dei suoi consulenti, travisato il contenuto di testimonianze, distorto il contenuto delle intercettazioni, fino ad assumere un linguaggio che trasuda un fumus denigratorio fuorviante. Daqua ha portato molti esempi per denunciare l’uso distorto delle intercettazioni, realizzato in modo chirurgico e tendenzioso. Frasi inesistenti inserite, errori di trascrizione che cambiano il senso delle parole, interpretazioni stravolte per confermare convinzioni precostituite.

      Esemplare il caso dell’intercettazione ambientale del 10/07/2017 in cui Lucano e Capone parlano del frantoio; il tribunale mette in evidenza il ruolo di Lucano nell’indicare “le false dichiarazioni che avrebbero dovuto rendere concordemente in merito a quelle spese effettuate”, e questo grazie alla frase “E’ per i rifugiati, gli devi dire”. Peccato che le parole “gli devi dire” non esistono nella registrazione audio, compaiono, sì, nella trascrizione della polizia giudiziaria che l’accusa aveva usato nel dibattimento, ma non ci sono nella trascrizione ufficiale fatta dal perito del tribunale. Questo rivela qualcosa di molto grave: l’appiattimento del giudice sulle argomentazioni dell’accusa, fino al punto di contraddire il tribunale stesso e di perdere la sua terzietà.

      Grave anche perché proprio questa intercettazione svolge nella sentenza di Locri un ruolo chiave: secondo il tribunale Lucano, non sapendo ancora di essere indagato, starebbe qui costruendo le false dichiarazioni da diffondere a proposito del frantoio, rivelando così che in realtà da quell’acquisto si aspettava un ritorno economico. Questa interpretazione distorta diventa uno spartiacque: perché per dare valore probatorio a questi elementi, la sentenza esclude tutte quelle intercettazioni da cui si desume invece che il frantoio va effettivamente a vantaggio dei rifugiati considerandole artefatte in quanto, essendo successive a quella data, ormai l’indagine era nota. Quell’intercettazione sarebbe insomma la prova della torsione della verità che Lucano avrebbe astutamente architettato… e non una ricostruzione preordinata che esiste solo nella mente del tribunale.

      In realtà, continua Daqua, il frantoio rappresenta un’attività conforme agli obiettivi e allo spirito dello Sprar, che promuove progetti speciali per l’integrazione e non c’è nessuna prova che si tratti di un’appropriazione privata. Il frantoio è al cuore dell’accusa di distrazione di fondi pubblici, ma il reato di distrazione richiede un uso improprio delle somme distratte e non c’è prova di uso improprio del frantoio. Come non c’è del resto per le altre case che pure rientrano nell’accura di peculato, di cui anzi la difesa ha fornito precisa documentazione, dimostrando che sono state usate per l’accoglienza dei migranti. D’altronde, tutti i fondi che arrivavano ai progetti di Riace confluivano in un unico conto corrente – pubblici, privati, anche rimborsi di progetti precedenti. Siccome il tribunale ha fatto i suoi accertamenti a livello di cassa, era difficile riuscire a distinguere analiticamente quali fondi venivano di volta in volta spesi. E’ stato questo il contributo della consulente Madaffari, che aveva portato il libro mastro contabile del Comune di Riace, dove invece risultava anche la fonte, ma il tribunale ha ignorato del tutto le consulenze prodotte dalla difesa.

      Quanto all’imputazione più grave, l’associazione a delinquere, di cui Lucano sarebbe il capo indiscusso, Daqua riprende dal dibattimento le testimonianze prodotte dalla stessa accusa che escludono il reato associativo. Più volte il Presidente Accurso aveva chiesto al colonnello Sportelli di precisare se c’era in gioco un rapporto collettivo, dei legami di concertazione, una consapevolezza di questi legami; sempre Sportelli aveva risposto negativamente. Enza Papa aveva dichiarato che gli uffici dello Sprar erano messi in difficoltà dalla frammentazione del sistema Riace, con tutte quelle associazioni che non comunicavano fra di loro, ognuna andava per conto proprio, non c’era organizzazione. Non ci sono insomma i presupposti per il reato associativo. Ma il tribunale ricorre come al solito ad un’intercettazione in cui si parla della necessità di coordinarsi e la porta come prova di quel legame, che gli stessi testimoni dell’accusa negano; peccato che il coordinamento di cui si sta parlando sia un coordinamento di tipo funzionale. Un’altra forzatura intollerabile.

      In conclusione, Daqua dichiara che si tratta di una “sentenza ingiusta ed errata per tutti i capi di imputazione”. Per questo, come Pisapia, chiede l’assoluzione di Lucano da tutti i reati a lui ascritti dalla sentenza di primo grado. E incalza i giudici: “Voi avete la possibilità di correggere un macroscopico errore”. Lo faranno?

      https://www.pressenza.com/it/2023/09/che-cosa-succede-al-processo-contro-mimmo-lucano-al-processo-dappello-la-