• Die #Anstalt vom 1. Februar 2022
    –->45min cabaret about Frontex

    Beim „Schnuppertag Grenzmanagement“ in der Frontex-Zentrale lernt das Anstaltsensemble, wie man zweifelhafte Machenschaften ins rechte Licht rückt.

    Including 40 pages PDF with reference for every statement:
    „Der Faktencheck zur Sendung vom 1. Februar 2022“

    https://www.zdf.de/comedy/die-anstalt/die-anstalt-vom-1-februar-2022-100.html

    Quote [gendered]:
    „Wie macht mensch denn eine Sache die erfolgreich ist effektiver indem mensch sie reduziert?“
    [...]
    Ich weiß was Sie jetzt sagen wollen: jaja die EU fährt mit ihren Schiffen an der Seenotrettung vorbei und Frontex fliegt mit seinen Flugezeugen oben drüber"
    „Und liege ich damit daneben?“
    [...]
    „Hören Sie, ich glaube Sie haben immer noch eine veraltete Vorstellung davon das Seenotrettung Menschen aus Seenot rettet“
    "Ja gut, aber ich bin ja auch kein Profi"
    „Vermehrte Seenotrettung führt dazu das sich Menschen vermehrt in Seenot begeben. Wissenschaftlich nennt mensch das den Pull-Faktor“
    "Aber das die Wissenschaftler*innen für diese These noch gar keinen Beleg haben, das stört sie nicht oder wie?"
    „Nein, wieso?“
    [...]
    „Um die Zahl der Ertrinkenden zu reduzieren muss Mensch also die*den Badermeister*in abschaffen?“

    #Frontex #cabaret #video #EU #border #migration

    ping @cdb_77

  • Système de surveillance #SIVE à #Lanzarote prochainement opérationnel

    El SIVE de Lanzarote podría operar en un mes a 10 metros del Mirador de Haría

    El delegado del Gobierno lamenta que en Lanzarote no haya habido «suerte de colaboración en Arrecife», donde se preveía un CATE como el de Barranco Seco para atender a los migrantes en las primeras 72 horas

    El delegado del Gobierno en Canarias, Anselmo Pestana, ha anunciado este lunes que hay acuerdo para instalar en Lanzarote un Sistema Integrado de Vigilancia Exterior (SIVE) que se ubicará a 10 metros del Mirador de Haría, al norte de la isla, y con el que «solventará la carencia» del sistema.

    Tras participar en una rueda de prensa, Pestana ha precisado que este SIVE se ubicará en "un espacio colindante con una instalación de telefonía, lo que permitirá combinar el respeto a un mirador que quiere preservar el Ayuntamiento con la necesidad de contar con esta instalación de detección de embarcaciones usadas por inmigrantes para entrar a España por esta frontera sur de la UE.

    Se encuentra «en fase final, por lo que estará en un mes o algo más de un mes» y hay «acuerdo con la ubicación», por lo que, pese a los retrasos, que ha admitido, ha estimar que «hay que mirar hacia delante», al tiempo que se ha felicitado por que se solventen las deficiencias existentes en este ámbito en esta zona del archipiélago.

    Sobre la necesidad de disponer de más infraestructuras de acogida de migrantes en Lanzarote, ha señalado que «es algo que está en proceso en los ministerios de Interior e Inclusión», desde cuyas responsabilidades «están intentando mejorar las infraestructuras en el Plan Canarias».

    Pestana ha recalcado que hay «una especie de reenfoque de la migración hacia las islas orientales» porque las embarcaciones no llegan tanto del sur de Mauritania o Senegal, como lo han hecho de forma notable a Gran Canaria, Tenerife o El Hierro, sino que ahora parten «desde zonas más cercanas a estas islas» más orientales, lo que hace necesario «reenfocar las necesidades».

    El delegado ha lamentado que en Lanzarote no haya habido «suerte de colaboración en Arrecife», donde se preveía un CATE como el de Barranco Seco (Gran Canaria) para atender a los migrantes en las primeras 72 horas, en las que se procede a su identificación y a la realización de los test de detección de la covid-19.

    Pestana ha subrayado que en esas 72 horas los migrantes «no salen del centro», por lo que «no entiende la oposición del Ayuntamiento de Arrecife».

    En relación al almacén habilitado en la capital lanzaroteña para este cometido, Anselmo Pestana ha dicho que este tipo de espacios «no reúnen las condiciones necesarias», de ahí que el objetivo sea consolidar «una red estable de centros con capacidad para los picos migratorios y con capacidades del Estado» que atienda a estas personas con «la dignidad precisa en las primeras horas» siguientes a su llegada a las Islas.

    Ante la reapertura de las fronteras por parte de Marruecos, ha recordado que el CIE Barranco Seco está abierto y funcionando.

    Pestana ha recordado que «uno de los mecanismos disuasorios para bajar la presión es la capacidad de devolución al país de origen o tránsito», por lo que existe «necesidad de activar cuanto antes este sistema, como antes, con 80 personas semanales y varios vuelos», ya que ello «bajará la presión de Canarias» y «será mejor para todos, también para los migrantes».

    A su juicio, así se evitaría que más personas «acudan a esta ruta tan peligrosa», más aún cuando el tipo de embarcación utilizada haya cambiando en favor de las neumáticas lo que, ante malas condiciones de mar, «provoca la pérdida de vidas humanas», que es algo que «no se puede permitir».

    «Se busca hacer lo posible para cerrar esta ruta hacia Canarias», ha aseverado el delegado del Gobierno de España en las Islas.

    https://www.laprovincia.es/canarias/2022/01/31/sive-lanzarote-operar-mes-10-62151255.html

    #complexe_militaro-industriel #surveillance #technologie #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Espagne #radar #Canaries #îles_Canaries #Sistema_Integrado_de_Vigilancia_Exterior

  • Tecnologie per il controllo delle frontiere in Italia: identificazione, riconoscimento facciale e finanziamenti europei


    Executive summary

    L’utilizzo documentato di un sistema di riconoscimento facciale da parte dell’amministrazione comunale di Como o da parte della Polizia di Stato italiana ha aperto anche in Italia il dibattito su una tecnologia che all’estero, già da tempo, si critica per la sua inaccuratezza algoritmica e per la poca trasparenza. Un tema sicuramente preoccupante per tutti ma che certamente assume caratteristiche ancor più pericolose quando interessa gruppi o individui particolarmente vulnerabili come migranti, rifugiati e richiedenti asilo. In questo caso i dati e le informazioni sono processati da parte di agenzie governative a fini di sorveglianza e di controllo, con tutele assai minori rispetto ai cittadini europei ed italiani. Ciò comporta un grande rischio per queste persone poiché le procedure di identificazione al loro arrivo in Italia, effettuate all’interno degli hotspot, rischiano di essere un’arma a doppio taglio per la loro permanenza nel nostro Paese (o in Europa), determinando uno stato di sorveglianza continuativa a causa della loro condizione. Ancora una volta alcune categorie di persone sono costrette ad essere “banco di prova” per la sperimentazione di dispositivi di controllo e sorveglianza, a dimostrazione che esistono e si reiterano rapporti di potere anche attraverso la tecnologia, portando alla creazione di due categorie distinte: chi sorveglia e chi è sorvegliato.

    Da questa ricerca emerge che le procedure di identificazione e categorizzazione dei migranti, rifugiati o richiedenti asilo fanno ampio utilizzo di dati biometrici—la polizia italiana raccoglie sia le impronte digitali che la foto del loro volto—ma non è sempre facile comprendere in che modo vengano applicate. Nel momento in cui viene effettuata l’identificazione, le categorie sopra citate hanno ben poche possibilità di conoscere appieno il percorso che faranno i loro dati personali e biometrici, nonché di opporsi al peso che poi questo flusso di informazioni avrà sulla loro condizione in Italia e in tutta l’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, promuove da alcuni anni la necessità di favorire l’identificazione dei migranti, stranieri e richiedenti asilo attraverso un massiccio utilizzo di tecnologie: a partire dal mare, pattugliato con navi e velivoli a pilotaggio remoto che “scannerizzano” i migranti in arrivo; fino all’approdo sulla terraferma, dove oltre all’imposizione dell’identificazione e del fotosegnalamento i migranti hanno rischiato di vedersi puntata addosso una videocamera “intelligente”.

    Ampio spazio è lasciato alla trattazione di come lo stato italiano utilizzi la tecnologia del riconoscimento facciale già da alcuni anni, senza che organizzazioni indipendenti o professionisti possano controllare il suo operato. Oltre alla mancata trasparenza degli algoritmi che lo fanno funzionare, infatti, non sono disponibili informazioni chiare sul numero di persone effettivamente comprese all’interno del database che viene utilizzato proprio per realizzare le corrispondenze tra volti, AFIS (acronimo di Automated Fingerprint Identification System).

    Nelle intenzioni della polizia italiana, infatti, c’era l’impiego di un sistema di riconoscimento facciale, SARI Real-Time, per riconoscere in tempo reale l’identità delle persone a bordo di un’imbarcazione durante le fasi di sbarco sulle coste italiane. Il sistema SARI Real-Time, acquistato originariamente per l’utilizzo durante manifestazioni ed eventi pubblici, è stato reso inutilizzabile a seguito della pronuncia negativa del Garante della Privacy: rischierebbe di introdurre una sorveglianza di massa ingiustificata. La decisione del Garante tutela quindi non solo coloro che vivono nel nostro paese ma anche chi, in una situazione di estrema vulnerabilità, arriva sulle nostre coste dopo un viaggio interminabile e si vede sottoposto a un controllo sproporzionato ancor prima di ricevere supporto medico e valutazione dello status legale.

    Come Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali dal 2011 ci interroghiamo sul funzionamento e sullo scopo delle innovazioni in campo tecnologico, analizzandole non solo da un punto di vista tecnico ma anche attraverso la lente dei diritti umani digitali. Negli ultimi anni la datificazione della società attraverso la raccolta indiscriminata di dati personali e l’estrazione di informazioni (e di valore) relative al comportamento e alle attività svolte da ognuno di noi sono il tema centrale di ricerca, analisi e advocacy dell’associazione. Siamo convinti infatti che vada messa in dubbio non solo la tecnologia digitale creata al presunto scopo di favorire il progresso o di dare una risposta oggettiva a fenomeni sociali complessi, ma anche il concetto di tecnologia come neutra e con pressoché simili ripercussioni su tutti gli individui della società. È importante a nostro parere che qualunque discorso sulla tecnologia racchiuda in sé una più ampia riflessione politica e sociologica, che cerchi di cogliere la differenza tra chi agisce la tecnologia e chi la subisce.

    Principali risultati:

    https://protecht.hermescenter.org
    #rapport #Hermes #frontières #Italie #reconnaissance_faciale #réfugiés #asile #migrations #contrôles_frontaliers #identification #financements_européens #technologie #complexe_militaro-industriel #Côme #surveillance #biométrie #données_biométriques #catégorisation #photos #empreintes_digitales #AFIS #algorythmes #Automated_Fingerprint_Identification_System #SARI_Real-Time #database #base_de_données

    sur la mise en place de reconnaissance faciale à Côme:
    https://seenthis.net/messages/859963

    ping @etraces

    • Il casellario delle identità AFIS: una banca dati discriminatoria usata dalle forze di polizia

      AFIS è un database nel quale sono raccolti i dati (impronte digitali e foto) di persone italiane e straniere sottoposte a procedimenti penali e dei soli cittadini non europei nell’ambito delle procedure amministrative di rinnovo e conversione del permesso di soggiorno.

      In applicazione di un decreto del Ministero dell’Interno del 24 maggio 2017, i dati amministrativi dei cittadini e delle cittadine extra UE vengono inseriti, confrontati e trattati come dati di polizia per il solo fatto di appartenere a persone straniere, con l’ulteriore paradosso che questi dati non vengono cancellati neanche quando le stesse ottengono la cittadinanza italiana.
      Potere di accesso ai dati degli stranieri senza motivazione?

      ASGI, dopo una serie di accessi agli atti e di accessi civici generalizzati al Ministero dell’Interno, ha rilevato che:

      i cittadini stranieri non possono cancellare i loro dati se non dopo 20 anni dal loro inserimento anche se nel frattempo la loro condizione giuridica è mutata, i loro dati sono verificati e trattati con pochissime limitazioni e da un alto numero di autorità amministrative.

      – I dati delle persone straniere sono confrontati sistematicamente con migliaia di altri dati senza motivazioni specifiche al fine di essere utilizzati per finalità di polizia ed indagine.

      - In particolare i confronti delle foto sono esposti ad un alto tasso di errori a causa della mancanza di un algoritmo in grado di mettere a confronto immagini di cittadini con la pelle di colore scuro.

      - I dati contenuti in AFIS appartenenti a cittadini con la cittadinanza non europea sono la netta maggioranza.

      Diversità di trattamento per milioni di persone

      La Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, ha precisato il numero dei dati in loro possesso.

      “il numero di cartellini fotosegnaletici acquisiti e conservati all’interno della banca dati del Casellario Centrale d’Identità del Servizio Polizia Scientifica (AFIS), corrispondenti a cittadini di paesi terzi, con specifica indicazione: Cartellini acquisiti a soggetti che hanno dichiarato nazionalità: A) di paese terzo dell’Unione Europea 13.516.259, B) di stato membro dell’Unione Europea (Italia esclusa) 1.654.917, C) italiana 3.289.196. I dati sono riferiti al 28 luglio 2022”.

      Infatti, i cittadini stranieri sono foto segnalati diverse volte nell’arco della loro permanenza in Italia: al momento del loro arrivo sul territorio, nei casi di rinnovo, rilascio, conversione del titolo di soggiorno e tutte le volte che vengono foto segnalati, i loro dati confluiscono nella banca dati del Casellario AFIS.

      Per i cittadini italiani non funziona allo stesso modo: i dati di questi ultimi, rilasciati in occasione dell’ identificazione per finalità amministrative (es. per il rilascio del passaporto o della carta d’identità), sono conservati in registri appositi e non confluiscono nella banca dati AFIS (né possono essere in alcun modo utilizzati per scopi di indagine o altre finalità di polizia).
      Causa antidiscriminatoria

      ASGI, insieme all’Associazione Progetto Diritti ONLUS e due cittadini stranieri naturalizzati italiani, ha presentato un ricorso al Tribunale civile di Roma chiedendo l’accertamento del carattere discriminatorio del comportamento del Ministero dell’Interno, consistente nella conservazione e nel trattamento dei dati riguardanti i cittadini stranieri (raccolti in occasione delle pratiche amministrative di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno) all’interno di una banca dati di polizia utilizzata per la repressione dei reati. La conservazione e il trattamento di dati sensibili non può essere differenziata in ragione della nazionalità, salvo una espressa disposizione di legge, avendo i cittadini stranieri diritto alla parità di trattamento nei diritti civili rispetto agli italiani.

      Inoltre, la raccolta di dati biometrici, anche se dovesse ritenersi effettuata per finalità di polizia o per interesse pubblico, deve essere regolata – secondo la disciplina italiana e euro-unitaria – da leggi o da regolamenti che disciplinino il trattamento alla luce della specifica funzione perseguita e che tutelino i diritti dei titolari, mentre nella situazione contestata la raccolta e l’inserimento in banca dati di polizia avviene in via di fatto, in assenza di un espresso e motivato atto normativo.

      Tra le richieste che i ricorrenti hanno formulato al giudice, vi è la cancellazione dalla banca dati AFIS di tutti i dati appartenenti ai cittadini di Paesi non UE identificati per finalità di rilascio, rinnovo o conversione del permesso di soggiorno, nonché la cancellazione dei dati appartenenti ai cittadini stranieri naturalizzati italiani e la modifica del decreto ministeriale del 2017 che ha previsto l’obbligo di inserimento di tali dati in AFIS.

      Infine, i ricorrenti ritengono che l’ attuale trattamento illegittimo possa essere superato solo laddove il Ministero adotti un apposito e separato registro in cui siano conservati esclusivamente i dati dei cittadini stranieri raccolti all’atto del loro fotosegnalamento per il rinnovo e la conversione del titolo di soggiorno, con conseguente cancellazione del registro AFIS dei dati di cittadini extra-UE raccolti per finalità amministrative e pertanto anche dei dati dei ricorrenti.

      https://www.asgi.it/discriminazioni/casellario-afis-una-banca-dati-discriminatoria-forze-di-polizia

  • #Frontex, une agence européenne hors de contrôle

    Alors que pendant des années les critiques des ONG ont été ignorées, Frontex est aujourd’hui sur la sellette. Depuis son entrée en fonction en 2005, l’agence de garde-frontières et de garde-côtes européens a joué un rôle grandissant dans la mise en œuvre de la politique migratoire sécuritaire de l’Union européenne (UE). Longtemps adoubée par les institutions européennes qui n’ont cessé depuis 15 ans de renforcer ses compétences en matière de contrôle et d’expulsions, et son budget (passé de 5 à 543 millions €), elle est à partir de 2020 pour la première fois publiquement questionnée sur ses activités et sa gouvernance (Commission et Parlement européens, Médiatrice de l’UE, OLAF), et en partie lâchée par ses soutiens.

    L’agence est en effet accusée de violations répétées des droits, et notamment de #refoulements aux frontières européennes (ONG et médias internationaux), de manquements à ses obligations réglementaires, de dysfonctionnements internes, voire d’inefficacité (Cour des comptes).

    Si les médias se sont fait le relais des défenseur·euse·s des droits, qui dénoncent depuis plus de dix ans le mandat de Frontex attentatoire aux droits fondamentaux des exilé·e·s, son #opacité, son #autonomie sans contrôle, et son #impunité structurelle, son évolution délétère est pointée du doigt jusque dans ses propres rangs, l’ancien directeur adjoint de l’agence ayant déclaré « être profondément préoccupé par l’atteinte à la réputation de l’agence, sa décision d’armer des agents et son incapacité à empêcher l’extrême droite d’infiltrer ses rangs, dans un contexte de mouvements anti-migrants à travers l’Europe ».

    Les années écoulées ont largement démontré la dangerosité d’une agence hors de contrôle et hors-la-loi, emblème de la politique européenne d’ultra-sécurisation des frontières et de la guerre aux migrant·e·s.

    Frontex n’est pas réformable, seule sa suppression pourrait inaugurer une nouvelle ère dans laquelle l’attachement aux #droits_fondamentaux ne serait pas un simple artifice rhétorique.

    https://migreurop.org/article3075.html

    #Migreurop
    #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #droits_humains

  • Schengen : de nouvelles règles pour rendre l’espace sans contrôles aux #frontières_intérieures plus résilient

    La Commission propose aujourd’hui des règles actualisées pour renforcer la gouvernance de l’espace Schengen. Les modifications ciblées renforceront la coordination au niveau de l’UE et offriront aux États membres des outils améliorés pour faire face aux difficultés qui surviennent dans la gestion tant des frontières extérieures communes de l’UE que des frontières intérieures au sein de l’espace Schengen. L’actualisation des règles vise à faire en sorte que la réintroduction des #contrôles_aux_frontières_intérieures demeure une mesure de dernier recours. Les nouvelles règles créent également des outils communs pour gérer plus efficacement les frontières extérieures en cas de crise de santé publique, grâce aux enseignements tirés de la pandémie de COVID-19. L’#instrumentalisation des migrants est également prise en compte dans cette mise à jour des règles de Schengen, ainsi que dans une proposition parallèle portant sur les mesures que les États membres pourront prendre dans les domaines de l’asile et du retour dans une telle situation.

    Margaritis Schinas, vice-président chargé de la promotion de notre mode de vie européen, s’est exprimé en ces termes : « La crise des réfugiés de 2015, la vague d’attentats terroristes sur le sol européen et la pandémie de COVID-19 ont mis l’espace Schengen à rude épreuve. Il est de notre responsabilité de renforcer la gouvernance de Schengen et de faire en sorte que les États membres soient équipés pour offrir une réaction rapide, coordonnée et européenne en cas de crise, y compris lorsque des migrants sont instrumentalisés. Grâce aux propositions présentées aujourd’hui, nous fortifierons ce “joyau” si emblématique de notre mode de vie européen. »

    Ylva Johansson, commissaire aux affaires intérieures, a quant à elle déclaré : « La pandémie a montré très clairement que l’espace Schengen est essentiel pour nos économies et nos sociétés. Grâce aux propositions présentées aujourd’hui, nous ferons en sorte que les contrôles aux frontières ne soient rétablis qu’en dernier recours, sur la base d’une évaluation commune et uniquement pour la durée nécessaire. Nous dotons les États membres des outils leur permettant de relever les défis auxquels ils sont confrontés. Et nous veillons également à gérer ensemble les frontières extérieures de l’UE, y compris dans les situations où les migrants sont instrumentalisés à des fins politiques. »

    Réaction coordonnée aux menaces communes

    La proposition de modification du code frontières Schengen vise à tirer les leçons de la pandémie de COVID-19 et à garantir la mise en place de mécanismes de coordination solides pour faire face aux menaces sanitaires. Les règles actualisées permettront au Conseil d’adopter rapidement des règles contraignantes fixant des restrictions temporaires des déplacements aux frontières extérieures en cas de menace pour la santé publique. Des dérogations seront prévues, y compris pour les voyageurs essentiels ainsi que pour les citoyens et résidents de l’Union. L’application uniforme des restrictions en matière de déplacements sera ainsi garantie, en s’appuyant sur l’expérience acquise ces dernières années.

    Les règles comprennent également un nouveau mécanisme de sauvegarde de Schengen destiné à générer une réaction commune aux frontières intérieures en cas de menaces touchant la majorité des États membres, par exemple des menaces sanitaires ou d’autres menaces pour la sécurité intérieure et l’ordre public. Grâce à ce mécanisme, qui complète le mécanisme applicable en cas de manquements aux frontières extérieures, les vérifications aux frontières intérieures dans la majorité des États membres pourraient être autorisées par une décision du Conseil en cas de menace commune. Une telle décision devrait également définir des mesures atténuant les effets négatifs des contrôles.

    De nouvelles règles visant à promouvoir des alternatives effectives aux vérifications aux frontières intérieures

    La proposition vise à promouvoir le recours à d’autres mesures que les contrôles aux frontières intérieures et à faire en sorte que, lorsqu’ils sont nécessaires, les contrôles aux frontières intérieures restent une mesure de dernier recours. Ces mesures sont les suivantes :

    - Une procédure plus structurée pour toute réintroduction des contrôles aux frontières intérieures, comportant davantage de garanties : Actuellement, tout État membre qui décide de réintroduire des contrôles doit évaluer le caractère adéquat de cette réintroduction et son incidence probable sur la libre circulation des personnes. En application des nouvelles règles, il devra en outre évaluer l’impact sur les régions frontalières. Par ailleurs, tout État membre envisageant de prolonger les contrôles en réaction à des menaces prévisibles devrait d’abord évaluer si d’autres mesures, telles que des contrôles de police ciblés et une coopération policière renforcée, pourraient être plus adéquates. Une évaluation des risques devrait être fournie pour ce qui concerne les prolongations de plus de 6 mois. Lorsque des contrôles intérieurs auront été rétablis depuis 18 mois, la Commission devra émettre un avis sur leur caractère proportionné et sur leur nécessité. Dans tous les cas, les contrôles temporaires aux frontières ne devraient pas excéder une durée totale de 2 ans, sauf dans des circonstances très particulières. Il sera ainsi fait en sorte que les contrôles aux frontières intérieures restent une mesure de dernier recours et ne durent que le temps strictement nécessaire.
    – Promouvoir le recours à d’autres mesures : Conformément au nouveau code de coopération policière de l’UE, proposé par la Commission le 8 décembre 2021, les nouvelles règles de Schengen encouragent le recours à des alternatives effectives aux contrôles aux frontières intérieures, sous la forme de contrôles de police renforcés et plus opérationnels dans les régions frontalières, en précisant qu’elles ne sont pas équivalentes aux contrôles aux frontières.
    - Limiter les répercussions des contrôles aux frontières intérieures sur les régions frontalières : Eu égard aux enseignements tirés de la pandémie, qui a grippé les chaînes d’approvisionnement, les États membres rétablissant des contrôles devraient prendre des mesures pour limiter les répercussions négatives sur les régions frontalières et le marché intérieur. Il pourra s’agir notamment de faciliter le franchissement d’une frontière pour les travailleurs frontaliers et d’établir des voies réservées pour garantir un transit fluide des marchandises essentielles.
    - Lutter contre les déplacements non autorisés au sein de l’espace Schengen : Afin de lutter contre le phénomène de faible ampleur mais constant des déplacements non autorisés, les nouvelles règles créeront une nouvelle procédure pour contrer ce phénomène au moyen d’opérations de police conjointes et permettre aux États membres de réviser ou de conclure de nouveaux accords bilatéraux de réadmission entre eux. Ces mesures complètent celles proposées dans le cadre du nouveau pacte sur la migration et l’asile, en particulier le cadre de solidarité contraignant, et doivent être envisagées en liaison avec elles.

    Aider les États membres à gérer les situations d’instrumentalisation des flux migratoires

    Les règles de Schengen révisées reconnaissent l’importance du rôle que jouent les États membres aux frontières extérieures pour le compte de tous les États membres et de l’Union dans son ensemble. Elles prévoient de nouvelles mesures que les États membres pourront prendre pour gérer efficacement les frontières extérieures de l’UE en cas d’instrumentalisation de migrants à des fins politiques. Ces mesures consistent notamment à limiter le nombre de points de passage frontaliers et à intensifier la surveillance des frontières.

    La Commission propose en outre des mesures supplémentaires dans le cadre des règles de l’UE en matière d’asile et de retour afin de préciser les modalités de réaction des États membres en pareilles situations, dans le strict respect des droits fondamentaux. Ces mesures comprennent notamment la possibilité de prolonger le délai d’enregistrement des demandes d’asile jusqu’à 4 semaines et d’examiner toutes les demandes d’asile à la frontière, sauf en ce qui concerne les cas médicaux. Il convient de continuer à garantir un accès effectif à la procédure d’asile, et les États membres devraient permettre l’accès des organisations humanitaires qui fournissent une aide. Les États membres auront également la possibilité de mettre en place une procédure d’urgence pour la gestion des retours. Enfin, sur demande, les agences de l’UE (Agence de l’UE pour l’asile, Frontex, Europol) devraient apporter en priorité un soutien opérationnel à l’État membre concerné.

    Prochaines étapes

    Il appartient à présent au Parlement européen et au Conseil d’examiner et d’adopter les deux propositions.

    Contexte

    L’espace Schengen compte plus de 420 millions de personnes dans 26 pays. La suppression des contrôles aux frontières intérieures entre les États Schengen fait partie intégrante du mode de vie européen : près de 1,7 million de personnes résident dans un État Schengen et travaillent dans un autre. Les personnes ont bâti leur vie autour des libertés offertes par l’espace Schengen, et 3,5 millions d’entre elles se déplacent chaque jour entre des États Schengen.

    Afin de renforcer la résilience de l’espace Schengen face aux menaces graves et d’adapter les règles de Schengen aux défis en constante évolution, la Commission a annoncé, dans son nouveau pacte sur la migration et l’asile présenté en septembre 2020, ainsi que dans la stratégie de juin 2021 pour un espace Schengen pleinement opérationnel et résilient, qu’elle proposerait une révision du code frontières Schengen. Dans son discours sur l’état de l’Union de 2021, la présidente von der Leyen a également annoncé de nouvelles mesures pour contrer l’instrumentalisation des migrants à des fins politiques et pour assurer l’unité dans la gestion des frontières extérieures de l’UE.

    Les propositions présentées ce jour viennent s’ajouter aux travaux en cours visant à améliorer le fonctionnement global et la gouvernance de Schengen dans le cadre de la stratégie pour un espace Schengen plus fort et plus résilient. Afin de favoriser le dialogue politique visant à relever les défis communs, la Commission organise régulièrement des forums Schengen réunissant des membres du Parlement européen et les ministres de l’intérieur. À l’appui de ces discussions, la Commission présentera chaque année un rapport sur l’état de Schengen résumant la situation en ce qui concerne l’absence de contrôles aux frontières intérieures, les résultats des évaluations de Schengen et l’état d’avancement de la mise en œuvre des recommandations. Cela contribuera également à aider les États membres à relever tous les défis auxquels ils pourraient être confrontés. La proposition de révision du mécanisme d’évaluation et de contrôle de Schengen, actuellement en cours d’examen au Parlement européen et au Conseil, contribuera à renforcer la confiance commune dans la mise en œuvre des règles de Schengen. Le 8 décembre, la Commission a également proposé un code de coopération policière de l’UE destiné à renforcer la coopération des services répressifs entre les États membres, qui constitue un moyen efficace de faire face aux menaces pesant sur la sécurité dans l’espace Schengen et contribuera à la préservation d’un espace sans contrôles aux frontières intérieures.

    La proposition de révision du code frontières Schengen qui est présentée ce jour fait suite à des consultations étroites auprès des membres du Parlement européen et des ministres de l’intérieur réunis au sein du forum Schengen.

    Pour en savoir plus

    Documents législatifs :

    – Proposition de règlement modifiant le régime de franchissement des frontières par les personnes : https://ec.europa.eu/home-affairs/proposal-regulation-rules-governing-movement-persons-across-borders-com-20

    – Proposition de règlement visant à faire face aux situations d’instrumentalisation dans le domaine de la migration et de l’asile : https://ec.europa.eu/home-affairs/proposal-regulation-situations-instrumentalisation-field-migration-and-asy

    – Questions-réponses : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_21_6822

    – Fiche d’information : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/fs_21_6838

    https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/ip_21_6821

    #Schengen #Espace_Schengen #frontières #frontières_internes #résilience #contrôles_frontaliers #migrations #réfugiés #asile #crise #pandémie #covid-19 #coronavirus #crise_sanitaire #code_Schengen #code_frontières_Schengen #menace_sanitaire #frontières_extérieures #mobilité #restrictions #déplacements #ordre_public #sécurité #sécurité_intérieure #menace_commune #vérifications #coopération_policière #contrôles_temporaires #temporaire #dernier_recours #régions_frontalières #marchandises #voies_réservées #déplacements_non_autorisés #opérations_de_police_conjointes #pacte #surveillance #surveillance_frontalière #points_de_passage #Frontex #Europol #soutien_opérationnel

    –—

    Ajouté dans la métaliste sur les #patrouilles_mixtes ce paragraphe :

    « Lutter contre les déplacements non autorisés au sein de l’espace Schengen : Afin de lutter contre le phénomène de faible ampleur mais constant des déplacements non autorisés, les nouvelles règles créeront une nouvelle procédure pour contrer ce phénomène au moyen d’opérations de police conjointes et permettre aux États membres de réviser ou de conclure de nouveaux accords bilatéraux de réadmission entre eux. Ces mesures complètent celles proposées dans le cadre du nouveau pacte sur la migration et l’asile, en particulier le cadre de solidarité contraignant, et doivent être envisagées en liaison avec elles. »

    https://seenthis.net/messages/910352

    • La Commission européenne propose de réformer les règles de Schengen pour préserver la #libre_circulation

      Elle veut favoriser la coordination entre États membres et adapter le code Schengen aux nouveaux défis que sont les crise sanitaires et l’instrumentalisation de la migration par des pays tiers.

      Ces dernières années, les attaques terroristes, les mouvements migratoires et la pandémie de Covid-19 ont ébranlé le principe de libre circulation en vigueur au sein de l’espace Schengen. Pour faire face à ces événements et phénomènes, les pays Schengen (vingt-deux pays de l’Union européenne et la Suisse, le Liechtenstein, la Norvège et l’Islande) ont réintroduit plus souvent qu’à leur tour des contrôles aux frontières internes de la zone, en ordre dispersé, souvent, et, dans le cas de l’Allemagne, de l’Autriche, de la France, du Danemark, de la Norvège et de la Suède, de manière « provisoirement permanente ».
      Consciente des risques qui pèsent sur le principe de libre circulation, grâce à laquelle 3,5 millions de personnes passent quotidiennement d’un État membre à l’autre, sans contrôle, la Commission européenne a proposé mardi de revoir les règles du Code Schengen pour les adapter aux nouveaux défis. « Nous devons faire en sorte que la fermeture des frontières intérieures soit un ultime recours », a déclaré le vice-président de la Commission en charge de la Promotion du mode de vie européen, Margaritis Schinas.
      Plus de coordination entre États membres

      Pour éviter le chaos connu au début de la pandémie, la Commission propose de revoir la procédure en vertu de laquelle un État membre peut réintroduire des contrôles aux frontières internes de Schengen. Pour les événements « imprévisibles », les contrôles aux frontières pourraient être instaurés pour une période de trente jours, extensibles jusqu’à trois mois (contre dix jours et deux mois actuellement) ; pour les événements prévisibles, elle propose des périodes renouvelables de six mois jusqu’à un maximum de deux ans… ou plus si les circonstances l’exigent. Les États membres devraient évaluer l’impact de ces mesures sur les régions frontalières et tenter de le minimiser - pour les travailleurs frontaliers, au nombre de 1,7 million dans l’Union, et le transit de marchandises essentielle, par exemple - et et envisager des mesures alternatives, comme des contrôles de police ciblés ou une coopération policière transfrontalières.
      Au bout de dix-huit mois, la Commission émettrait un avis sur la nécessité et la proportionnalité de ces mesures.
      De nouvelles règles pour empêcher les migrations secondaires

      L’exécutif européen propose aussi d’établir un cadre légal, actuellement inexistant, pour lutter contre les « migrations secondaires ». L’objectif est de faire en sorte qu’une personne en situation irrégulière dans l’UE qui traverse une frontière interne puisse être renvoyée dans l’État d’où elle vient. Une mesure de nature à satisfaire les pays du Nord, dont la Belgique, qui se plaignent de voir arriver ou transiter sur leur territoire des migrants n’ayant pas déposé de demandes d’asile dans leur pays de « première entrée », souvent situé au sud de l’Europe. La procédure réclame des opérations de police conjointes et des accords de réadmission entre États membres. « Notre réponse la plus systémique serait un accord sur le paquet migratoire », proposé par la Commission en septembre 2020, a cependant insisté le vice-président Schengen. Mais les États membres ne sont pas en mesure de trouver de compromis, en raison de positions trop divergentes.
      L’Europe doit se préparer à de nouvelles instrumentalisations de la migration

      La Commission veut aussi apporter une réponse à l’instrumentalisation de la migration telle que celle pratiquée par la Biélorussie, qui a fait venir des migrants sur son sol pour les envoyer vers la Pologne et les États baltes afin de faire pression sur les Vingt-sept. La Commission veut définir la façon dont les États membres peuvent renforcer la surveillance de leur frontière, limiter les points d’accès à leur territoire, faire appel à la solidarité européenne, tout en respectant les droits fondamentaux des migrants.
      Actuellement, « la Commission peut seulement faire des recommandations qui, si elles sont adoptées par le Conseil, ne sont pas toujours suivies d’effet », constate la commissaire aux Affaires intérieures Ylva Johansson.
      Pour faire face à l’afflux migratoire venu de Biélorussie, la Pologne avait notamment pratiqué le refoulement, contraire aux règles européennes en matière d’asile, sans que l’on donne l’impression de s’en émouvoir à Bruxelles et dans les autres capitales de l’Union. Pour éviter que cela se reproduise, la Commission propose des mesures garantissant la possibilité de demander l’asile, notamment en étendant à quatre semaines la période pour qu’une demande soit enregistrée et traitée. Les demandes pourront être examinée à la frontière, ce qui implique que l’État membre concerné devrait donner l’accès aux zones frontalières aux organisations humanitaires.

      La présidence française du Conseil, qui a fait de la réforme de Schengen une de ses priorités, va essayer de faire progresser le paquet législatif dans les six mois qui viennent. « Ces mesures constituent une ensemble nécessaire et robuste, qui devrait permettre de préserver Schengen intact », a assuré le vice-président Schinas. Non sans souligner que la solution systémique et permanente pour assurer un traitement harmonisé de l’asile et de la migration réside dans le pacte migratoire déposé en 2020 par la Commission et sur lequel les États membres sont actuellement incapables de trouver un compromis, en raison de leurs profondes divergences sur ces questions.

      https://www.lalibre.be/international/europe/2021/12/14/face-aux-risques-qui-pesent-sur-la-libre-circulation-la-commission-europeenn
      #réforme

  • Exils sans fin - Chantages anti-migratoires le long de la route des Balkans

    Depuis plus de 20 ans, l’UE développe une coopération avec des pays non-membres (dits « tiers ») pour externaliser le contrôle de ses frontières. Identifiés comme des pays de départ puis comme des pays de transit des migrations à destination de l’UE, les pays des Balkans ont été rapidement intégrés au cœur de cette stratégie d’externalisation. Ce, particulièrement depuis la malnommée « crise migratoire » de l’année 2015 lors de laquelle près d’un million de personnes venues principalement du Moyen-Orient ont été compatibilisées le long de la route des Balkans, itinéraire reliant la Grèce à des pays de l’UE situés plus à l’Ouest, et notamment l’Allemagne.

    Prétendant résoudre une crise que l’UE a elle-même engendrée, les politiques migratoires européennes dans la région sont celles de pompiers pyromanes. Zone tampon ou zone de « sécurité migratoire », cela fait plusieurs décennies que la région des Balkans est utilisée par l’UE pour la sous-traitance du contrôle de ses frontières, au détriment tant de la population locale que des personnes exilées. Sommés de s’ériger en gardes-frontières et en véritables « #hotspots » au service de l’UE, les pays des Balkans sont aujourd’hui le théâtre d’une multitude de violations de droits et de #violences exercées à l’encontre des personnes exilées.

    Fruit d’un travail in situ réalisé entre janvier et avril 2021 pour le réseau Migreurop, le présent rapport documente ce processus d’externalisation des frontières européennes dans la région des Balkans. Il s’appuie sur des observations de terrain et plus d’une centaine d’entretiens réalisés avec des personnes exilées, des représentant·e·s d’ONG locales et internationales, des chercheurs et des chercheuses, des militant·e·s, des avocat·e·s, des journalistes, ainsi que des actrices et acteurs institutionnels.

    Le rapport se décompose en trois parties. La première examine la manière dont les dirigeant·e·s européen·ne·s instrumentalisent le processus d’adhésion des pays des Balkans à des fins de contrôle migratoire. La deuxième s’intéresse à la transformation de ces pays en véritables « chiens de garde » des frontières de l’UE, en accordant une attention particulière aux pratiques de #refoulements et aux violences comme outils normalisés de gestion des frontières. La troisième partie documente la mise en place de « l’approche hotspot » dans la région.

    https://migreurop.org/article3069.html
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #Balkans #route_des_Balkans #contrôles_frontaliers #zone_tampon #pays_tiers #push-backs #rapport #Migreurop #refoulements #violence

  • À la frontière franco-espagnole, le renforcement des contrôles conduit les migrants à prendre toujours plus de #risques

    Au #Pays_basque, après que trois Algériens sont morts fauchés par un train à Saint-Jean-de-Luz/Ciboure le 12 octobre, associations et militants dénoncent le « #harcèlement » subi par les migrants tentant de traverser la frontière franco-espagnole. Face à l’inaction de l’État, des réseaux citoyens se mobilisent pour « sécuriser » leur parcours et éviter de nouveaux drames.

    Saint-Jean-de-Luz (Pyrénées-Atlantiques).– Attablés en terrasse d’un café, mardi 26 octobre, sous un ciel gris prêt à déverser son crachin, Line et Peio peinent toujours à y croire. « On n’imagine pas le niveau de fatigue, l’épuisement moral, l’état de détresse dans lequel ils devaient se trouver pour décider de se reposer là un moment », constatent-ils les sourcils froncés, comme pour marquer leur peine.

    Le 12 octobre dernier, trois migrants algériens étaient fauchés par un train, au petit matin, à 500 mètres de la gare de Saint-Jean-de-Luz/Ciboure. Un quatrième homme, blessé mais désormais hors de danger, a confirmé aux enquêteurs que le groupe avait privilégié la voie ferrée pour éviter les contrôles de police, puis s’était arrêté pour se reposer, avant de s’assoupir.

    Un cinquième homme, dont les documents d’identité avaient été retrouvés sur les lieux, avait pris la fuite avant d’être retrouvé deux jours plus tard à Bayonne.

    « Ceux qui partent de nuit tentent de passer la frontière vers 23 heures et arrivent ici à 3 ou 4 heures du matin. La #voie_ferrée est une voie logique quand on sait que les contrôles de police sont quasi quotidiens aux ronds-points entre #Hendaye et #Saint-Jean-de-Luz », souligne Line, qui préside l’association #Elkartasuna_Larruna (Solidarité autour de la Rhune, en basque) créée en 2018 pour accompagner et « sécuriser » l’arrivée importante de migrants subsahariens dans la région.

    Peio Etcheverry-Ainchart, qui a participé à la création de l’association, est depuis élu, dans l’opposition, à Saint-Jean-de-Luz. Pour lui, le drame reflète la réalité du quotidien des migrants au Pays basque. « Ils n’iraient pas sur la voie ferrée s’ils se sentaient en sécurité dans les transports ou sur les axes routiers », dénonce-t-il en pointant du doigt le manque d’action politique au niveau local.

    « Ils continueront à passer par là car ils n’ont pas le choix et ce genre de drame va se reproduire. La #responsabilité politique des élus de la majorité est immense, c’est une honte. » Trois cents personnes se sont réunies au lendemain du drame pour rendre hommage aux victimes, sans la présence du maire de Saint-Jean-de-Luz. « La ville refuse toutes nos demandes de subvention, peste Line. Pour la majorité, les migrants ne passent pas par ici et le centre d’accueil créé à #Bayonne, #Pausa, est suffisant. »

    Un manque de soutien, à la fois moral et financier, qui n’encourage pas, selon elle, les locaux à se mobiliser auprès de l’association, qui compte une trentaine de bénévoles. Son inquiétude ? « Que les gens s’habituent à ce que des jeunes meurent et que l’on n’en parle plus, comme à Calais ou à la frontière franco-italienne. Il faut faire de la résistance. »

    Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, épuisés et frigorifiés

    Guillaume, un « aidant »

    Ce mardi midi à Saint-Jean-de-Luz, un migrant marocain avance d’un pas sûr vers la halte routière, puis se met en retrait, en gardant un œil sur l’arrêt de bus. Dix minutes plus tard, le bus en direction de Bayonne s’arrête et le trentenaire court pour s’y engouffrer avant que les portes ne se referment.

    Guillaume, qui travaille dans le quartier de la gare, fait partie de ces « aidants » qui refusent de laisser porte close. « Samedi dernier, j’en ai récupéré deux tard le soir, qui étaient arrivés à Saint-Jean en fin d’après-midi. Ils étaient épuisés et frigorifiés. » Après les avoir accueillis et leur avoir offert à manger, il les achemine ensuite jusqu’à Pausa à 2 heures du matin, où il constate qu’il n’est pas le seul à avoir fait la navette.

    La semaine dernière, un chauffeur de bus a même appelé la police quand des migrants sont montés à bord

    Guillaume, un citoyen vivant à Saint-Jean-de-Luz

    « Il m’est arrivé de gérer 10 ou 40 personnes d’un coup. Des femmes avec des bébés, des enfants, des jeunes qui avaient marché des heures et me racontaient leur périple. J’allais parfois m’isoler pour pleurer avant de m’occuper d’eux », confie celui qui ne cache pas sa tristesse face à tant d’« inhumanité ». Chaque jour, rapporte-t-il, la police sillonne les alentours, procède à des #contrôles_au_faciès à l’arrêt de bus en direction de Bayonne et embarque les migrants, comme en témoigne cette vidéo publiée sur Facebook en août 2019 (https://www.facebook.com/100000553678281/posts/2871341412894286/?d=n).

    « La semaine dernière, un #chauffeur_de_bus a même appelé la #police quand des migrants sont montés à bord. Ça rappelle une époque à vomir. » Face à ce « harcèlement » et cette « pression folle », Guillaume n’est pas étonné que les Algériens aient pris le risque de longer la voie ferrée. « Les habitants et commerçants voient régulièrement des personnes passer par là. Les gens sont prêts à tout. »

    À la frontière franco-espagnole aussi, en gare de Hendaye, la police est partout. Un véhicule se gare, deux agents en rejoignent un autre, situé à l’entrée du « topo » (train régional qui relie Hendaye à la ville espagnole de Saint-Sébastien), qui leur tend des documents. Il leur remet un jeune homme, arabophone, qu’ils embarquent.

    « Ils vont le laisser de l’autre côté du pont. Ils font tout le temps ça, soupire Miren*, qui observe la scène sans pouvoir intervenir. Les policiers connaissent les horaires d’arrivée du topo et des trains venant d’#Irun (côté espagnol). Ils viennent donc dix minutes avant et se postent ici pour faire du contrôle au faciès. » Depuis près de trois ans, le réseau citoyen auquel elle appartient, Bidasoa Etorkinekin, accueille et accompagne les personnes en migration qui ont réussi à passer la frontière, en les acheminant jusqu’à Bayonne.

    La bénévole monte à bord de sa voiture en direction des entrepôts de la SNCF. Là, un pont flambant neuf, barricadé, apparaît. « Il a été fermé peu après son inauguration pour empêcher les migrants de passer. » Des #grilles ont été disposées, tel un château de cartes, d’autres ont été ajoutées sur les côtés. En contrebas, des promeneurs marchent le long de la baie.

    Miren observe le pont de Santiago et le petit chapiteau blanc marquant le #barrage_de_police à la frontière entre Hendaye et #Irun. « Par définition, un #pont est censé faire le lien, pas séparer... » Selon un militant, il y aurait à ce pont et au pont de #Behobia « quatre fois plus de forces de l’ordre » qu’avant. Chaque bus est arrêté et les passagers contrôlés. « C’est cela qui pousse les personnes à prendre toujours plus de risques », estime-t-il, à l’instar de #Yaya_Karamoko, mort noyé dans la Bidassoa en mai dernier.

    On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette chasse aux sorcières

    Eñaut, responsable de la section nord du syndicat basque LAB

    Le 12 juin, à l’initiative du #LAB, syndicat socio-politique basque, une manifestation s’est tenue entre Irun et Hendaye pour dénoncer la « militarisation » de la frontière dans ce qui a « toujours été une terre d’accueil ». « Ça s’est inscrit dans une démarche de #désobéissance_civile et on a décidé de faire entrer six migrants parmi une centaine de manifestants, revendique Eñaut, responsable du Pays basque nord. On ne peut pas en même temps organiser l’accueil des personnes à Bayonne et mettre des moyens énormes pour faire cette #chasse_aux_sorcières, avec les morts que cela engendre. L’accident de Saint-Jean-de-Luz est le résultat d’une politique migratoire raciste. » L’organisation syndicale espère, en développant l’action sociale, sensibiliser toutes les branches de la société – patronat, salariés, État – à la question migratoire.

    Des citoyens mobilisés pour « sécuriser » le parcours des migrants

    À 22 heures mardi, côté espagnol, Maite, Arantza et Jaiona approchent lentement de l’arrêt de bus de la gare routière d’Irun. Toutes trois sont volontaires auprès du réseau citoyen #Gau_Txori (les « Oiseaux de nuit »). Depuis plus de trois ans, lorsque les cars se vident le soir, elles repèrent d’éventuels exilés désorientés en vue de les acheminer au centre d’accueil géré par la Cruz Roja (Croix-Rouge espagnole), situé à deux kilomètres de là. En journée, des marques de pas, dessinées sur le sol à intervalle régulier et accompagnées d’une croix rouge, doivent guider les migrants tout juste arrivés à Irun. Mais, à la nuit tombée, difficile de les distinguer sur le bitume et de s’orienter.

    « En hiver, c’est terrible, souffle Arantza. Cette gare est désolante. Il n’y a rien, pas même les horaires de bus. On leur vient en aide parce qu’on ne supporte pas l’injustice. On ne peut pas rester sans rien faire en sachant ce qu’il se passe. » Et Maite d’enchaîner : « Pour moi, tout le monde devrait pouvoir passer au nom de la liberté de la circulation. » « La semaine dernière, il y avait beaucoup de migrants dans les rues d’Irun. La Croix-Rouge était dépassée. Déjà, en temps normal, le centre ne peut accueillir que 100 personnes pour une durée maximale de trois jours. Quand on leur ramène des gens, il arrive que certains restent à la porte et qu’on doive les installer dans des tentes à l’extérieur », rapporte, blasée, Jaiona.

    À mesure qu’elles dénoncent les effets mortifères des politiques migratoires européennes, un bus s’arrête, puis un second. « Je crois que ce soir, on n’aura personne », sourit Arantza. Le trio se dirige vers le dernier bus, qui stationne en gare à 23 h 10. Un homme extirpe ses bagages et ceux d’une jeune fille des entrailles du car. Les bénévoles tournent les talons, pensant qu’ils sont ensemble. C’est Jaiona, restée en arrière-plan, qui comprend combien l’adolescente a le regard perdu, désespérée de voir les seules femmes présentes s’éloigner. « Cruz Roja ? », chuchote l’une des volontaires à l’oreille de Mariem, qui hoche la tête, apaisée de comprendre que ces inconnues sont là pour elle.

    Ni une ni deux, Maite la soulage d’un sac et lui indique le véhicule garé un peu plus loin. « No te preocupes, somos voluntarios » (« Ne t’inquiète pas, nous sommes des bénévoles »), lui dit Jaiona en espagnol. « On ne te veut aucun mal. On t’emmène à la Croix-Rouge et on attendra d’être sûres que tu aies une place avant de partir », ajoute Maite dans un français torturé.

    Visage juvénile, yeux en amande, Mariem n’a que 15 ans. Elle arrive de Madrid, un bonnet à pompon sur la tête, où elle a passé un mois après avoir été transférée par avion de Fuerteventura (îles Canaries) dans l’Espagne continentale, comme beaucoup d’autres ces dernières semaines, qui ont ensuite poursuivi leur route vers le nord. Les bénévoles toquent à la porte de la Cruz Roja, un agent prend en charge Mariem. Au-dehors, les phares de la voiture illuminent deux tentes servant d’abris à des exilés non admis.

    J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le #bus et m’a renvoyée en Espagne

    Fatima*, une exilée subsaharienne refoulée après avoir franchi la frontière

    Le lendemain matin, dès 9 heures, plusieurs exilés occupent les bancs de la place de la mairie à Irun. Chaque jour, entre 10 heures et midi, c’est ici que le réseau citoyen Irungo Harrera Sarea les accueille pour leur donner des conseils. « Qui veut rester en Espagne ici ? », demande Ion, l’un des membres du collectif. Aucune main ne se lève. Ion s’y attendait. Fatima*, la seule femme parmi les 10 exilés, a passé la nuit dehors, ignorant l’existence du centre d’accueil. « J’avais réussi à passer la frontière mais la police m’a arrêtée dans le bus et m’a renvoyée en Espagne », relate-t-elle, vêtue d’une tenue de sport, un sac de couchage déplié sur les genoux. Le « record », selon Ion, est détenu par un homme qui a tenté de passer à huit reprises et a été refoulé à chaque fois. « Il a fini par réussir. »

    Éviter de se déplacer en groupe, ne pas être trop repérable. « Vous êtes noirs », leur lance-t-il, pragmatique, les rappelant à une triste réalité : la frontière est une passoire pour quiconque a la peau suffisamment claire pour ne pas être contrôlé. « La migration n’est pas une honte, il n’y a pas de raison de la cacher », clame-t-il pour justifier le fait de s’être installés en plein centre-ville.

    Ion voit une majorité de Subsahariens. Peu de Marocains et d’Algériens, qui auraient « leurs propres réseaux d’entraide ». « On dit aux gens de ne pas traverser la Bidassoa ou longer la voie ferrée. On fait le sale boulot en les aidant à poursuivre leur chemin, ce qui arrange la municipalité d’Irun et le gouvernement basque car on les débarrasse des migrants, regrette-t-il. En voulant les empêcher de passer, les États ne font que garantir leur souffrance et nourrir les trafiquants. »

    L’un des exilés se lève et suit une bénévole, avant de s’infiltrer, à quelques mètres de là, dans un immeuble de la vieille ville. Il est invité par Karmele, une retraitée aux cheveux grisonnants, à entrer dans une pièce dont les murs sont fournis d’étagères à vêtements.

    Dans ce vestiaire solidaire, tout a été pensé pour faire vite et bien : Karmele scrute la morphologie du jeune homme, puis pioche dans l’une des rangées, où le linge, selon sa nature – doudounes, pulls, polaires, pantalons – est soigneusement plié. « Tu es long [grand], ça devrait t’aller, ça », dit-elle en lui tendant une veste. À sa droite, une affiche placardée sous des cartons étiquetés « bébé » vient rappeler aux Africaines qu’elles sont des « femmes de pouvoir ».

    Le groupe d’exilés retourne au centre d’accueil pour se reposer avant de tenter le passage dans la journée. Mariem, l’adolescente, a choisi de ne pas se rendre place de la mairie à 10 heures, influencée par des camarades du centre. « On m’a dit qu’un homme pouvait nous faire passer, qu’on le paierait à notre arrivée à Bayonne. Mais je suis à la frontière et il ne répond pas au téléphone. Il nous a dit plus tôt qu’il y avait trop de contrôles et qu’on ne pourrait pas passer pour l’instant », confie-t-elle, dépitée, en fin de matinée. Elle restera bloquée jusqu’en fin d’après-midi à Behobia, le deuxième pont, avant de se résoudre à retourner à la Cruz Roja pour la nuit.

    L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres

    Mokhtar*, un migrant algérien

    Au même moment, sur le parking précédant le pont de Santiago, de jeunes Maghrébins tuent le temps, allongés dans l’herbe ou assis sur un banc. Tous ont des parcours de vie en pointillés, bousillés par « el ghorba » (« l’exil »), qui n’a pas eu pitié d’eux, passés par différents pays européens sans parvenir à s’établir. « Huit ans que je suis en Europe et je n’ai toujours pas les papiers », lâche Younes*, un jeune Marocain vivant depuis un mois dans un foyer à Irun. Mokhtar*, un harraga (migrant parti clandestinement depuis les côtes algériennes) originaire d’Oran, abonde : « L’exil nous détruit, je me dis des fois qu’on aurait mieux fait de rester auprès des nôtres. Mais aujourd’hui, c’est impossible de rentrer sans avoir construit quelque chose... » La notion « d’échec », le regard des autres seraient insoutenables.

    Chaque jour, Mokhtar et ses amis voient des dizaines de migrants tenter le passage du pont qui matérialise la frontière. « Les Algériens qui sont morts étaient passés par ici. Ils sont même restés un temps dans notre foyer. Avant qu’ils ne passent la frontière, je leur ai filé quatre cigarettes. Ils sont partis de nuit, en longeant les rails de train depuis cet endroit, pointe-t-il du doigt au loin. Paix à leur âme. Cette frontière est l’une des plus difficiles à franchir en Europe. » L’autre drame humain est celui des proches des victimes, ravagés par l’incertitude faute d’informations émanant des autorités françaises.
    Les proches des victimes plongés dans l’incertitude

    « Les familles ne sont pas prévenues, c’est de la torture. On a des certitudes sur deux personnes. La mère de l’un des garçons a appelé l’hôpital, le commissariat… Sans obtenir d’informations. Or elle n’a plus de nouvelles depuis le jour du drame et les amis qui l’ont connu sont sûrs d’eux », expliquait une militante vendredi 22 octobre. Selon le procureur de Bayonne, contacté cette semaine par Mediapart, les victimes ont depuis été identifiées, à la fois grâce à l’enquête ouverte mais aussi grâce aux proches qui se sont signalés.

    La mosquée d’Irun a également joué un rôle primordial pour remonter la trace des harragas décédés. « On a été plusieurs à participer, dont des associations. J’ai été en contact avec les familles des victimes et le consulat d’Algérie, qui a presque tout géré. Les corps ont été rapatriés en Algérie samedi 30 octobre, le rescapé tient le coup moralement », détaille Mohamed, un membre actif du lieu de culte. Dès le 18 octobre, la page Facebook Les Algériens en France dévoilait le nom de deux des trois victimes, Faisal Hamdouche, 23 ans, et Mohamed Kamal, 21 ans.

    À quelques mètres de Mokhtar, sur un banc, deux jeunes Syriens se sont vu notifier un refus d’entrée, au motif qu’ils n’avaient pas de documents d’identité : « Ça fait quatre fois qu’on essaie de passer et qu’on nous refoule », s’époumone l’aîné, 20 ans, quatre tickets de « topo » à la main. Son petit frère, âgé de 14 ans, ne cesse de l’interroger. « On ne va pas pouvoir passer ? » Leur mère et leur sœur, toutes deux réfugiées, les attendent à Paris depuis deux ans ; l’impatience les gagne.

    Jeudi midi, les Syriens, mais aussi le groupe d’exilés renseignés par Irungo Harrera Sarea, sont tous à Pausa, à Bayonne. Certains se reposent, d’autres se détendent dans la cour du lieu d’accueil, où le soleil cogne. « C’était un peu difficile mais on a réussi, confie Fofana, un jeune Ivoirien, devant le portail, quai de Lesseps. Ça me fait tellement bizarre de voir les gens circuler librement, alors que nous, on doit faire attention. Je préfère en rire plutôt qu’en pleurer. »

    Si les exilés ont le droit de sortir, ils ne doivent pas s’éloigner pour éviter d’être contrôlés par la police. « On attend le car pour aller à Paris ce soir », ajoute M., le Syrien, tandis que son petit frère se cache derrière le parcmètre pour jouer, à l’abri du soleil, sur un téléphone. Une dernière étape, qui comporte elle aussi son lot de risques : certains chauffeurs des cars « Macron » réclament un document d’identité à la montée, d’autres pas.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/311021/la-frontiere-franco-espagnole-le-renforcement-des-controles-conduit-les-mi

    #frontières #migrations #réfugiés #France #Espagne #Pyrénées #contrôles_frontaliers #frontières #délation #morts #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #décès #militarisation_de_la_frontière #refoulements #push-backs #solidarité

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    voir aussi :
    #métaliste sur les personnes en migration décédées à la frontière entre l’#Espagne et la #France, #Pays_basque :
    https://seenthis.net/messages/932889

  • Le #sauvetage_en_mer au défi de la sécurisation des #frontières : le cas de la #Manche

    Cinq ans après le démantèlement de la « Jungle », en octobre 2016, Calais se trouve, une fois encore, au centre de l’attention politique et médiatique, en France et au Royaume-Uni. À l’aune de l’essor des traversées sur des petites embarcations surchargées, le terme de « crise » a fait sa réapparition. Si ces embarcations ne sont pas pour autant devenues l’unique mode d’accès à l’Angleterre, comme l’a sombrement rappelé le décès de Yasser, jeune soudanais mort après avoir été percuté par un camion, la maritimisation des migrations dans cette zone de l’Europe suscite de vives réactions.

    Jusqu’à présent, le sauvetage rapide des embarcations en difficulté demeure la norme en Manche. Pourra-t-il le rester, dans un contexte européen de sécurisation des frontières ?
    Faire frontière

    « Rendre la Manche impraticable pour les traversées de petites embarcations » : telle est l’intention de Priti Patel, Ministre de l’Intérieur du Royaume-Uni. Afin de préserver la vie humaine, l’enjeu serait de réaffirmer l’existence des frontières, de dissuader les entrées irrégulières en les criminalisant.

    Le projet de loi Nationality and Borders de la ministre prévoit ainsi que les entrées irrégulières, par embarcation par exemple, soient passibles de quatre ans d’emprisonnement.

    Malgré tout, les traversées continuent à augmenter : durant le mois de septembre 2021, ce sont 4 638 personnes qui ont réussi à traverser la Manche, sur quelque 160 embarcations surchargées. À la fin de ce même mois, le nombre de personnes arrivées par bateau sur les côtes anglaises depuis le début de l’année 2021 a déjà atteint le double du total de l’année précédente. Au-delà de cette hausse rapide, les zones de départ des traversées semblent, en 2021, s’être davantage étalées le long du littoral, comme en témoignent les interventions de secours au nord de Dieppe, dans la baie de Somme, ou autour du Touquet, entre autres.
    Pourquoi ce mode de franchissement s’est-il tant intensifié, depuis fin 2018 ? Pour les acteurs associatifs locaux, comme pour le gouvernement français, la sécurisation progressivement mise en place dans le Calaisis – largement financée par le Royaume-Uni, qui investit depuis plusieurs années dans ce contrôle aux frontières extra-territorialisé – est en partie responsable.
    Une « scène de théâtre politique idéale »

    À Calais, les accès aux ports, au site de l’Eurotunnel et à la rocade sont clôturés, hérissés de barbelés et vidéosurveillés. Et depuis 2019, un équipement high-tech est déployé pour surveiller cette partie du littoral : les patrouilles sont dotées de drones à caméras thermiques, de lunettes infrarouges, de remorques éclairantes… Ce renforcement des moyens de surveillance rend plus difficiles, d’une part, les passages clandestins par camions et ferries, et d’autre part, toute forme de départ de Calais.

    Paradoxalement, ces mesures de sécurisation destinées à faire disparaître les traversées irrégulières ont participé à une visibilité accrue des passages de frontière : contrairement aux passages en ferries et camions, les arrivées en embarcations de plus en plus surchargées se déroulent à ciel ouvert.

    Investi par des groupes et individus prônant, les uns le rejet des personnes arrivant, les autres des voies de passage sûres, le littoral britannique réincarne une « scène de théâtre politique idéale ». Et face aux arrivées qui se multiplient, la promesse du Brexit de « reprendre le contrôle des frontières » est mise à l’épreuve.

    Ainsi, les récents exercices de refoulement (push-backs) pratiqués par les forces frontalières britanniques, documentés et diffusés sur les réseaux sociaux par l’association Channel Rescue, semblent être un énième ressort de spectacularisation d’une frontière qui se veut ferme, et fermée.
    Des sauvetages aux « push-backs » et « pull-backs » ?

    Repousser des embarcations précaires et non adaptées à la navigation en Manche mettrait gravement en danger les personnes à bord. De plus, les sauvetages des embarcations de personnes migrantes (qui pour certaines, souhaitent demander l’asile) sont régis par un double cadre légal rendant les refoulements difficilement justifiables juridiquement.

    Ces interventions sont régulées à la fois par des accords bilatéraux – le Manche Plan de 1978 prévoit les procédures de coopération lors des opérations SAR (search and rescue) – et par des conventions internationales, qui affirment d’une part l’obligation de porter assistance aux personnes en danger en mer, et d’autre part la responsabilité des États côtiers dans la coordination des interventions de sauvetage.

    Et si, en mer, le droit des personnes réfugiées évolue dans un « vacuum juridique », les demandeurs d’asile se trouvant sous la juridiction d’un État sont, selon la CEDH et l’arrêt Hirsi Jamaa, protégés contre tout refoulement. Ainsi, en cas de sinistre impliquant des personnes migrantes dans les eaux territoriales françaises ou britanniques, les pays sont tenus de coordonner des sauvetages en faisant appel aux moyens maritimes disponibles, et ne peuvent procéder à des refoulements collectifs.

    Pour comprendre la multiplicité des acteurs impliqués dans les sauvetages en Manche, l’exemple d’une intervention, le 24 septembre, est édifiant. L’association Utopia 56, présente à Calais depuis 2016, reçoit, dans la nuit, un appel d’un bateau « sur le point de couler ». « Une soixantaine de personnes » serait à bord, à proximité de Dunkerque. Informé, le CROSS Gris-Nez engage les navires de la Douane, des Affaires maritimes, de la station SNSM de Dunkerque, mais également un hélicoptère de l’Armée belge : plusieurs personnes sont tombées à la mer. Certaines rejoignent les côtes par leurs propres moyens, tandis que deux sont hélitreuillées.

    C’est finalement le moyen britannique qui porte assistance aux personnes restées à bord de l’embarcation, qui a continué sa trajectoire. Ainsi, une unique embarcation a transporté des personnes dont certaines ont réussi et d’autres ont échoué à traverser. L’intervention déclenchée a par ailleurs mobilisé des acteurs d’organisations différentes, de trois pays.
    Un rôle ambivalent

    Parmi ces acteurs, l’un occupe une position particulière : la Société nationale de sauvetage en mer (SNSM) qui, contrairement à ce que son nom pourrait indiquer, ne dépend pas directement de ministères nationaux. Alors que les navires de la Douane, de la Marine et de la Gendarmerie nationale mènent des actions de surveillance, qui peuvent se transformer en sauvetage en cas de péril imminent, l’intervention de la SNSM, association composée de bénévoles mais reconnue d’utilité publique et assurant une mission de service public, est strictement limitée aux sauvetages.

    Or, les bénévoles voient dans certaines de leurs interventions une participation aux « opérations de police en mer », comme l’a expliqué récemment à la revue Le Chasse-Marée le président de la station dunkerquoise. Certains des bénévoles des stations de Berck-sur-Mer, Boulogne-sur-Mer, Calais, Gravelines et Dunkerque affirmaient ainsi au magazine Sauvetage la position ambivalente des équipiers, face à des personnes migrantes pour lesquelles un sauvetage dans les eaux françaises correspond aussi à un échec de leur tentative de traversée.

    Ces bénévoles pourraient-ils être amenés à terme, à réaliser des actions d’empêchement des traversées, en retenant les bateaux du côté des eaux territoriales françaises (pull-backs) ? Sous pression britannique, les moyens maritimes français ont-ils vocation à réaliser des interceptions telles que le font déjà certains pays voisins de l’Europe ?
    La Manche dans l’Europe

    Il est en effet difficile de s’intéresser aux enjeux du sauvetage en Manche sans les resituer dans le contexte européen de politique migratoire. D’autant plus que des liens directs entre les situations à Calais et en Mer Méditerranée sont établis par les responsables politiques eux-mêmes : en 2014, le Premier ministre français rapportait ainsi que les sauvetages en Méditerranée avaient contribué à créer des « points de fixation » dans le nord de la France.

    En 2019, le ministre de l’Intérieur énonçait en retour que si la France laissait des campements s’installer, des « migrants irréguliers » seraient attirés sur le littoral français. Tour à tour, les actions de la France et des pays européens sont ainsi présentées comme pouvant créer des « appels d’air ».

    Ces liens se retrouvent également dans les partages de pratiques et de moyens : Gérald Darmanin a promis l’intervention en Manche de moyens aériens de Frontex, l’agence européenne de garde-côtes, objet de nombreuses controverses, d’ici « la fin de l’année ». Son homologue britannique s’est quant à elle récemment rendue en Grèce pour discuter de « défis communs » et observer les méthodes de prévention des traversées mises en œuvre.
    Des perspectives d’évolution inquiétantes

    D’un point de vue comparatif, la situation en Mer Égée est particulièrement intéressante. Comme en Manche, les traversées entre la Grèce et la Turquie se déroulent dans les eaux territoriales de deux pays considérés comme sûrs, sur des distances relativement peu étendues. Mais alors que Priti Patel explore des solutions pour garantir l’immunité des forces frontalières en cas de décès de personnes migrantes en mer, il apparaît crucial d’alerter sur une transposition en Manche du recours systématique à la violence qui a pu être observé en Mer Égée.

    De nombreux rapports, de médias et d’ONG documentent depuis plusieurs mois les refoulements menés par les garde-côtes turques, grecs et européens. Refoulements réalisés dans l’illégalité, parfois par des personnes masquées, et accompagnés de démonstrations de force violentes et humiliantes (voir le rapport de l’ONG Mare Liberum).

    Dans un contexte de violence systématisée, comment le rôle des bénévoles de la SNSM pourrait-il évoluer ? De l’autre côté de la Méditerranée, le cas des garde-côtes espagnols montre comment en quelques années, une institution civile, non-militarisée, la SASEMAR, a pu être contrainte à passer d’une mission de sauvetage à une logique de gestion des frontières.

    Comme l’écrit la chercheuse Luna Vives, les contentieux politiques autour de la Manche et du sauvetage confirment le rôle des frontières en tant qu’« espace critique de ré-articulation de la souveraineté ». Ceci aux dépens des acteurs associatifs locaux, mais surtout des personnes tentant les traversées. Ainsi, il semble que nous assistions ici à un tournant. En dépit du droit international et dans un objectif de performance de frontières fermes, les actions de sauvetage en Manche risquent de ne plus être considérées comme un devoir, mais comme un « acte de charité », susceptible d’être suspendu.

    https://theconversation.com/le-sauvetage-en-mer-au-defi-de-la-securisation-des-frontieres-le-ca
    #La_Manche #UK #Angleterre #France #sécurité #contrôles_frontaliers
    #migrations #asile #réfugiés

    via @isskein

  • Il #Politecnico_di_Torino a fianco di #Frontex. Sul rispetto dei diritti umani, intanto, cade il silenzio

    Un consorzio italiano si è aggiudicato un bando per la produzione di mappe e cartografie volte a “supportare le attività” dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne dell’Ue. Iniziative in alcuni casi contestate per il mancato rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo. Dal #PoliTo fanno sapere di non conoscere l’utilizzo finale dei servizi prodotti

    Il Politecnico di Torino è al fianco di Frontex nel controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. L’Università, in collaborazione con l’associazione-Srl #Ithaca, centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, si è aggiudicata nel luglio 2021 un bando da quattro milioni di euro per la produzione di mappe e infografiche necessarie “per supportare le attività” dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Attività che spesso si traducono -come denunciato da numerose inchieste giornalistiche- nella violazione sistematica del diritto d’asilo lungo i confini marittimi e terrestri europei. Nonostante questo, fonti del Politecnico fanno sapere di “non essere a conoscenza dell’utilizzo dei dati e dei servizi prodotti” e che non sono autorizzate a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

    È possibile analizzare in parte il contenuto dell’attività richiesta grazie al bando pubblicato nell’ottobre 2020 da Frontex (https://ted.europa.eu/udl?uri=TED:NOTICE:401800-2020:TEXT:EN:HTML). La produzione di servizi cartografici aggiornati è necessaria per sistematizzare i diversi tipi di informazioni utili a svolgere l’attività dell’Agenzia: “L’analisi dei rischi, la valutazione delle criticità e il monitoraggio della situazione alle frontiere esterne dell’Unione europea e nell’area pre-frontaliera che è costantemente tenuta sotto controllo e analizzata” si legge nei documenti di gara.

    L’appalto riguarda la produzione di diverse tipologie di cartografia. Circa 20 mappe di “riferimento” in formato A0 in cui vengono segnalati i confini amministrativi, i nomi dei luoghi e le principali caratteristiche fisiche come strade, ferrovie, linee costiere, fiumi e laghi a cui vengono aggiunte “caratteristiche topografiche, geologiche, di utilità e climatiche”. Mappe “tematiche” che mostrano una “variabilità spaziale di un tema o di un fenomeno, per esempio la migrazione, criminalità, nazionalità, operazioni, ricerca e soccorso, ecc” oltre che le informazioni geologiche e morfologiche del territorio. Infine, la produzione di infografiche che integrano dati e grafici con la mappa. L’obiettivo è quello di ottenere mappe ad alta risoluzione che possano essere utilizzate per “le analisi, la visualizzazione e la presentazione oltre che la proiezione a muro basata sui requisiti richiesti dell’utente e mirata a un pubblico specifico a sostegno di Frontex e dei suoi parti interessanti”. La durata del contratto è di due anni, con la possibilità di prorogarlo per un massimo di due volte, ognuna delle quali per un periodo di 12 mesi.

    Nei documenti di gara non è specificata la zona oggetto della produzione di mappe. Dopo la richiesta di chiarimenti da parte dei partecipanti, l’Agenzia ha indicato come “previsioni a grandi linee” che l’area di interesse potrebbe estendersi lungo il confine tra Polonia e Russia, nello specifico a Kaliningrad Oblast una cittadina russa che affaccia sul Baltico, per un totale di 2mila chilometri quadrati con la possibilità di mappe specifiche su punti di attraversamento del confine per una superficie di 0,25 chilometri quadrati. Non è dato sapere, però, se quella sia la zona reale oggetto della cartografia o meno. Si conoscono invece gli “intervalli” delle scale di grandezza delle mappe che vanno da un centimetro sulla carta a 50 metri in caso di strade cittadine, a uno su 250 chilometri con riferimento a una mappa di un intero Stato.

    Altreconomia ha richiesto a Frontex di visionare “tutti i documenti disponibili” presentati dal Politecnico di Torino e Ithaca srl per partecipare al bando. L’Agenzia ha risposto che “la loro divulgazione potrebbe minare la protezione degli interessi commerciali delle persone giuridiche compresa la proprietà intellettuale”. L’accesso alle informazioni è stato negato “perché nessun interesse pubblico preponderante che è oggettivo e generale e non indistinguibile da interessi individuali è accertabile nel caso di specie”. Per gli stessi motivi nemmeno un accesso parziale è possibile.

    Ithaca Srl ha risposto che “da contratto non è possibile rilasciare alcuna intervista” perché tutti i dettagli disponibili sono stati inseriti nel comunicato stampa “approvato dall’Agenzia”. Nel darne notizia sul sito di PoliFlash, il portale delle notizie di PoliTo, il direttore di Ithaca Piero Boccardo aveva dichiarato che “la fornitura di prodotti cartografici a Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali”; un’opportunità, secondo il professore, “per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio”. Ithaca Srl è una società interamente controllata dall’associazione senza scopo di lucro Ithaca che si occupa di “osservazione della terra a sostegno delle emergenze umanitarie”. Alla richiesta di chiarimenti sull’utilizzo finale dei prodotti forniti dal consorzio italiano, la risposta è stata che “non si è a conoscenza dell’utilizzo dei dati” e che per conoscere tale utilizzo era necessario rivolgersi direttamente a Frontex. Andrea Bocco, direttore del Dipartimento interateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist), che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e valuterà la qualità dei prodotti sottolinea come “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità”.

    Molto chiara è la strategia dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Nel braccio di ferro nel confine orientale, dove la Bielorussia “spinge” le persone in transito verso Polonia e Lituania, nonostante la morte di tre persone per ipotermia proprio sul confine polacco, Frontex ha elogiato la gestione della situazione da parte del governo di Varsavia, città in cui l’Agenzia ha la sua sede centrale.

    Sono numerose anche le denunce del coinvolgimento di agenti di Frontex nelle violazioni dei diritti di migranti e richiedenti asilo nel Mediterraneo centrale, nell’Egeo e nei Paesi balcanici. Non sono casi singoli. L’obiettivo di Frontex resta quello di allontanare le persone richiedenti asilo prima che arrivino sul territorio europeo. Come denunciato in un documento pubblicato nell’agosto di quest’anno da ventidue organizzazioni che chiedono il definanziamento dell’Agenzia, anno dopo anno, l’investimento economico si è concentrato in larga parte sulle risorse di terra e non su quelle marittime.

    Il Politecnico, nel comunicato, scrive che “le responsabilità di Frontex sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime”. Ma è così solo sulla carta. Dal 2016 al 2018 i Paesi europei hanno coperto il 100% del fabbisogno aereo di Frontex, con percentuali molto più basse rispetto alle navi richieste: il 48% nel 2016, il 73% nel 2017 e il 71% nel 2018. Nel 2019, complice l’aumento del potere d’acquisto dell’Agenzia le percentuali sono rimaste più basse ma continuano sulla stessa lunghezza d’onda: i singoli Stati hanno contribuito per l’11% sulle navi e il 37% sugli arei. Nonostante queste percentuali, dal 2015 Frontex ha investito 100 milioni di euro nel leasing e nell’acquisizione di mezzi aerei da impiegate nelle sue operazioni (charter, aerostati, droni di sorveglianza).

    Lo scorso 14 ottobre 2021 l’Agenzia ha dato notizia dell’utilizzo per la prima volta di un aerostato con l’obiettivo di “individuare attraversamenti illegali dei confini, supportare le operazioni di search and rescue e contrastare i crimini transfrontalieri”.

    Dal 2015 al 2021, però, non c’è stato nessun investimento per l’acquisizione o il leasing per beni marittimi. Una volta individuate le persone in difficoltà in mare, l’Agenzia non ha come obiettivo il salvataggio bensì il respingimento delle stesse verso i Paesi di partenza. Un’inchiesta pubblicata in aprile dal Der Spiegel lo ha dimostrato: dal quartier generale di Varsavia, in diverse operazioni di salvataggio, venivano contattate le milizie libiche. Il monitoraggio del territorio (e del mare) non ha come scopo solamente il “contrasto” alle reti di contrabbando ma anche l’individuazione delle persone, migranti e richiedenti asilo, che tentano di raggiungere l’Ue e vengono sistematicamente respinte utilizzando qualsiasi mezzo disponibile. Cartografia inclusa.

    https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-a-fianco-di-frontex-sul-rispetto-dei-diritti-u

    #université #recherche #complexe_militaro-industriel #frontières #migrations #contrôles_frontaliers #Turin #consortium #cartographie #géographie
    #Pologne #Russie #Kaliningrad_Oblast #Piero_Boccardo #Andrea_Bocco

    • Politecnico e Ithaca insieme per la produzione di cartografia per l’Agenzia Europea Frontex

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – dal 2004 impegnata nel controllo della migrazione e la gestione delle frontiere e le cui responsabilità sono state ampliate nel 2016 alla lotta alla criminalità transfrontaliera e ai servizi di ricerca e di salvataggio nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime – ha affidato a un consorzio composto da Associazione Ithaca, DIST - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico e Ithaca Srl un importante contratto per la produzione di cartografia.

      L’incarico prevede la produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24 mesi, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Il professor Piero Boccardo, Presidente di Ithaca Srl, che curerà la produzione cartografica, riferisce che “la fornitura di prodotti cartografici all’Agenzia europea Frontex è una nuova sfida che ci rende orgogliosi di una serie di collaborazioni con le maggiori organizzazioni internazionali. Una nuova opportunità per contribuire operativamente a supportare le attività di monitoraggio del territorio, come già peraltro testimoniato dai nove anni di attività 7/24/365 che Ithaca ha profuso nell’ambito del servizio Copernicus Emergency Management”. Il professor Stefano Corgnati, Vice Rettore alla Ricerca e Presidente dell’Associazione Ithaca, mandataria del consorzio, ricorda che “la collaborazione con Frontex rappresenta il primo esempio di come l’ecosistema del Politecnico di Torino, rappresentato dai suoi Dipartimenti e dal sistema delle società partecipate, possa essere funzionale alla piena integrazione tra le attività di ricerca e quelle di trasferimento tecnologico”.

      Il professor Andrea Bocco, Direttore del DIST, che ha curato l’organizzazione tecnica del servizio e che valuterà la qualità dei prodotti, ricorda che “questo progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento, di sviluppare un laboratorio capace di elaborare e gestire dati spaziali anche di grande complessità. Tale obiettivo è un elemento essenziale del progetto di Eccellenza del DIST, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che rafforza il carattere interdisciplinare della ricerca e la capacità di realizzare prodotti e servizi ad elevato contenuto di innovazione.”

      https://poliflash.polito.it/in_ateneo/politecnico_e_ithaca_insieme_per_la_produzione_di_cartografia_per_l

    • “Non a fianco di Frontex”. Chi si dissocia dall’accordo del Politecnico di Torino

      “Non si può lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”, denuncia il professor Michele Lancione. Una presa di posizione pubblica che rompe il silenzio interno al Politecnico di Torino dopo l’accordo con l’agenzia Frontex per la produzione di mappe e cartografie. C’è un altro modo di pensare e vivere l’accademia

      “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
      Hannah Arendt

      Sono un accademico del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e dell’Università di Torino. Scrivo questo testo per dissociarmi pubblicamente dall’accordo siglato tra il mio Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.

      Come evidenzia l’articolo pubblicato da Altreconomia, l’accordo, che prevede la produzione di cartografia presso i laboratori del mio dipartimento su commissione di Frontex, è stato annunciato il giorno 14 luglio 2021, con comunicato stampa. Nel comunicato, si afferma che DIST e Ithaca saranno coinvolti nella “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”. A livello intellettuale e umano, non mi sento rappresentato dalla posizione dell’istituzione per cui lavoro, che ha scelto di definire l’accordo con Frontex come un progetto che “si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento”. La questione non è solo personale, ma politica.

      L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è stata accusata a più riprese -da Ong, attivisti e agenzie internazionali- di essere direttamente coinvolta nei violenti respingimenti di migranti alle frontiere europee. Il più noto è il caso greco, ora discusso presso la Corte europea di giustizia, dove non solo si ha la certezza dell’illegalità dei respingimenti forzati operati dell’Agenzia, ma anche del ruolo della stessa nel distruggere documenti che evidenziano l’uso illegale della forza per respingere i rifugiati verso la Turchia. Questo episodio è solo l’apice di una strategia operata dell’Unione europea, attraverso Frontex, per la gestione dei confini comunitari attraverso principi espulsivi, razzializzanti e letali per coloro che si spostano per cercare protezione nel continente.

      Come accademico critico e cittadino impegnato in primo piano, attraverso il privilegio della mia posizione, nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”, ho fatto tutto quello che era in mio potere per sottolineare la gravità di questo accordo tra un’università pubblica -il mio dipartimento- e Frontex. Con alcuni colleghi mi sono mobilitato, sin dal 14 luglio (giorno in cui sono venuto a conoscenza dell’accordo) per questionare quanto deciso. Abbiamo preso voce nel Consiglio di Dipartimento, in cui l’accordo è stato presentato, ponendo la gravità della decisone presa. Abbiamo poi lavorato per comprendere se fosse possibile annullare l’appalto. Abbiamo anche chiesto che tale attività non venisse svolta in nome di tutto il dipartimento, ma che i singoli coinvolti se ne prendessero il peso e la responsabilità. Su tutti i fronti, le risposte sono state negative: se non offerte di dialogo, discussione, bilanciamenti. Ma questo non basta.

      Il problema qui non è solo nel tipo di dato che Ithaca e il mio Dipartimento forniranno a Frontex. I ricercatori coinvolti nel progetto dicono che si tratti di dati open source, innocui. Posto che nessun dato è mai innocuo, la questione sta nel prestare il proprio nome -individuale e istituzionale- alla legittimazione dell’operato di una agenzia come Frontex. Perché quello si fa, quando si collabora: si aiuta l’apparato violento e espulsivo dell’Unione europea a legittimarsi, a rivestirsi di oggettività scientifica, a ridurre tutto a una questione tecnica che riproduce il suo male riducendolo a un passaggio di carte tra mani. In Europa la storia dovrebbe averci insegnato qualcosa in tal senso, ma chiaramente non abbiamo imparato nulla.

      Il dipartimento ha scelto di continuare l’accordo, invitando il sottoscritto e alcun* collegh* che hanno espresso riserve a contribuire al suo sviluppo evidenziando gli aspetti problematici dell’attività di Frontex. Ha inoltre deciso di non rappresentare pubblicamente il nostro dissenso, preferendo la linea del silenzio, che è anche quella del Politecnico.

      Io credo però non sia possibile lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide. Con questo testo mi dissocio dall’accordo e rinnovo allo stesso momento il mio impegno verso i miei student*, collegh* e partner che troveranno sempre, nel mio dipartimento e al Politecnico di Torino, strumenti e spazi per la critica, quella vera, che richiede un posizionamento chiaro: non a fianco di Frontex.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/non-a-fianco-di-frontex-chi-si-dissocia-dallaccordo-del-politecnico-di-

    • Mai con Frontex !

      Appello alle Università e ai centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea.

      MAI CON FRONTEX!

      Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e il consorzio italiano composto da Associazione Ithaca, DIST (Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio) del Politecnico di Torino e Ithaca Srl (società controllata dall’omonima associazione) hanno siglato, nel luglio 2021, “un importante contratto per la produzione di cartografia” a supporto delle attività di sorveglianza delle frontiere europee. Il contratto ha una durata di 24 mesi, rinnovabile sino a un massimo di altri 24, con un budget totale di 4 milioni di euro.

      Fa parte del consorzio, l’associazione no-profit ITHACA, con sede a Torino, nata come centro di ricerca applicata con l’obiettivo di cooperare con il World Food Programme (WFP) – braccio di aiuto alimentare delle Nazioni Unite – per la distribuzione di prodotti e servizi legati alla tecnologia dell’informazione, “per migliorare la capacità della comunità umanitaria internazionale nel preallarme, nella valutazione dell’impatto precoce e in altre aree correlate alla gestione del rischio”.

      L’associazione e l’omonima s.r.l. passano dal supporto alle attività umanitarie al sostegno delle operazioni di controllo dei confini europei coinvolte in violazioni dei diritti dei migranti. Mentre va in porto questo accordo, una parte della società civile europea si leva contro Frontex. Da un lato chi chiede la fine del suo ruolo di gendarme d’Europa, affinché svolga una missione realmente volta alla protezione delle vite umane, dall’altro chi propone una campagna per lo smantellamento dell’Agenzia e “del complesso militare-industriale delle frontiere e per la costruzione di una società nella quale le persone possano spostarsi e vivere liberamente”.

      La notizia della collaborazione di una università pubblica per la “produzione di cartografia digitale, mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”, è apparsa a luglio sul portale PoliFlash ed è stata oggetto di un’inchiesta di Altraeconomia, pubblicata il 20 ottobre. Secondo quanto riportato dal direttore del Dist, “il progetto si inquadra perfettamente nell’obiettivo strategico del Dipartimento” dell’università torinese. In risposta alle richieste da parte della testata giornalistica per avere chiarimenti su quali saranno i servizi offerti, fonti del Politecnico hanno fatto sapere di non essere a conoscenza di quale sarà l’utilizzo finale dei beni prodotti e di non essere autorizzati a rilasciare interviste sull’oggetto del contratto.

      A rompere il silenzio giunge, invece, una decisa presa di posizione di Michele Lancione, docente ordinario del DIST, che, attraverso un testo pubblicato il 24 ottobre, dà voce a un gruppo di colleghi che intende dissociarsi pubblicamente dall’accordo siglato tra il Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca Srl e Frontex.

      Una presa di posizione “non solo personale, ma politica”, afferma Lancione, ritenendo impossibile “lavorare con chi come Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide”. Il docente esprime il suo dissenso in quanto “accademico critico e cittadino impegnato in primo piano nel comprendere e nel combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”.

      Riteniamo che questa sia una chiara e doverosa presa di posizione a garanzia della salvaguardia di un reale spazio per gli studi critici all’interno delle università e dei centri di ricerca italiani.

      Non possiamo non ricordare che Frontex è stata, e continua ad essere, oggetto di diverse inchieste giornalistiche e di accuse da parte di associazioni, ong, attivisti, per avere consentito o partecipato ad attività di respingimento illegittime e violente nelle zone di frontiera marittime e terrestri dell’UE.

      Una di queste accuse è arrivata fino alla Corte di Giustizia europea che dovrà discutere in merito a un ricorso riguardante gravissime violazioni dei diritti umani a danno di migranti vittime di respingimenti collettivi nel mar Egeo, mentre cercavano protezione nell’Ue, avvenute con la partecipazione di Frontex.

      Sono altrettanto note le accuse rivolte all’Agenzia europea in merito ai violenti respingimenti operati nella rotta balcanica e nel Mediterraneo centrale, i cui assetti aerei sono utilizzati per la sorveglianza utile all’intercettazione e al respingimento dei migranti partiti dalle coste nordafricane attuati dalla cosiddetta guardia costiera libica che, sistematicamente, li deporta nei centri di tortura e di detenzione dai quali fuggono.

      Nel corso del 2021, la stessa Agenzia è stata al centro di indagini da parte di diverse istituzioni europee.

      La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha creato un Gruppo di lavoro e di indagine sull’operato dell’Agenzia (il Frontex scrutinity working group), per via della scarsa trasparenza delle sue attività amministrative, e “per le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare svolta alle frontiere esterne dell’Unione Europea che non rispetta i diritti umani delle persone intercettate”.

      Anche l’Ufficio europeo anti-frode (Olaf) ha aperto un’indagine per fare luce sui suoi bilanci poco trasparenti. Alla fine del 2020 erano state rese note le spese “folli” per eventi di lusso e autocelebrativi, che tra il 2015 e il 2019 hanno ammontato a 2,1 milioni di euro. “Il budget per gli eventi di gala di una sola annata è molto più di quanto stanziato dall’agenzia per l’Ufficio dei diritti fondamentali per tutto il 2020”.

      Nel marzo 2021, la commissione di controllo del bilancio del Parlamento europeo ha votato per il rinvio dell’approvazione del bilancio finanziario di Frontex per l’anno 2019. Si è trattato di un gesto simbolico in risposta alla serie di accusa che hanno messo in discussione le attività dell’Agenzia.

      Nel giugno di quest’anno, la Corte dei conti europea ha pubblicato una relazione, secondo cui Frontex non ha attuato pienamente il mandato che ha ricevuto nel 2016 e la giudica non ancora pronta ad attuare efficacemente il nuovo ruolo operativo affidatole con il nuovo regolamento del 2019.

      Nonostante l’operato di Frontex sia costellato di contestazioni amministrative, contabili e per gravissime violazioni dei diritti umani, le sue risorse e il suo ruolo strategico continuano ad aumentare.

      Dal 2005 al 2021, il budget di Frontex è passato da 6,3 a 543 milioni di euro, ma è previsto un sostanziale aumento nel periodo 2021-2027 quando, secondo il nuovo regolamento entrato in vigore alla fine del 2019, oltre all’aumento dei poteri della “super agenzia”, anche la capacità di forza permanente sarà incrementata fino a raggiungere le 10mila unità da dispiegare dentro il territorio dell’Unione o all’esterno.

      Desta particolare preoccupazione il coinvolgimento di Frontex in operazioni di intelligence e in programmi e progetti per l’utilizzo di strumenti altamente tecnologici per la sorveglianza delle frontiere, per i quali sarà responsabile di garantire la sicurezza dei dati trasmessi e condivisi anche con i paesi terzi per favorire rimpatri e respingimenti.

      Alla luce di quanto descritto, ci chiediamo quali valutazioni politiche ed etiche, oltre a quelle di ordine finanziario, abbiano portato una Università pubblica a decidere di collaborare con un’agenzia europea il cui operato ha posto una serie di dubbi di legittimità.

      Quanti altri accordi di questo tipo sono stati siglati da università e centri di ricerca in collaborazione con questo violento sistema europeo di controllo, repressione ed espulsione “dell’altro”?

      Invitiamo le Università e i centri di ricerca italiani ed europei a non legittimare l’apparato violento, repressivo, espulsivo e razzializzante dell’Unione europea, le cui politiche sono incentrate sull’ossessivo controllo delle frontiere a qualsiasi costo, attraverso l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, sulla costruzione di muri sempre più alti, tutto a dispetto del rispetto dei diritti delle persone in movimento e della dignità umana.

      Chiediamo a tutte le voci critiche di avere il coraggio di emergere.

      Qui trovi il testo dell’appello in inglese

      Aderiscono:
      ADIF – Associazione Diritti e Frontiere
      Campagna LasciateCIEntrare
      Rete antirazzista catanese
      Progetto Melting Pot Europa
      Legalteam Italia
      Campagna Abolish Frontex
      Carovane migranti
      Michele Lancione docente politecnico di Torino
      Melitea
      Gruppo di ricerca SLANG – Slanting Gaze on Social Control, Labour, Racism and Migrations, Università di Padova (https://www.slang-unipd.it) (Claudia Mantovan, Annalisa Frisina, Francesca Vianello, Francesca Alice Vianello, Devi Sacchetto)
      Linea d’Ombra ODV
      Gennaro Avallone (docente Università di Salerno)
      Redazione di Ultima Voce
      Rete femminista No muri No recinti
      Valentina Pazé (docente Università di Torino)
      Cornelia Isabelle Toelgyes
      Mari D’Agostino, P.O. dell’Università di Palermo
      Redazione di Comune-info.net
      Redazione di Benvenuti Ovunque
      associazione Small Axe odv
      Collettivo artistico e politico Eutopia-Democrazia Rivoluzionaria
      Pietro Saitta, docente Università di Messina
      Pietro Deandrea, professore associato, Università di Torino
      Centro Studi Sereno Regis di Torino
      Caterina Peroni, IRPPS-CNR, Roma
      Enrico Gargiulo, Università di Bologna
      Gruppo di Mediterranea Torino
      Francesca Governa, Politecnico di Torino
      Gruppo ON BORDERS ( https://onborders.altervista.org)
      Angela Dogliotti, Centro Studi Sereno Regis, Torino
      Antonello Petrillo, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Iain Chambers, Università di Napoli, Orientale
      Carmelo Buscema, Università della Calabria
      Fridays for Future Cagliari
      Statewatch
      Stefania Ferraro, Università degli Studi S.O. Benincasa, Napoli
      Viola Castellano, ricercatrice e professoressa a contratto dell’Università di Bologna
      Giuseppe Mosconi, Università di Padova
      Mariafrancesca D’Agostino, Università della Calabria
      Francesco Biagi, Facoltà di architettura dell’Università di Lisbona
      Maurizio Memoli, Ordinario di Geografia politica ed economica, Università di Cagliari
      Antonio Ciniero, università del Salento
      Gianfranco Ragona, Università di Torino
      Onofrio Romano, Associate Professor of Sociology, Department of Political Sciences, University of Bari “A. Moro”
      Giulia Giraudo, dottoranda dell’università di Torino ( dottorato in mutamento sociale e politico).
      Valeria Cappellato, università di Torino
      Paola Gandolfi, Università di Bergamo
      Silvia Aru, ricercatrice Politecnico di Torino
      Ugo Rossi, professore universitario, Gran Sasso Science Institute
      Daniela Leonardi, ricercatrice post-doc, Università di Parma
      Augusto Borsi – Prato
      Giuliana Commisso, Università della Calabria – Rende (CS) IT
      Laura Ferrero, Docente a contratto, Università di Torino
      Bruno Montesano, studente del Phd in Mutamento sociale e politico (UniTo/UniFi)
      Paola Sacchi, Università di Torino
      Silvia Cirillo, dottoranda in Global Studies presso Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
      Maria Rosaria Marella, Università di Perugia
      Daniela Morpurgo, Post-doc fellow, Polytechnic of Turin, DIST – Interuniversity Department of Regional and Urban Studies, Part of “Inhabiting Radical Housing” ERC research team
      Silvia Di Meo, dottoranda Università di Genova
      Paola Minoia, University of Helsinki e Università di Torino
      Chiara Maritato, Università di Torino
      Lorenzo Delfino, Sapienza, Roma
      Francesca Della Santa, Università di Bologna
      Marika Giati, Università di Bologna
      Camilla De Ambroggi, Università di Bologna
      Clemente Parisi, Università di Bologna
      Jacopo Bonasera, Università di Bologna
      Annalisa Cananzi, Università di Bologna
      Margherita Cisani, Università di Padova, Assegnista di Ricerca, Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità (DiSSGeA)
      Sara Caramaschi, Postdoctoral Researcher in Urban Studies, Gran Sasso Science Institute
      Leonardo Ravaioli, Università di Roma Tre
      Dana Portaleone, Università di Bologna
      Magda Bolzoni, Università di Torino
      Giacomo Pettenati, Università di Torino
      Luca Cobbe – Università La Sapienza Roma
      International Support – Human Rights (https://supportuganda.wordpress.com)
      Claudia Ortu, Università degli studi di Cagliari
      Giulia Marroccoli, Università di Torino.
      Associazione Accoglienza ControVento
      Giada Coleandro dottoranda Università di Bologna
      Alida Sangrigoli, dottoranda Politecnico di Torino
      Lorenzo Mauloni, dottorando Politecnico di Torino
      Riccardo Putti, docente di Antropologia Visiva, DIPOC – Università degli Studi di Siena
      Gaja Maestri, Aston University (Birmingham), Regno Unito
      Matilde Ciolli, Università di Milano
      Matteo Rossi, Università di Torino
      Emanuele Frixa, Università di Bologna

      Per adesioni scrivere a: info@lasciatecientrare.it

      https://www.lasciatecientrare.it/non-a-fianco-di-frontex

      #appel #résistance

    • Torino: Fuori Frontex dal Politecnico!

      Ieri si è tenuto, nell’aula 1, un incontro sul contratto tra il Dipartimento del DIST del Politecnico di Torino e Frontex, la controversa e indagata agenzia europea per il controllo delle frontiere

      Sono intervenuti:
      – Prof. Michele Lancione (PoliTo): introduzione Frontex/Ithaca e Politecnico
      – Luca Rondi (Giornalista di Altreconomia): inchiesta Frontex e Politecnico
      – Raffaele Cucuzza (Senatore Accademico PoliTo) e Bruno Codispoti (Rappresentante degli Studenti in CDA PoliTo): questione Frontex all’interno del Senato Accademico e del CDA
      – Prof. Fulvio Vassallo (Associazione Diritti e Frontiere): agenzia Frontex, funzioni, rapporti tra stati e criticità
      – Yasmine Accardo (lasciateCIEntrare): rapporto tra Frontex e Industrie
      – Avv. Gianluca Vitale (lasciateCIEntrare): Frontex/CPR/protezione legale dei richiedenti asilo
      – Avv. Giovanni Papotti: testimonianze migranti

      Il Tender (bando di gara internazionale) che vede coinvolti Frontex e il Politecnico di Torino, riguarderebbe la fornitura di dati cartografici da parte dell’Ateneo all’Agenzia Europea.

      Nel bando non sarebbe specificato l’uso e la natura delle mappe cartografiche che il Politecnico dovrebbe fornire. La natura di Frontex, il cambiamento, avvenuto in pochi anni da organo di salvataggio a vera e propria polizia di frontiera a guardia dei confini esterni dell’Europa, è il motivo della decisa opposizione. Il Prof. Michele Lancione, ordinario di Geografia Politico-Economica, è stato il primo a sollevare la questione all’interno dell’Ateneo.

      Sono state ampiamente chiarite tutte le motivazioni per le quali non viene ritenuta opportuna la collaborazione da parte del Politecnico di Torino, realtà d’eccellenza in Italia, con Frontex.

      E’ stato descritto come le infografiche dell’Agenzia attengano ad una divulgazione sostanzialmente ideologica dell’immigrazione, volta a delegittimare i flussi amplificandoli ad arte, flussi che, e stato evidenziato, sono determinati da persone in gran parte aventi diritto di asilo. Questa disinformazione è funzionale a comunicare l’immigrazione come un invasione, identificando l’immigrato come un pericolo.

      E’ stato sottolineato che Frontex esercita il monitoraggio delle frontiere tramite una notevole attività aerea (palloni aerostatici, droni, aeroplani con pilota), attività svolta anche all’esterno delle frontiere grazie ad accordi bilaterali con Stati confinanti con l’UE.

      E’ stato denunciato che i criteri di respingimento utilizzati dall’Agenzia sono contrari ai Diritti Umani: qualsiasi persona può lasciare il proprio Stato di origine ed ha diritto di chiedere asilo: ove il respingimento avvenga prima della richiesta c’è una violazione dell’Ordinamento Internazionale che garantisce il diritto alla richiesta di protezione internazionale, violazione di cui Frontex è stata accusata da molti intervenuti.

      E’ stato evidenziato, le indagini che coinvolgono Frontex ne sono la prova, che i respingimenti avvengono anche in modo violento e non rispondente alla normativa internazionale. E’ quindi rilevante il sospetto che una cartografia, in particolare ad alta risoluzione, possa essere utilizzata dai droni per un più efficace controllo dei passaggi migratori di frontiera e di come ciò possa ulteriormente favorire i respingimenti illegali.

      E’ stato ricordato che, proprio a causa dell’attività di monitoraggio aereo dell’Agenzia, circa il 50% delle persone migranti in viaggio nel Mediterraneo è stata consegnata alla Guardia Costiera libica, di cui ricordiamo che il comandante è Abd al-Rahman al-Milad, noto anche come al-Bija, condannato dall’ONU per violazione dei diritti umani. A fronte della condanna sono stati trasmessi gli atti all’Interpol.

      Sono state quindi respinte e consegnate ai libici persone indipendentemente dalla loro nazionalità, si parla anche di persone, famiglie, di origine tunisina che sono ora detenute nei lager libici.

      Sono state ricordate le molte violenze, a tutti gli effetti violazioni dell’Ordinanento Internazionale, che vengono quotidianamente commesse alle frontiere interne ed esterne dell’UE ai danni delle persone migranti.

      Dagli interventi degli esponenti del Senato Accademico e del CDA del Politecnico, è emerso chiaramente il vespaio che la questione ha destato, il Senato avrebbe in ipotesi un “congelamento” del contratto fino a risoluzione delle indagini pendenti su Frontex, ipotesi bollata di ipocrisia in alcuni interventi che hanno dichiarato necessaria una cancellazione dell’accordo.

      E stato anche denunciato che in Senato Accademico non c’è unanimità. Questo secondo alcuni interventi dipenderebbe da Direttori di Dipartimento che intravvederebbero un pericoloso precedente etico che potrebbe influire sulle loro attività presenti e future.

      E’ stato sottolineato che le norme universitarie esistono e che in presenza di aspetti eticamente sensibili l’accordo sarebbe dovuto essere stato preventivamente sottoposto agli organi competenti dell’Ateneo.

      Bruno Codispoti ha argomentato a sostegno di questa tesi: data la natura del committente, il contratto doveva essere preventivamente sottoposto al CDA, che ha prerogative decisionali sulla natura delle fonti di finanziamento dell’Ateneo.

      E’ stata redatta una lettera aperta indirizzata al Rettore e agli organi di governance dell’Ateneo con una puntuale disamina di tutte le criticità relative a Frontex, motivi per i quali il Politecnico dovrebbe recedere dall’accordo.

      Il tutto è rimandato al 14 dicembre prossimo, data di riunione straordinaria del Senato Accademico.

      L’etica attinente alla ricerca è un argomento estremamente rilevante, dagli interventi appare chiaro che il Politecnico di Torino su questa questione, gravemente imbarazzante, si stia giocando la faccia.

      https://www.youtube.com/watch?v=F-kx5hW8FEU&feature=emb_logo

      https://www.pressenza.com/it/2021/12/torino-fuori-frontex-dal-politecnico

    • Frontex-Politecnico di Torino, ecco il contratto. E la “clausola” sui diritti umani non c’è ancora

      L’accordo stipulato nel giugno 2021 dà “carta bianca” all’Agenzia che sorveglia le frontiere sull’utilizzo dei prodotti della cartografia. Intanto l’Ateneo fa sapere che, a due mesi dalla decisione del Senato accademico, la clausola sul rispetto dei diritti umani è ancora “in fase di finalizzazione”

      La “clausola vincolante” di rispetto dei diritti umani deliberata dal Senato accademico del Politecnico di Torino a metà dicembre 2021 per “salvare” il contratto con Frontex non è ancora pronta. Dopo aver ottenuto copia dell’accordo sottoscritto tra l’Ateneo e l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, Altreconomia ha chiesto conto dello stato di avanzamento dei lavori al rettorato che il 15 febbraio 2022 ha fatto sapere che “la clausola è in fase di finalizzazione”. Dal contratto, intanto, emergono ulteriori elementi che riducono l’effettiva possibilità di monitorare l’utilizzo dei prodotti della ricerca: Frontex ha infatti carta bianca nel modificare e fornire a terzi la cartografia realizzata dall’Ateneo.

      Un passo indietro. Il 14 dicembre 2021 il Senato accademico del Politecnico di Torino, chiamato a pronunciarsi sull’accordo da quattro milioni di euro con Frontex per la produzione di mappe aggiornate, aveva votato con ampia maggioranza di “procedere alla sottoscrizione dell’accordo introducendo una clausola vincolante, allo scopo di specificare nel Consortium agreement l’impegno tanto del personale docente e di ricerca coinvolto quanto del committente ad agire in osservanza del rispetto dei diritti umani e fondamentali delle persone”. Nessun comunicato stampa ufficiale era seguito a questa decisione confermando quantomeno la stranezza di tale richiesta. Altreconomia ha così chiesto a Frontex “una copia della clausola inclusa nel contratto firmato” e in caso di impossibilità nell’accedere a questo documento “qualsiasi informazione che possa essere utile per ricostruire il contenuto della clausola”.

      L’Agenzia il 4 febbraio 2022 ha fornito copia integrale del “contratto quadro” (framework contract, ndr) da cui è possibile ricostruire che questo è stato siglato il 7 giugno 2021 a Torino e controfirmato dieci giorni dopo a Varsavia: data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dalle parti, l’accordo è entrato in vigore. Non ci sono riferimenti al Consortium agreement che, solitamente, è un contratto che regola i rapporti tra le diverse parti che in cordata si aggiudicano una committenza -in questo caso il Dipartimento inter-ateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico (Dist) e Ithaca, centro di ricerca avanzato e vincitore del bando- ma esclude la stazione appaltante, in questo caso Frontex. Dall’Ateneo fanno sapere che il “Consortium agreement sarà oggetto di prossima stipula” e la clausola che verrà inserita è “in fase di finalizzazione”.

      Dal contratto è possibile ricostruire più precisamente i contorni dell’attività del consorzio italiano. Già nell’ottobre 2021, su richiesta di Altreconomia, il Politecnico di Torino aveva risposto che “non era a conoscenza dell’utilizzo finale dei prodotti”. È proprio così. Al punto I.10 del contratto si trova infatti una “lista dettagliata” delle possibilità di utilizzo dei risultati dell’opera fornita che diventa di “proprietà dell’Unione europea” che potrà, tra le altre cose, “renderla disponibile a Frontex; renderla fruibile a persone ed enti che lavorano per l’Agenzia o collaborano con essa, inclusi contraenti, sub-contraenti che siano persone legali o fisiche; fornirla ad altre istituzioni Ue, agenzie, istituzioni degli Stati membri”. Non solo.

      Al punto “e” dello stesso articolo si legge poi che tutte le modifiche che l’amministrazione aggiudicatrice (Frontex, ndr) o un terzo a nome della stessa possono apportare ai risultati della ricerca. “Riduzione; riassunto; modifica del contenuto; delle dimensioni; apportare modifiche tecniche al contenuto, aggiungere nuove parti o funzionalità; fornire a terzi informazioni aggiuntive riguardanti il risultato (ad esempio, il codice sorgente) al fine di apportare modifiche; l’aggiunta di nuovi elementi, paragrafi, titoli, legenda […]; estrazione di una parte o divisione in parti; incorporare, anche mediante ritaglio e taglio, i risultati o parti di essi in altre opere, come su siti web e pagine web”. Da un lato quindi l’impossibilità di sapere da chi e come verrà utilizzata la mappa, dall’altro la possibilità di Frontex di modificare a proprio piacimento -salvo ovviamente tutti i diritti legati alla proprietà intellettuale e al mero prodotto della mappa- il risultato.

      Nel documento si sottolinea come il contratto quadro “non comporta alcun impegno diretto e non impone ordini di per sé ma stabilisce le disposizioni finanziarie, tecniche e amministrative che regolano il rapporto tra Frontex e il contraente durante il periodo di validità”. La fornitura della cartografia è quindi regolata da contratti specifici con cui, di volta in volta, l’Agenzia chiederà a Ithaca e al Politecnico di Torino i servizi di cui necessita. Secondo l’allegato 1 del contratto Frontex invierà “moduli d’ordine” su base “mensile o trimestrale specificando la quantità massima di mappe che sarà richiesta durante il periodo di tempo indicato”. Non è chiaro perché da giugno a oggi non sia stato commissionato nessun servizio. Altreconomia aveva chiesto conto a metà novembre 2021, agli uffici del Politecnico, del “numero dei servizi prodotti dal 14 luglio al 15 novembre 2021” ma non ha mai ricevuto risposta.

      Per quanto riguarda la penale prevista in caso di rescissione del contratto -una delle tesi più accreditate internamente all’Ateneo durante i mesi di discussione precedenti al Senato accademico del 14 dicembre 2021- il testo dell’accordo ricostruisce diverse possibilità. Si specifica che “entrambe le parti possono rescindere il contratto quadro e i moduli d’ordine inviando una notifica formale all’altra parte con un mese di preavviso scritto”. Si sottolinea che “il contraente è responsabile dei danni subiti dall’amministrazione aggiudicatrice in seguito alla risoluzione del contratto quadro o di un contratto specifico, compresi i costi aggiuntivi per nominare e incaricare un altro contraente di fornire o completare i servizi”. I danni sono esclusi in alcuni casi specifici, tra cui quello di “forza maggiore” quando “la ripresa dell’esecuzione è impossibile o le necessarie modifiche del contratto quadro o di uno specifico che ne derivano significherebbe che il capitolato d’oneri non è più non sono più soddisfatte o comportano una disparità di trattamento degli offerenti o dei contraenti”. Con forza maggiore è da intendersi “qualsiasi situazione o evento imprevedibile, eccezionale e fuori dal controllo delle parti che impedisce loro di adempiere agli obblighi” tra queste non rientrano “vertenze sindacali, scioperi” salvo che “non derivino direttamente da un caso di forza maggiore rilevante”. Anche su questo punto, Altreconomia aveva chiesto al Politecnico l’esistenza di tale clausola e una stima dell’entità senza ricevere risposta. L’unico riferimento specifico presente nel contratto rispetto a una possibile “entità” del danno riguarda la responsabilità per qualsiasi perdita o danno causato “dalla mancata implementazione del contratto quadro” che prevede una penale di importo “non superiore a tre volte l’importo totale del relativo contratto operativo”.

      Il contratto stabilisce infine che le modifiche contrattuali devono essere “comunicate per iscritto e rispettare gli obblighi contrattuali” ma soprattutto che “una modifica su un contratto specifico non costituisce un emendamento del contratto quadro” e in ogni caso tali modifiche non possono “alterare le condizioni iniziali della procedura d’appalto”. In attesa di ricevere dall’Ateneo copia della clausola inserita nel Consortium agreement lo spazio per “solide” clausole vincolanti sul rispetto dei diritti umani sembra ridursi sempre di più.

      https://altreconomia.it/frontex-politecnico-di-torino-ecco-il-contratto-e-la-clausola-sui-dirit
      #Dist #Consortium_agreement

    • Accordo Politecnico - Frontex. E i diritti umani?

      È nel luglio del 2021 che le distanze geografiche tra Torino e la Rotta Balcanica, la stessa percorsa da Nur per arrivare dal Pakistan in Europa, si contraggono di colpo. Il Politecnico di Torino sigla un accordo con Frontex, l’Agenzia europea che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione europea. Il contratto da quattro milioni di euro, che richiede al Politecnico di produrre cartografie aggiornate per l’Agenzia Frontex, genera dissenso all’interno dell’Ateneo. Frontex è il simbolo di politiche europee di esclusione e rifiuto per chi arriva in Europa fuggendo da conflitti e povertà. Nonostante le proteste, il Politecnico sceglie di proseguire la collaborazione con l’Agenzia. Che cosa racconta questo accordo della città di Torino? Che succede quando il limbo vissuto dagli altri ci riguarda da vicino?“Limbo - Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Silvia Baldetti e Luca Rondi. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia nell’ambito di SEMI - Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People. I contenuti non riflettono necessariamente le posizioni dell’Unione Europea e di chi è intervenuto nel podcast come ospite. Hanno collaborato Francesca Prandi e Daniela Pizzuto. Il montaggio è a cura di Border Radio con la collaborazione di Silvia Baldetti. La sigla è di Federico Sgarzi.

      https://open.spotify.com/episode/39EAxfRb8MAAJPhbffsUdt
      #droits_humains #cartographie

    • L’Università di Torino si schiera contro l’accordo tra Frontex e il Politecnico

      A fine ottobre il Consiglio di amministrazione di Unito ha formalizzato la sua “totale contrarietà” alla collaborazione in essere tra l’Ateneo e l’Agenzia europea al centro di polemiche per la copertura di gravi violazioni dei diritti umani lungo le frontiere. La richiesta è quella di rescindere il contratto milionario per la produzione di mappe

      Il Consiglio di amministrazione dell’Università di Torino si schiera contro l’accordo per la produzione di mappe tra il Politecnico di Torino e Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee. Nella seduta del 27 ottobre di quest’anno i membri del Cda di Unito, che con il Politecnico “condivide” la gestione del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa “incriminata”- hanno infatti approvato una mozione in cui si dichiara la “totale contrarietà alla collaborazione in atto”, chiedendo ai competenti organi del PoliTo di procedere alla “sospensione di ogni attività con l’Agenzia”. La delibera arriva poche settimane dopo la pubblicazione del rapporto dell’Ufficio antifrode europeo (Olaf) che ha “certificato” come Frontex abbia coperto gravi violazioni dei diritti umani alle frontiere europee. Un documento che ha portato il Parlamento europeo a votare contro la procedura di “discarico” del bilancio, ovvero il “via libera” alle spese sostenute nel 2020. “Non ci sono più scuse. È arrivato il momento che il Politecnico di Torino faccia un passo indietro”, spiega Michele Lancione, professore Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist).

      Proprio Lancione, a seguito dell’inchiesta di Altreconomia che dava conto nel settembre 2021 dell’accordo tra Frontex e il Dist, il citato dipartimento a cavallo tra Unito e Politecnico, aveva preso pubblicamente posizione dichiarando la sua contrarietà al contratto. Una commessa da quattro milioni di euro, della durata di due anni, per la produzione di cartografia aggiornata. Nonostante altre voci all’interno del Dipartimento avessero chiesto un passo indietro da parte dell’Ateneo -tra cui Francesca Governa, che ha raccontato nel podcast Limbo la sua contrarietà all’accordo- nulla è cambiato. Nel dicembre 2021, peraltro, il Senato accademico del Politecnico aveva votato a favore dell’inserimento di una clausola vincolante di rispetto dei diritti umani per l’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano (Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali”, il Dist, e la Fondazione Links) che si sono aggiudicati la commessa. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”. Una clausola, quindi, che non poteva affatto vincolare anche l’Agenzia.

      È anche per questo motivo che il Cda di Unito ha chiesto al Politecnico di “valutare la gravità della situazione e il danno che la prosecuzione della fornitura di servizi può arrecare agli Atenei torinesi”. Una mozione -di cui Altreconomia ha preso visione- che arriva dopo l’audizione del vice-direttore del Dist chiamato ad aggiornare, il 20 ottobre, gli organi di Unito sullo stato di avanzamento dell’accordo con Frontex. Il cda sottolinea le “grandi inadempienze nel funzionamento dell’Agenzia e la sua colpevole inefficacia nell’affrontare il tema delle migrazioni” che vede il “fulcro delle denunce [rivolte all’Agenzia] nel rapporto Olaf e nel recentissimo rifiuto dei parlamentari europei del 18 ottobre 2022 a votare il cosiddetto scarico del bilancio dell’Agenzia 2020”.

      “Se ai tempi della sottoscrizione di questo contratto ci si poteva nascondere dietro un’ingiustificabile scarsa conoscenza delle problematicità di Frontex ora non è più possibile -sottolinea Lancione-. Le inchieste giornalistiche e i report di enti europei hanno messo in luce lo scarso funzionamento, i mancati meccanismi di controllo interno e ulteriori esempi di coinvolgimento in violazione dei diritti umani delle persone in transito”. Il rapporto Olaf, infatti, descrive anche l’inefficienza degli strumenti “interni” all’Agenzia utili per monitorare le attività sui confini europei. Problemi tutt’altro che risolti nonostante, dopo la pubblicazione del rapporto, dal board dell’Agenzia si siano affrettati a dichiarare che “queste pratiche appartengono al passato” così come la Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson che si è definita “scioccata” ma “sicura che il consiglio di amministrazione si è assunto pienamente le proprie responsabilità”. “L’Agenzia ha problemi strutturali –ci ha detto Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo della migrazione presso l’Università di Barcellona-. Finché non si risolvono è difficile che il suo mandato possa rispettare il diritto internazionale e quello dell’Unione europea. E l’unico passo possibile in questa direzione è una sentenza della Corte di giustizia che ristabilisca i confini del suo operato. Olaf segna un punto di svolta perché l’illegalità è finalmente certificata da un corpo dell’Ue ma resta un ente amministrativo, non una Corte”.

      Per Lancione resta in gioco la “vera libertà intellettuale”: “Recedere dal contratto non significa fare un passo indietro rispetto alle missioni di un Ateneo impegnato in contratti internazionali e nella ricerca ma farne uno in avanti. La rescissione è un segnale importante coerente con una visione etica della libertà intellettuale di cui giustamente l’Ateneo si fa vanto: libertà significa poter rivalutare le decisioni prese e cambiare direzione nel caso in cui il contesto sia cambiato. Questo è il momento di farlo”.

      https://altreconomia.it/luniversita-di-torino-si-schiera-contro-laccordo-tra-frontex-e-il-polit

    • Il Politecnico di Torino conferma l’accordo con Frontex. Ignorate le richieste di tornare indietro

      Il 6 dicembre il Senato accademico ha deciso di mantenere intatto l’accordo con l’Agenzia. La richiesta di rescissione giunta anche dell’Università di Torino, che con l’Ateneo condivide il Dipartimento che si è aggiudicato la commessa, è rimasta inascoltata. Così come le denunce di violazioni dei diritti umani in capo a Frontex

      Il Politecnico di Torino conferma una seconda volta il proseguimento nella collaborazione con l’Agenzia Frontex. Il Senato accademico dell’Ateneo si è riunito martedì 6 dicembre mettendo nuovamente ai voti l’opportunità di proseguire l’accordo con l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, accusata da più fronti, istituzionali e non, del mancato rispetto dei diritti umani delle persone in transito. Dopo la votazione del dicembre 2021, in cui si era deciso di proseguire con l’accordo, una larga maggioranza (19 voti su 29) ha votato nuovamente per mantenere in vita il contratto “scartando” le opzioni di risoluzione o congelamento dello stesso. “Una battaglia persa perché da questo voto non si tornerà più indietro -osserva Michele Lancione, professore del Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist)-. L’unica spiegazione che resta a fronte delle denunce arrivate a Frontex per la sua attività anche da organi istituzionali è che il Politecnico di Torino ha deciso di continuare questo accordo perché ha paura che rescindere voglia dire prendere seriamente la questione etica e questo possa generare criticità su altri accordi esistenti. Penso a Leonardo e ad altre aziende dell’universo militare”.

      La stessa Commissione istituita nel dicembre 2021 dal rettore Guido Saracco per valutare l’accordo -che aveva già concluso che vi fosse un rischio “medio-alto” per l’utilizzo improprio dei dati forniti dalla ricerca suggerendo di rescindere dal contratto o inserire una clausola sul rispetto dei diritti umani- ha nuovamente individuato due strade percorribili: il congelamento dell’accordo fino a nuove pronunce del Parlamento europeo sull’Agenzia o la risoluzione del contratto valutando la richiesta di risarcimenti danni presumibilmente per il danno di immagine recato all’Ateneo. A questa si è aggiunta la “terza” ovvero lasciare tutto com’è. Dopo una prima votazione è stata scartata l’opzione della risoluzione e nel secondo turno la maggioranza dei senatori ha optato per la terza via: resterà così in vigore fino al termine inizialmente previsto il contratto da quattro milioni di euro, della durata di due anni, siglato nel settembre 2021 dal Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e politiche del territorio (Dist), a cavallo tra Politecnico e Università di Torino, in cordata con Ithaca Srl, un centro di ricerca “dedicato al supporto di attività umanitarie in risposta a disastri naturali” e la Fondazione Links. Nonostante un quadro desolante.

      Nell’ottobre 2022 il rapporto dell’Ufficio europeo antifrode ha “certificato” le pratiche illegali dell’Agenzia: in 123 pagine viene ricostruito minuziosamente il malfunzionamento della “macchina” guidata dall’allora direttore Fabrice Leggeri. Storture che si traducono in concreto nella violazione dei diritti umani delle persone in transito. Proprio quel rapporto che ha portato alle dimissioni del direttore, da luglio 2022 sostituito temporaneamente da Aija Kalnaja, e ha spinto il Parlamento europeo ad approvare una risoluzione (con 345 voti favorevoli, 284 contrari e otto astenuti) contro la cosiddetta “procedura di discarico” del bilancio dell’Agenzia, ovvero una valutazione ex post che ha l’obiettivo di monitorarne l’attività degli anni precedenti (in questo caso del 2020). L’Olaf non è il primo organo istituzionale ad accusare Frontex: all’attivo risultano già due “denunce” da parte del Garante europeo per la protezione dei dati personali (Gepd), legata alla gestione della privacy, e del Difensore civico rispetto alle inefficienze dell’Agenzia sotto il profilo dei meccanismi di denuncia e di monitoraggio sulle violazione dei diritti fondamentali delle persone coinvolte nelle sue operazioni. Denunce che si aggiungono alle numerose inchieste svolte da diversi giornalisti e Ong indipendenti e che hanno spinto anche l’Università di Torino, titolare del Dipartimento coinvolto nell’accordo, a chiedere ai “colleghi” del Politecnico di recedere dall’accordo.

      Il 27 ottobre scorso il Consiglio di amministrazione di Unito aveva dichiarato la “totale contrarietà alla collaborazione in atto” e chiesto la “sospensione di attività con l’Agenzia”. In altri termini, rescindere il contratto. Una richiesta precisa perché nel dicembre 2021 la prima decisione del Senato accademico del Politecnico aveva votato l’inserimento di una clausola di salvaguardia sul rispetto dei diritti umani per controllare l’utilizzo dei prodotti della ricerca dell’Agenzia. Ma come ricostruito da Altreconomia quella clausola è stata inserita solo nel contratto tra i diversi attori del consorzio italiano. “Ciascuna parte si impegna ad agire -era scritto all’interno del contratto- nel pieno rispetto dei diritti umani e fondamentali, nonché dei principi di integrità della ricerca”. Il 31 maggio di quest’anno Frontex ci ha risposto però di “non detenere alcun documento” con riferimento alla richiesta di avere accesso a “eventuali bozze di consortium agreement sottoscritte dall’Agenzia da luglio 2021 in avanti”: una clausola, quindi, che non può affatto vincolare anche l’Agenzia. La sospensione delle attività richiesta dall’Università di Torino restava dunque l’unica via “affidabile” in termini di controllo dell’operato di Frontex.

      Ma il Senato accademico ha deciso di proseguire lasciando l’accordo così com’è. Restano inascoltate quindi la voce di Unito -su cui ricade la decisione di oggi del Senato del Politecnico- che si era aggiunta a quelle “interne” al Dipartimento che dall’inizio della vicenda chiedono pubblicamente di rescindere dal contratto. Da Michele Lancione, alla professoressa Francesca Governa. “Bisogna essere consapevoli che un accordo, passatemi la semplificazione, non particolarmente rilevante è però una spia di un modo di intendere il migrante, le politiche migratorie, l’Unione europea molto più condivisa di quanto pensiamo -racconta la docente nel podcast Limbo-. Anche negli Atenei e questo per me è un problema perché ho sempre pensato il sapere avesse il compito e la responsabilità di saper ‘discernere’. Evidentemente così non è”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich

    • “Politecnico, mi vergogno”. La lettera all’Ateneo dopo la conferma del patto con Frontex

      “Non è più possibile parlare di ‘etica’. Nessun discorso roboante sull’eccellenza della ricerca. Siamo complici: questa è la ‘scienza’ in questo momento in Europa”, denuncia il professor Michele Lancione. Pubblichiamo la sua lettera in risposta alla decisione dell’Ateneo di proseguire nel contratto con l’Agenzia europea

      Martedì 6 dicembre il Senato del Politecnico di Torino ha nuovamente confermato la sua volontà di proseguire nella produzione di mappe per Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, ignorando la richiesta di rescindere il contratto da parte dell’Università di Torino, co-titolare del Dipartimento che si è aggiudicato la commessa da quattro milioni di euro. Pubblichiamo la nota scritta dal professor Michele Lancione, ordinario di Geografia politico-economica, che fin dall’inizio si è opposto all’accordo tra il suo Ateneo e l’Agenzia (lr).

      La relazione dell’Organismo anti-frode Europeo (Olaf) su Frontex è chiara. L’Agenzia ignora i diritti umani delle persone in transito nel Mediterraneo e nei Balcani. Ci sono prove di come gli aerei e i droni di Frontex abbiano assistito all’annegamento di migranti in alto mare tra la Libia e l’Italia, senza intervenire. Questa non è solo una violazione dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (diritto di asilo) ma anche, più semplicemente e fondamentalmente, dell’articolo 2 (diritto alla vita) e di numerose convenzioni marittime internazionali che impongono a chiunque assista a situazioni di pericolo in alto mare di intervenire o di allertare organismi in grado di farlo. Frontex ha sistematicamente evitato qualsiasi tipo di intervento di proposito, in diverse occasioni, violando il diritto fondamentale alla vita delle persone in situazioni di pericolo su quelle imbarcazioni. L’Agenzia stessa lo ha riconosciuto, almeno implicitamente, quando il suo direttore si è dimesso sette mesi fa a seguito delle prime rivelazioni del rapporto di Olaf (all’epoca non divulgato).

      Come è noto, il mio Dipartimento al Politecnico di Torino, dove sono professore ordinario di Geografia politica ed economica, fornisce servizi di cartografia a Frontex. Questa associazione tra le due istituzioni è problematica non solo perché non c’è modo di sapere come Frontex utilizzerà le mappe (potenzialmente, per perseguire l’ulteriore violazione dei diritti umani), ma anche perché, per procura, tutti i membri del mio Dipartimento, me compreso, sono ora relazionabili con le attività dell’Agenzia. Non si tratta solo di un problema di immagine ma di una seria questione etica: come posso svolgere un lavoro di ricerca “etico”, se la mia istituzione ha a che fare con una terza parte coinvolta nella violazione sistematica dei diritti umani?

      Da un anno alcuni di noi si battono con forza contro questo accordo. In uno degli ultimi capitoli di questa storia, poche settimane fa, con una mossa senza precedenti, l’Università di Torino ha chiesto ufficialmente al Politecnico di prendere una posizione attiva contro questo accordo con l’Agenzia. Eppure, non bastano le prove schiaccianti del rapporto Olaf, né le prese di posizione di ricercatori e studenti torinesi, perché il mio datore di lavoro riconsideri la sua insostenibile posizione. A seguito della richiesta dell’Università, a inizio dicembre il Senato del Politecnico di Torino è stato nuovamente chiamato a votare sull’opportunità di mantenere la collaborazione tra il mio Dipartimento e Frontex e, con 19 voti su 29, ha confermato il mantenimento dell’accordo. Come se nulla importasse. Come se il Mediterraneo e i suoi corpi fossero su un altro piano di esistenza. Come se la collaborazione con Frontex fosse solo una questione tecnica: qualcosa di avulso rispetto alle violazioni dei diritti umani portate avanti da quella stessa Agenzia.

      Se questa è scienza, come scienziato, mi vergogno. Sono frustrato, furioso. È inaccettabile che un’università pubblica come il Politecnico si rifiuti di confrontarsi con l’enorme quantità di prove contro Frontex. È inaccettabile che questo non sia diventato un grande punto di preoccupazione etica: un punto in cui la prassi del lavoro accademico può acquisire o perdere completamente il suo senso. Per me, con quel voto, il Politecnico ha perso la poca credibilità che gli era rimasta. Non è più possibile parlare di “etica”. Nessun discorso roboante sull’”eccellenza della ricerca”. Siamo complici: questa è la “scienza” in questo momento in Europa. Per gli studenti e per i pochissimi ricercatori che ancora vedono le cose in modo diverso, continueremo a lavorare affinché questa non sia la fine.

      #Michele_Lancione, professore ordinario di Geografia Politico-Economica, Politecnico di Torino (michele.lancione@polito.it)

      https://altreconomia.it/politecnico-mi-vergogno-la-lettera-allateneo-dopo-la-conferma-del-patto

      #complicité #honte #éthique

    • Frontex off Campus! An Interview with Professor Michele Lancione

      Michele Lancione works as a Professor of Economic and Political Geography at the Polytechnic University of Turin. In July 2021, he discovered that his university had agreed to produce maps and infographics for Frontex in order ‘to support the activities’ of the agency. Since the foundation of the border agency in 2004, these ‘activities’ have been pivotal in securitising and militarising EU borders. Many have argued – including myself – that they have also relentlessly produced the ‘migration crises’ Frontex claims to combat.

      Over recent years, Frontex has faced a series of investigations into its activities, not least for the agency’s implication in serious human rights violations at the EU’s external borders. When Professor Lancione approached the university after learning of the cooperation and asked to end its contract with the agency, he was told that the project was simply producing ‘harmless data’. In this interview, we speak about his struggle to get Frontex off campus.

      https://blogs.law.ox.ac.uk/blog-post/2023/04/frontex-campus-interview-professor-michele-lancione

    • Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex fino a giugno 2024

      Il contratto tra l’Ateneo e la contestata Agenzia che sorveglia le frontiere europee proseguirà per un altro anno. La conferma arriva da Varsavia e smentisce quanto riferito dal PoliTo secondo cui non era stata presa alcuna decisione. Intanto a Torino nasce “#Certo”, un coordinamento di docenti nato proprio a partire dal “caso Frontex”

      Il Politecnico di Torino ha rinnovato l’accordo con Frontex per la produzione di mappe aggiornate. Nonostante i gravi fatti di cui si è resa responsabile l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, l’Ateneo prosegue per altri dodici mesi con il contratto per la produzione di cartografia che si sarebbe dovuto concludere il 17 giugno 2023 . La conferma è arrivata ad Altreconomia direttamente da Frontex smentendo l’università che a metà maggio aveva fatto sapere di “non aver assunto decisioni in merito”.

      Torniamo al 17 giugno 2021, quando il consorzio italiano formato da #Ithaca Srl, centro di ricerca avanzata con sede a Torino e il Dipartimento interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del territorio, “condiviso” tra Politecnico e Università di Torino, sigla il contratto con Frontex per la produzione di cartografia aggiornata per un periodo di 24 mesi rinnovabile automaticamente due volte per dodici mesi ciascuna. Un rinnovo che il contratto, ottenuto da Altreconomia a inizio 2022, regola così: entro tre mesi dalla scadenza, le parti devono comunicare l’eventuale volontà di recedere dall’accordo altrimenti è rinnovo tacito. Considerando la scadenza del contratto prevista per metà giugno 2023, il termine utile per fermare la collaborazione era il 17 marzo. Così a inizio aprile abbiamo richiesto all’Ateneo chiarimenti rispetto a eventuali comunicazioni rivolte all’Agenzia. Solo a metà maggio ci è stato risposto che “non erano state assunte decisioni al momento (rispetto al rinnovo tacito, ndr)” e che non vi erano state “ulteriori deliberazioni successivamente alla seduta del senato del dicembre 2022”.

      Una seduta in cui (come raccontato qui: https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-conferma-laccordo-con-frontex-ignorate-le-rich) il senato accademico aveva scelto di restare a fianco di Frontex nonostante le critiche rivolte all’Ateneo a causa dei “malfunzionamenti” dell’Agenzia e della collaborazione nei respingimenti lungo i confini europei e la richiesta del consiglio di amministrazione dell’Università di Torino. Ma l’assenza di “decisioni assunte” rispetto a un rinnovo tacito, significa di fatto il proseguimento nell’accordo. Lo ha confermato Frontex che ad Altreconomia ha dichiarato che “l’autorità contraente non ha emesso né ricevuto alcuna notifica formale sul mancato rinnovo del contratto”. Insomma, si va avanti per un altro anno. Non cambia neanche il valore della commessa: i quattro milioni di euro previsti inizialmente dal bando, infatti, sono “l’importo massimo che copre tutti i possibili rinnovi del contratto, quattro anni in totale”.

      Dal quartier generale di Varsavia l’Agenzia ha fatto sapere inoltre che, in totale, sono state prodotte dall’inizio dell’accordo ben 107 mappe (al 16 maggio) “richieste e consegnate alle unità e ai team interni di Frontex”. Più di una mappa alla settimana, quindi, che potrebbe essere utilizzata anche nelle attività di controllo dei confini: l’Agenzia non ha ancora risposto su questo specifico punto ma è noto che le “unità” e i “team interni” comprendono anche le squadre di agenti che svolgono quell’attività, la più discussa di tutte. L’ufficio europeo antifrode (Olaf) ha infatti ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -ha spiegato Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona sul numero di aprile di Altreconomia-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Così anche la guida del nuovo direttore di Frontex Hans Leijtens, non ha fino ad oggi portato grandi novità: il confine più problematico, quello tra Grecia e Turchia, continua a vedere la presenza delle divise blu nonostante le ripetute violazioni denunciate da avvocati, attivisti e media. L’ultima in ordine di tempo è quella pubblicata a metà maggio dal New York Times che ha mostrato i video di un respingimento forzato di 12 persone (donne, minori e anche un neonato) che, una volta arrivate a Lesbo, in Grecia, a inizio aprile 2023 sono state caricate a forza su una nave della Guardia costiera greca e poi abbandonate alla deriva verso le coste turche. Una “pratica” illegale (già denunciata in passato) di cui Frontex era a conoscenza e rispetto alla quale tanto l’ex direttore esecutivo Leggeri quanto quello attuale non hanno mai preso una posizione netta. Proprio su quanto accade su quel confine, aveva spinto gli autori del rapporto Olaf a chiedere il ritiro degli agenti di Frontex dalla Grecia. Non è ancora avvenuto.

      Scene drammatiche, quelle dei respingimenti dalla Grecia verso la Turchia che avevano spinto a novembre 2022 il consiglio di amministrazione di Unito, basandosi proprio sulle conclusioni dell’Olaf, a chiedere ai colleghi del Politecnico di recedere dal contratto. Ma da Corso Duca degli Abruzzi i senatori avevano optato per mantenere in vita il contratto rivendicando la presenza della “clausola di rispetto dei diritti umani”. Una clausola che nella realtà obbliga esclusivamente i contraenti italiani di cui Frontex non è a conoscenza e soprattutto rispetto a cui non è chiaro come sia possibile monitorare l’utilizzo dei “prodotti” realizzati dall’Ateneo. Di fatto -lo specifica il contratto- una volta nelle mani dell’Agenzia, le mappe possono essere utilizzate senza dover rendere conto a chi le ha prodotte della loro destinazione d’uso.

      Intanto a Torino, proprio a partire dal “caso Frontex” un gruppo di docenti, ricercatori e studenti di entrambi gli Atenei (Unito e PoliTo) ha dato vita al gruppo “#Coordinamento_per_l’etica_nella_ricerca (Certo)” che si pone come obiettivo quello di “informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società” e “creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca”. “L’esperienza di Frontex ci ha dimostrato la necessità di creare spazi di dibattito sia all’interno della società sia dell’università sugli obiettivi della ricerca -spiega Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino-. Con l’obiettivo di renderla effettivamente libera e impedire che avvenga in settori o per obiettivi distanti o contrastanti con gli oggetti e i fini che devono connotare la ricerca pubblica. Quando ragioniamo di etica della ricerca pensiamo alla sua libertà, al suo pluralismo, ad un’ etica che non risponde a una qualsivoglia morale ma ai valori costituzionali del nostro Paese”.

      Il primo appuntamento organizzato da Certo dal titolo “Intorno al caso Frontex, l’università alle frontiere dell’etica”, a cui parteciperà anche Altreconomia, si svolgerà mercoledì 24 maggio alle 17 al Campus Luigi Einaudi di Torino. “Gli interessi universitari, legittimi, non possono tradursi in violazioni di diritti umani, come nel caso di Frontex -conclude Algostino-. Anche vista la direzione verso cui si muove il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che lega molto il tema della ricerca con la volontà di imprese e aziende serve individuare dei parametri chiari per monitorare quanto succede negli Atenei”.

      https://altreconomia.it/il-politecnico-di-torino-ha-rinnovato-laccordo-con-frontex-fino-a-giugn

    • Cartografia e potere: l’accordo tra Politecnico di Torino e Frontex

      Parliamo con Michele Lancione, professore ordinario di geografia politico-economica presso il Politecnico di Torino che ha denunciato l’accordo per la produzione di mappe e cartografie siglato tra la sua università e Frontex.

      A seguire ci confrontiamo con un compagno sul coinvolgimento delle università italiane nei programmi militari-industriali partendo dal caso specifico dell’Università di Tor Vergata di Roma.

      https://www.ondarossa.info/redazionali/2023/06/cartografia-e-potere-laccordo
      #podcast #audio #Tor_Vergata #Itaca #DIST #cartographie #cartographie_digitale #cartographie_thématique

    • Nasce #CERTO : #Coordinamento_per_l’Etica_nella_Ricerca, Torino

      Negli scorsi mesi, un gruppo di docenti, ricercatori/ricercatrici, studenti/studentesse del Politecnico e Unito ha iniziato a discutere dei temi legati all’etica della ricerca, stimolati dal dibattito pubblico su Frontex e dalle scelte e responsabilità dei due Atenei.

      Questo gruppo si è in seguito strutturato come Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino (CERTO) e ha elaborato un manifesto che oggi presentiamo. Il manifesto nasce dall’esigenza di allargare la riflessione a tutt* coloro che possono essere interessati.

      Per sottoscrivere il manifesto potete scrivere ad Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      COORDINAMENTO PER L’ETICA NELLA RICERCA, TORINO

      POLITO-UNITO

      CERTO (Coordinamento per l’Etica nella Ricerca, Torino) è un gruppo composto da docenti, studenti/studentesse e da persone che a vario titolo fanno parte delle due comunità accademiche di Politecnico e Università di Torino. Il Coordinamento ha a cuore la riflessione e la pratica di una ricerca e di una Università capaci di misurarsi con i problemi etici che sollevano, producono, affrontano e restituiscono non solo in ambito accademico ma anche in tutte le possibili declinazioni sociali, politiche, economiche e culturali.

      CERTO intende discutere pubblicamente i problemi che coinvolgono le scelte singole tutte le volte che ci si confronta con i fondamenti e le conseguenze etiche (etica intesa come proiezione dei valori costituzionali) che ogni approccio disciplinare contiene e produce, così come la condotta interna ai nostri luoghi di lavoro. La prospettiva non è ovviamente la restrizione dello spazio della libertà di ricerca, ma un confronto sulla coerenza etica della ricerca, anche per tutelare la sua effettiva libertà.

      CERTO nasce dal dibattito che in questi anni si è sviluppato intorno al ruolo e alle responsabilità di Frontex sia perché si tratta di una questione che investe le politiche e le coscienze di chi vive nello spazio europeo di fronte alle sfide dei processi migratori sia perché riguarda concretamente le scelte che le nostre due università hanno compiuto e dovranno compiere su questo terreno.

      CERTO ha due obiettivi. Il primo è informare con continuità le comunità accademiche di Polito e Unito e l’opinione pubblica sui temi più sensibili che investono l’Università, la ricerca, le collaborazioni, i finanziamenti e le sue proiezioni nella società, così che chiunque possa essere il più possibile consapevole delle implicazioni che le nostre attività comportano. Il secondo è creare momenti di incontro e di confronto sui temi etici che sono alla base del lavoro di ricerca e che, allo stesso tempo, emergono costantemente come sfide intellettuali e concrete da affrontare.

      CERTO inizia dunque il suo percorso proponendo un primo seminario, aperto a tutte e tutti, dal titolo Intorno al caso Frontex: l’Università alle frontiere dell’etica il giorno 24 maggio alle ore 17 (luogo da definire). Nelle settimane che precedono il seminario, questo blog ospiterà alcuni interventi riguardanti la questione Frontex, i problemi etici che comporta e il racconto di ciò che le nostre università hanno deciso fino a questo momento.

      Chi fosse interessato/ a partecipare alle attività di CERTO e sottoscrivere il manifesto può contattare Aurelia Martelli (aurelia.martelli@unito.it)

      Maria Chiara Acciarini (Università di Torino)

      Alessandra Algostino (Università di Torino)

      Patrizio Ansalone (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica – I.N.Ri.M.)

      Silvia Aru (Università di Torino)

      Alessandro Barge (Università di Torino)

      Danilo Bazzanella (Politecnico di Torino)

      Elisabetta Benigni (Università di Torino)

      Sandro Busso (Università di Torino)

      Elena Camino (Università di Torino)

      Alice Cauduro (Università di Torino)

      Marina Clerico (Politecnico di Torino)

      Alessandra Consolaro (Università di Torino)

      Cristina Cuneo (Politecnico di Torino)

      Pietro Deandrea (Università di Torino)

      Javier Gonzàlez Dìez (Università di Torino)

      Patrizia Ferrante (Università di Torino)

      Michele Lancione (Politecnico di Torino)

      Pietro Mandracci (Politecnico di Torino)

      Bruno Maida (Università di Torino)

      Beatrice Manetti (Università di Torino)

      Claudia Mantovan (Università di Padova)

      Chiara Maritato (Università di Torino)

      Aurelia Martelli (Università di Torino)

      Lorenzo Mauloni (Politecnico di Torino)

      Caterina Mele (Politecnico di Torino)

      Ivan Molineris (Università di Torino)

      Giuseppe Mosconi (Università di Padova)

      Chiara Occelli (Politecnico di Torino)

      Lia Pacelli (Università di Torino)

      Riccardo Palma (Politecnico di Torino)

      Norberto Patrignani (Politecnico di Torino)

      Silvia Pasqua (Università di Torino)

      Alessandro Pelizzola (Politecnico di Torino)

      Emilia Perassi (Università di Torino)

      Valeria Chiadò Piat (Politecnico di Torino)

      Raffaella Sesana (Politecnico di Torino)

      Massimo Zucchetti (Politecnico di Torino)

      https://coordinamentounito.wordpress.com/2023/04/26/nasce-certo-coordinamento-per-letica-nella-ricerca-tor

  • L’#Allemagne propose à la #Pologne des #patrouilles_conjointes

    L’Allemagne a proposé à la Pologne un renforcement des patrouilles conjointes à la frontière entre les deux pays. Cela pour faire face au nombre croissant de migrants qui y arrivent après être passés par le Bélarus.

    La présence des forces frontalières devrait être « sensiblement » accrue, a estimé le ministre allemand de l’Intérieur #Horst_Seehofer dans une lettre à son homologue polonais #Mariusz_Kaminski vue mardi par l’AFP.

    M. Seehofer s’est dit « préoccupé » par la hausse de l’afflux de migrants notamment en provenance « du Proche et du Moyen-Orient » passant par le #Bélarus et arrivant en Pologne puis en Allemagne.

    Le ministre allemand a proposé « d’accroître la proportion des forces de la police fédérale allemande » qui participent aux patrouilles conjointes, laissant aux forces polonaises le soin de gérer les migrants qui traversent la frontière directement en provenance du Bélarus.
    Frontex

    M. Seehofer a également proposé de faire appel à l’agence européenne de protection des frontières Frontex pour bénéficier de son aide.

    Selon des chiffres du ministère allemand de l’Intérieur rendus publics lundi, quelque 4500 personnes ont traversé depuis août la frontière entre la Pologne et l’Allemagne sans document les y autorisant.

    La Pologne a de son côté déployé 6000 soldats le long de la frontière avec le Bélarus pour tenter de stopper l’afflux de migrants, a déclaré mardi le ministre de la Défense Mariusz Blaszczak.
    Représailles de Minsk

    L’UE accuse le président du Bélarus Alexandre Loukachenko de faire venir des migrants du Moyen-Orient et d’Afrique à Minsk puis de leur faire passer les frontières de la Lituanie, de la Lettonie et de la Pologne en représailles des sanctions économiques et individuelles adoptées par l’UE.

    L’arrivée massive de migrants traversant illégalement la frontière orientale de l’UE avec le Bélarus a pris de court des pays qui ne sont pas habitués à gérer un afflux massif de clandestins.

    La Pologne a été accusée par les ONG humanitaires de pratiquer des refoulements de migrants à la frontière avec le Bélarus. M. Seehofer abordera ce sujet mercredi à une réunion du gouvernement.

    https://www.bluewin.ch/fr/infos/international/l-allemagne-propose-la-pologne-des-patrouilles-conjointes-930954.html

    #patrouilles_mixtes #asile #migrations #réfugiés #Balkans #frontières #contrôles_frontaliers #Biélorussie

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    ajouté à la métaliste sur les patrouilles mixtes :
    https://seenthis.net/messages/910352

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    voir aussi la métaliste sur la situation à la frontière entre la #Pologne et la #Biélorussie (2021) :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • à propos des refoulements à la frontière Polonaise, voir le message passé sur la newsletter d’octobre de Tous migrants :
      https://tousmigrants.weebly.com/octobre-20211.html

      Le même jour, nous recevons un appel de détresse sur Facebook d’un exilé coincé à la frontière entre la Biélorussie et la Pologne. Depuis plusieurs semaines, des personnes sont prises en étau dans la zone frontalière entre les deux pays, privés d’assistance et sans aucune issue[1]. L’Union européenne et la Pologne accusent Minsk d’orchestrer l’arrivée des personnes migrantes en réaction aux sanctions économiques infligées au pays au mois de juin. Cette instrumentalisation des flux migratoires menace la vie d’au moins 180 personnes, dont 26 enfants (selon l’ONG Watch the Med) et certaines sont déjà mortes. Comment l’Union européenne peut-elle tolérer que des humains meurent à sa frontière, sans agir ? Comment est-ce possible qu’un homme désespéré qui se trouve de l’autre côté de l’Europe à des milliers de kilomètres de nous, nous interpelle directement ?

      « Bonjour ! Nous vous écrivons via ce canal car nous sommes en situations de détresses. Nous sommes plus de 4000 migrant présentement coincés dans la frontière de la Pologne sans issu. Nous sommes sans secours, abandonnés à notre propre sort, en pleine forêt, sans nourriture, et sans aide d’aucune forme. Nous comptons déjà des morts dans nos rangs. Sans aucune aide nous allons tous périr. De grâce portez notre message de désespoir plus haut afin que l’union européenne soit au courant de ce qui se passe ici. Les journalistes n’ont pas accès, ni les médias et ONG. Les militaires polonais récupèrent nos téléphones et nous rejettent à la zone neutre sans secours et en pleine nuit sous le froid. Svp aidez-nous nous périssons à petit feu. »

      #Pologne #Frontex #Biélorussie

  • Le ministère de l’Intérieur ressort le système intégral de surveillance extérieur pour "répondre à l’augmentation des arrivées en pateras et cayucos. Il s’agit d’un #radar qui doit détecter les embarcations. Il n’a pas servi depuis 6 ans et dont le fonctionnement reste à confirmer.

    Interior acelera la instalación del #SIVE arrinconado seis años en #Lanzarote

    El Ministerio contrata de urgencia la obra de la estación sensora en Haría por 226.417 euros | El Ayuntamiento confía en que no sea en el #Mirador_de_Guinate

    El Ministerio del Interior acelera en la instalación de una nueva estación sensora completa del #Sistema_Integral_de_Vigilancia_Exterior (SIVE), en Lanzarote, que albergará el radar comprado hace seis años por 5,6 millones de euros y que lleva arrinconado en un almacén de la Guardia Civil en la Isla desde entonces, pese al aumento de la llegada de pateras y cayucos. Las obras fueron adjudicadas el pasado 30 de julio a la empresa Atos IT Solutions and Services Iberia SL por 226.417 euros, después de que el Ministerio del Interior declarara el pasado noviembre de urgencia la instalación de este radar en el Mirador de Guinate en Haría, pero el Ayuntamiento de Haría y el Cabildo de Lanzarote emitieron informes desfavorables a este enclave e hicieron una nueva propuesta para que esta estación se colocara a tan solo 20 metros del Mirador de Guinate. Y por ello , aunque se adjudicó el julio con una ejecución de tres meses, con lo que debe estar terminado en noviembre, el pasado martes en el Consejo de Ministros volvió a declarar de urgencia este SIVE, interpreta el Ayuntamiento de Haría. El segundo teniente de alcalde y concejal de Oficina Técnica de este consistorio, Víctor Robayna, considera que Interior ha aceptado el cambio de enclave y por eso ha hecho esta nueva declaración. Desde el Ministerio no aclaran si es por este motivo o si seguirá en el Mirador de Guinate.

    Al ser una obra de urgencia pueden ubicarla donde quieran sin necesidad de licencia municipal. El Ministerio pretendía instalar el SIVE en el Mirador del Río, y ante la oposición de las instituciones de Lanzarote propuso el Mirador de Guinate.

    Según el proyecto de Interior, la estación sensora del SIVE consiste en la instalación de una caseta de obra para alojar el radar, un pequeño mástil para la cámara optrónica y otro para las comunicaciones. Los equipos necesarios se ubicarán en una caseta de obra de tres metros de altura y 6x3 metros de planta aproximadamente y se integrará totalmente en el paisaje. El problema, según el Ayuntamiento de Haría, es el vallado perimetral de seguridad de esta estación con unos 17 metros por 7 metros medio del Mirador de Guinate «lo que provocará que sea invisitable en el futuro», indica Víctor Robayna.

    «Hemos ido con el contratista cinco veces y alegan que para cambiar esos veinte metros debían pedir otra declaración de urgencia que entendemos que es la que se ha aprobado el pasado martes en Consejo de Ministros», expone. En su defensa del Mirador de Guinate ante el Ministerio, el Ayuntamiento de Haría les explicó que este enclave se sitúa al Noroeste de la isla de Lanzarote y es emblemático por sus vistas hacia el Archipiélago Chinijo, y estar cerca de unas de las rutas más importantes de la denominada Bajada del Risco.

    Está ubicado entre dos espacios protegidos: el del Archipiélago Chinijo y el Espacio Natural Malpaís de la Corona, y es ruta de visitantes que se paran a observar las impresionantes vistas. El Ayuntamiento considera absolutamente necesario contar con el SIVE en esta zona de Lanzarote, para ayudar a paliar las desgracias en el mar con la detección de pateras y cayucos , pero justo al lado del mirador hay una estación transformadora de telecomunicaciones, mimetizada con el espacio, lo que supondría simplemente desplazarlo unos 20 metros. Colocar el SIVE junto a ella evitaría perder la totalidad el espacio tan emblemático como es el Mirador de Guinate.

    La implantación del radar se ha ralentizado sobremanera y afecta al Gobierno de Mariano Rajoy, que compró el radar en 2015 por 5,5 millones de euros y se frenó su instalación porque lo querían poner en el Mirador del Río, y por problemas burocráticos, y al Gobierno de Pedro Sánchez, que lleva en el poder tres años, afirma Sergio Ramos, senador del PP.

    Tanto Robayna, (CC) como Ramos creen de imperiosa necesidad instalar el radar del SIVE, pero temen que el aparato se haya deteriorado o quedado desfasado al estar seis años empaquetado.

    En cualquier caso, después de dos años presentado mociones en el Senado , Ramos celebra que se vaya a ejecutar la instalación y espera que no se vuelva a demorar para que el radar cubra esta zona de la Isla. Expone que es cierto que el PP lo compró y no lo instaló, pero recuerda que entre 2015 y 2018 prácticamente no había embarcaciones. La oleada fuerte se produjo en 2020, con 23.023 migrantes y en este año ya van por unos 12.000. Solo en el fin de semana pasado llegaron a Lanzarote unos 550 migrantes en 18 pateras.

    Sergio Ramos ha presentado una moción en el Senado pidiendo 1a instalación de un destacamento de la Guardia Civil en la Isla de La Graciosa, debido al incremento de llegadas de pateras provenientes de la costa africana y dotar a la Guardia Civil, Policía Nacional y Salvamento Marítimo de un mayor número de medios humanos y materiales, para hacer frente a la llegada de pateras a todas las Islas Canarias.

    Sostiene que cuando llega una patera a La Graciosa solo cuentan con los medios de un policía local, un operario municipal y dos auxiliares de ambulancia. Cruz Roja no se desplaza a esta Isla, y al no haber instalaciones para acogerlos se trasladan en los barcos para el transporte de pasajeros sin tener prueba realizada de PCR y con la única compañía de un policía local.

    https://www.laprovincia.es/canarias/2021/10/02/interior-acelera-instalacion-sive-arrinconado-57923629.html

    #migrations #surveillance #asile #migrations #réfugiés #Espagne #Canaries #contrôles_frontaliers #frontières #complexe_militaro-industriel #militarisation_des_frontières

  • Ces #murs de #sable qui surgissent au #Sahara

    Construire des murs ou des clôtures pour protéger un territoire ou garder des frontières est une pratique courante à travers le monde. Elle s’étend désormais au continent africain pour entraver les flux migratoires. En toute discrétion, du #Maroc au #Niger en passant par l’#Algérie, les autorités érigent des #parois_de_sable, lourdement gardées par des policiers et des militaires, et surveillées par des caméras.


    https://www.monde-diplomatique.fr/2021/10/journal#!/p_14
    https://www.monde-diplomatique.fr/2021/10/CARAYOL/63629
    #barrières #barrières_frontalières #murs_de_sable #surveillance_des_frontières #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #anti-migrants #anti-terrorisme

    via @rhoumour
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  • #Tunisie - #Blocage du #port de #Zarzis en signe de #protestation contre les #garde-côtes_libyens.

    Depuis une semaine, les #pêcheurs membres de l’association #Zarzis_Le_Pêcheur - #Al_Bahar (de la ville côtière de Zarzis au sud-est de la Tunisie, à la frontière avec la Libye) bloquent leur #port_de_pêche et lancent un #appel urgent à l’aide aux autorités tunisiennes. Comme expliqué dans un communiqué, les petits pêcheurs demandent aux autorités tunisiennes de les protéger et de les secourir pour ce qu’ils décrivent comme des actes de #piraterie commis par les garde-côtes libyens dans les eaux territoriales et la zone de recherche et de sauvetage (#SAR) de la Tunisie.

    Les pêcheurs de Zarzis travaillent dans les #eaux_internationales entre l’Italie, la Tunisie et la Libye. Bien avant les révolutions de 2011, ils secourent en mer les personnes migrantes parties depuis la Libye dans des bateaux surchargés et délabrés. L’#enlèvement de pêcheurs tunisiens (et autres) par divers groupes armés libyens, souvent afin d’obtenir un rançon, n’est pas un phénomène nouveau. Récemment, cependant, les #enlèvements avec armes à feu, les #détournements_de_bateaux et les demandes de #rançon ont augmenté. Depuis cet été, les garde-côtes libyens - notamment de #Zawiya, selon les pêcheurs de Zarzis - opèrent dans la zone de Sar et dans les #eaux_territoriales_tunisiennes pour intercepter et renvoyer les migrants en Libye, comme convenu avec l’Italie et l’Union européenne. Des bateaux des garde-côtes libyens ont également été repérés dans d’autres localités tunisiennes plus au nord, près de la ville de #Mahdia.

    À la suite de ces attaques, les pêcheurs hésitent de plus en plus à divulguer leur emplacement pour signaler les bateaux en difficulté, de peur d’être également kidnappés à l’arrivée des soi-disant garde-côtes libyens. Les pêcheurs demandent l’aide des ONG pour porter secours en Méditerranée et la protection de l’Etat tunisien. Nous publions ci-dessous le communiqué de l’Association Zarzis Le Pêcheur - Al Bahar, traduit par Issameddinn Gammoudi et Valentina Zagaria.

    Pêcheurs de Zarzis : le secteur de la pêche est en train de mourir à cause d’un #accord_international injuste et de l’absence d’une politique nationale

    Les pêcheurs de Zarzis souffrent constamment, non seulement en raison de l’insuffisance des infrastructures portuaires, de la faiblesse de l’assistance, des répercussions de la situation politique dans les pays voisins, de la dégradation de l’environnement et de son impact sur la vie marine, mais aussi en raison des récentes opérations de piraterie et des #menaces armées contre les pêcheurs tunisiens dans les #eaux_territoriales_tunisiennes, commises par des hommes armés se réclamant des garde-côtes libyens. Ces pratiques sont devenues fréquentes, notamment l’enlèvement de personnes, la saisie illégale de bateaux et la négociation de rançons.
    En tant qu’association qui défend les intérêts professionnels légitimes et communs des pêcheurs, nous lançons un appel aux autorités, sous la direction de la Présidence de la République, pour qu’elles interviennent d’urgence et résolvent cette crise qui non seulement menace la continuité de la pêche mais s’est transformée en une violation de la souveraineté nationale :

    – Nous considérons les structures du ministère de l’agriculture, du ministère des affaires étrangères, du ministère de la défense et de la présidence du gouvernement pour responsables de la situation catastrophique produite par l’accord signé entre l’Union européenne, Malte, la Tunisie et la Libye. Nous considérons également que cet accord constitue une violation de la souveraineté nationale de l’État tunisien sur son territoire maritime, qui a imposé des restrictions injustes aux pêcheurs tunisiens, contrairement à leurs homologues des pays voisins.
    – Nous demandons à la marine tunisienne et à la garde maritime nationale tunisienne de jouer leur rôle en protégeant les navires de pêche tunisiens qui ont également été attaqués dans les eaux territoriales tunisiennes par des groupes se réclamant des garde-côtes libyens.
    – Nous considérons les structures étatiques en charge du contrôle de la pêche aveugle et interdite responsables de la faible rentabilité et exigeons le respect du droit à une vie digne des pêcheurs tunisiens du sud-est du pays.
    – Nous appelons à une action urgente de toutes les autorités concernées pour protéger les bateaux tunisiens et les marins tunisiens dans le territoire maritime tunisien, une protection qui devrait être la composante la plus fondamentale de l’autorité de l’État sur son territoire.

    La crise mondiale et ses répercussions s’ajoutent à toutes ces circonstances, qui ont contribué à la détérioration de l’activité de pêche dans la région et nous obligent à lancer un appel à l’aide pour tenter de préserver la durabilité du secteur à Zarzis et dans tout le sud-est du pays.

    Association Zarzis Le Pêcheur - Al Bahar pour le développement et l’environnement
    Slaheddine Mcharek, Président

    Version originale en italien :
    https://www.globalproject.info/it/mondi/tunisia-blocco-del-porto-di-zarzis-in-protesta-contro-la-guardia-costiera-libica/23667

    –-> traduction reçu via la mailing-list Migreurop, le 15.09.2021

    #migrations #asile #réfugiés #externalisation #frontières #Italie #UE #EU #contrôles_frontaliers

    ping @rhoumour @isskein @_kg_

  • Les réfugié.e.s afghan.e.s bloqué.e.s à la frontière turque ont besoin de la protection de l’UE

    Alors que les ministres de l’intérieur de l’UE se réunissent aujourd’hui pour discuter de la situation en Afghanistan et des personnes afghanes déplacées, il est urgent de fournir aux Afghan.e.s une protection et une aide immédiates dans les pays de transit et au sein de l’UE. Au lieu de cela, ils.elles sont coincé.e.s dans les limbes à la frontière turque.

    Depuis juin 2021, des centaines de réfugié.e.s – dont des Afghan.e.s – qui tentaient de passer dans la région turque de #Van, à la frontière avec l’#Iran, ont été détenu.e.s par les forces de sécurité turques. Des itinéraires dangereux utilisés par les passeurs ont été réactivés entre la région de Van et Istanbul, à travers le lac de Van et l’autoroute Tatvan, entraînant des incidents mortels, des noyades et des risques accrus de violences sexuelles. La Turquie a accéléré la construction d’un #mur destiné à couvrir l’ensemble des 295 km de sa frontière avec l’Iran. Le mur sera équipé de mesures de sécurité, telles que des tours de guet, des caméras thermiques, des radars et des capteurs. De plus, le ministre turc de l’Intérieur a envoyé 35 équipes chargées des opérations spéciales et 50 véhicules armés en renfort aux soldats qui patrouillent le long de la frontière et empêchent les réfugié.e.s d’accéder au territoire. En une seule opération, en juillet 2021, plus de 1.400 Afghan.e.s ont été refoulé.e.s vers l’Iran par les gardes-frontières et la police militaire turcs. Le 19 août 2021, le Président turc Tayyip Erdogan déclarait que la Turquie ne deviendrait pas « l’unité de stockage des migrants de l’Europe ».

    Les réfugié.e.s afghan.e.s sont victimes de graves défaillances en matière de de protection en Turquie : ils.elles n’ont droit ni à une protection au titre de la Convention de Genève de 1951, ni à aucune « protection temporaire » comme les Syrien.ne.s. Selon des rapports internationaux, entre 2018 et 2019, au moins 53.000 ressortissant.e.s afghan.e.s auraient été expulsé.e.s de Turquie. Par ailleurs, les tensions au sein des communautés d’accueil, les attaques racistes et crimes de haine contre les réfugié.e.s se sont intensifiées. La récente déclaration du ministre grec des migrations, Notis Mitarachi, visant à considérer la Turquie comme un pays « sûr » pour les demandeurs.ses d’asile originaires de Syrie, d’Afghanistan, du Pakistan, du Bangladesh et de Somalie, est extrêmement inquiétante. Cela entraînera l’accélération des retours forcés d’Afghan.e.s ayant besoin de protection, des îles grecques vers la Turquie.

    #Grèce et #Bulgarie renforcent aussi le contrôle aux frontières

    La Grèce, elle aussi, a récemment achevé la construction d’un mur de 40 km à sa frontière avec la Turquie et mis en place un nouveau système de surveillance pour dissuader les demandeurs.ses d’asile potentiel.le.s de tenter de rejoindre l’Europe. La Grèce a adopté des politiques migratoires et d’asile abjectes, se traduisant par des détentions massives, des retours, des conditions d’accueil déplorables sur les îles grecques et la criminalisation d’ONG travaillant avec les migrant.e.s et les réfugié.e.s. À l’autre frontière de l’UE avec la Turquie, la Bulgarie renforce également les contrôles pour empêcher les migrant.e.s d’entrer sur son territoire, en envoyant 400 soldats aux frontières avec la Turquie et la Grèce. Résultat : depuis le début de l’année 2021, 14.000 migrant.e.s ont été arrêté.e.s.

    D’autres États membres et l’UE elle-même développent un discours qui soutient cette approche. Le Président français, Emmanuel Macron, affirme que « nous devons nous protéger contre les grands flux migratoires irréguliers », tandis que le Président du Conseil européen, Charles Michel, insiste sur la détermination de l’UE à maintenir « les frontières de l’UE protégées ».

    Dans ce contexte, l’Union européenne et ses États membres devraient plutôt déclencher d’urgence la Directive sur la protection temporaire – comme mentionné par le Haut Représentant Josep Borrell – afin d’offrir une protection immédiate aux réfugié.e.s afghan.e.s et d’harmoniser le degré de protection reconnu à ces derniers. Les taux de reconnaissance varient considérablement en Europe. Les États membres de l’UE devraient aussi tenir leurs promesses de réinstallation, faciliter les procédures de regroupement familial et intensifier les voies légales pour offrir à tou.te.s les réfugié.e.s, y compris celles et ceux qui sont le plus en danger comme les femmes et les personnes LGBTIQ+, un accueil adéquat, un accès à l’asile et aux droits fondamentaux.

    https://euromedrights.org/fr/publication/les-refugie-e-s-afghan-e-s-bloque-e-s-a-la-frontiere-turque-ont-besoi

    #Turquie #réfugiés #réfugiés_afghans #Afghanistan #asile #migrations #réfugiés #frontières #frontières_fermées #fermeture_des_frontières #murs #barrières_frontalières #militarisation_des_frontières #contrôles_frontaliers

    • Le Président français, Emmanuel Macron, affirme que « nous devons nous protéger contre les grands flux migratoires irréguliers », tandis que le Président du Conseil européen, Charles Michel, insiste sur la détermination de l’UE à maintenir « les frontières de l’UE protégées ».

  • France asks Frontex to guard Europe’s northern coastline too

    French Interior Minister Gerald #Darmanin said he has asked the European Union border agency Frontex not to neglect Europe’s northern coastline in the fight against illegal immigration.

    “I myself have contacted Frontex, which is predominantly taking care of southern Europe, and asked them to deal with northern Europe, too, particularly the coastline of Nord-Pas-de-Calais,” he told reporters on Saturday during a visit to the port of Calais in northern France, a point from which many migrants try to cross the Channel to reach Britain.

    “Sixty percent of migrants who come here, come via Belgium. So, our spectrum must be very wide. We need European air surveillance,” Darmanin said.

    Since the end of 2018, an increasing number of migrants have tried to cross the Channel to Britain, defying warnings from the authorities of the dangers of such a journey, given the high density of traffic, the strong sea currents and the cold temperatures.

    Darmanin welcomed a deal reached last week by France and Britain, under which London has pledged just under 63 million euros in 2021-2022 to help France stem the flow of illegal migrants crossing the Channel.

    France has promised to beef up security forces along the coast.

    “We already have more than 5,000 police officers and gendarmes in Pas-de-Calais, a large number of whom are involved in the fight again immigration. We will increase these numbers,” Darmanin said.

    On Sunday, eighty migrants, including 20 children, were rescued as they tried to reach England in two separate boats, French authorities said.

    https://twitter.com/premarmanche/status/1419295052535324674

    Rescue services were first contacted “by a boat of migrants reporting difficulties”, then by a merchant ship which informed them “of another boat of migrants adrift to the north of Calais”, the Channel maritime prefecture said in a statement.

    A patrol boat was then sent to the scene which rescued 80 people from the two boats.

    In total, “80 shipwrecked people (42 men, 18 women, including one pregnant woman, and 20 children) were brought to the port of Calais. They are all safe and sound”.

    French gendarmes also discovered 52 migrants early Sunday morning on a beach in Dannes, also in the north of the country. They had returned to land after an “engine failure” of their boat, the prefecture of Pas-de-Calais told the news agency AFP.

    Last year, more than 9,500 crossings or attempted crossings were recorded, four times as many as in 2019, according to the French authorities.

    Out of these, six people died and three were reported missing last year, compared with four deaths in 2019.

    https://www.rfi.fr/en/france/20210726-france-asks-frontex-to-guard-europe-s-northern-coastline-too

    #France #Calais #Frontex #frontières #asile #migrations #réfugiés #militarisation_des_frontières #contrôles_frontaliers #UK #Angleterre

  • Dalla frontiera alpina del Nord-ovest (valle di Susa)

    La situazione alla frontiera nord-ovest in Alta Valle di Susa, dove da mesi #MEDU sta monitorando le condizioni di vita e il rispetto dei diritti umani di uomini, donne e bambini provenienti principalmente dalla rotta balcanica e in transito verso la Francia, è prossima a un collasso programmato che si scarica soprattutto sui più vulnerabili.
    Le principali criticità:
    –Sul versante italiano il sistema di accoglienza si è in pochi mesi ridotto radicalmente. La casa occupata #Chez_Jesuoulx è stata sgomberata il 23 di marzo con procedimenti giudiziari a carico degli attivisti. Il rifugio #Fraternità_Massi ha dovuto sobbarcarsi in toto l’accoglienza con costante sovraffollamento, rischi sanitari e ritmi di lavoro per gli operatori anche di 24 ore. Il finanziamento del progetto di accoglienza, pur approvato, non è mai arrivato. Il risultato è stato che dopo qualche giorno a marzo di apertura 24 ore per tutti, poi l’accoglienza diurna è stata limitata ai più vulnerabili ed infine cancellata. Gli spazi per le famiglie, affittati ai salesiani, troppo onerosi, sono stati definitivamente restituiti. Donne, uomini, bambini, sono costretti a rimanere per strada durante le ore diurne, senza alcun tipo di assistenza e accesso ai servizi essenziali.
    Per converso, in questi mesi è sorto uno spazio aperto a #Claviere che ha svolto il ruolo di presidio solidale in frontiera con cucine ed attenzione medica anche grazie al contributo di #No_Nation_Truck. Il 30 di luglio tale presidio ha cercato di radicarsi con l’occupazione della ex dogana, sgomberata dopo 5 giorni, aprendo la strada a nuovi procedimenti giudiziari.
    Dall’altra parte della frontiera, in Francia, le #Refuge_solidaire ha chiuso i battenti, sfrattato dalle istituzioni, oberato da presenze ormai ingestibili, anche per l’impossibilità di garantire le necessarie misure anti-Covid.
    Le persone in transito sono strette in una morsa da entrambi i lati della frontiera.
    Il clima di criminalizzazione della solidarietà è accompagnato anche da cambiamenti nelle pratiche di controllo da parte delle forze dell’ordine. Dal 20 di luglio al 10 di agosto la polizia è intervenuta un giorno ogni due alle partenze degli autobus a #Oulx per identificare, trasferire alla caserma di #Bardonecchia per schedatura #eurodac e per dissuadere con minacce coloro che erano in partenza. Tre volte è entrata al rifugio Fraternità Massi per portare famiglie a Bardonecchia per identificazione e consegna di fogli di espulsione o per obbligo a presentarsi in questura sotto minaccia di possibile arresto. Non siamo di fronte a prassi irregolari, ma certamente a un cambiamento di atteggiamento che sembrerebbe invalidare quelle prassi concordate a livello inter-istituzionale per cui il rifugio era un luogo neutro, libero da ordinari controlli .
    Di fronte a questo quadro di assenza programmata delle istituzioni, di repressione verso le pratiche di solidarietà, di contrasto agli ingressi e transiti, i flussi crescono e cresceranno sia dai Balcani sia dalla rotta del Mediterraneo centrale. Il compito di stare affianco alle persone in transito ricade su volontari e società civile, esposti per questo al rischio costante di essere denunciati . Il costo di questo atteggiamento pubblico peraltro inefficace quanto crudele, ricade soprattutto sui più vulnerabili, donne, bambini, offesi, quelli che a parole si dichiara sempre pietisticamente di difendere.

    https://mediciperidirittiumani.org/dalla-frontiera-alpina-del-nord-ovest-valle-di-susa
    #Briançon #frontière_sud-alpine #Suse #vallée_de_Suse #Italie #France #frontières #criminalisation #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #criminalisation_de_la_solidarité #Chez_Jésoulx

    –-

    ajouté à la métaliste sur le Briançonnais :
    https://seenthis.net/messages/733721

    Et plus précisément ici :
    https://seenthis.net/messages/733721#message925945

    • La frontiera alpina del nord ovest

      Approfondimento monografico di Piero Gorza (antropologo e responsabile MEDU Piemonte)

      Continua l’azione di cura e testimonianza di Medici per i diritti umani (MEDU) sulla frontiera alpina nord-occidentale. Poche settimane fa è stato pubblicato un rapporto sulle attività svolte dal team clinico di MEDU a Oulx nei primi quattro mesi del 2022, nell’ambito del progetto “Frontiera solidale” (link al rapporto).

      Il rapporto descrive le difficoltà affrontate dalle persone in fuga lungo il cammino, tra cui numerose famiglie con neonati e minori non accompagnati. Sono stati riscontrati e denunciati i respingimenti messi in atto in maniera sistematica dalle autorità francesi, molto spesso anche nel caso di minori. Il rapporto si chiude con delle raccomandazioni e con la richiesta alle istituzioni italiane ed europee di tutelare i diritti fondamentali delle persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e in particolare nelle zone di frontiera, a prescindere dalla loro condizione giuridica.

      Oggi pubblichiamo un approfondimento monografico (https://mediciperidirittiumani.org/medu/wp-content/uploads/2022/06/La-frontiera-alpina-del-Nord-Ovest-23-giugno.pdf), firmato dall’antropologo e referente di Medu Piemonte Piero Gorza.

      Piero Gorza ci consegna un’analisi che si snoda attraverso oltre un anno di ricerca e attivismo solidale, da gennaio 2021 ad aprile 2022. Ricorrendo a dati, approfondimenti e testimonianze ci fa conoscere la vita dei migranti che giungono ad Oulx dopo anni di viaggio, il loro “abitare il cammino”, e offre uno sguardo sulle politiche di frontiera e sulle responsabilità dei diversi attori coinvolti nella promozione o violazione dei diritti umani.

      Piero ci invita a ripensare la dimensione del cammino: “Un viaggio che può essere descritto come un abitare il cammino ossia come una dimensione che non può essere pensata come un trasferimento tra un polo di fuga e uno d’attrazione, ma come un tempo dell’esistenza capace di modellare personalità e favorire cambiamenti relazionali”.

      Ne è un esempio la storia del ragazzo curdo iracheno partito dal Kurdistan a dodici anni e arrivato a Oulx con la sua famiglia all’età di diciotto anni: “la sua adolescenza, o forse sarebbe meglio dire la sua scuola, è stata il cammino”.

      Con uno sguardo sempre vicino alle persone e alle loro storie questo approfondimento permette di addentrarsi nella complessità della frontiera, non solo quella dell’Alta Valle di Susa, ma anche di quelle attraversate prima di arrivare in Italia. Un documento importante che contribuisce a fare luce su un fenomeno sociale e umano che riguarda tutti noi.

      https://mediciperidirittiumani.org/la-frontiera-alpina-del-nord-ovest

  • Slovenia is planning to set up mixed patrols along the border with Croatia, where police officers from other EU member states would also patrol the border together with the Slovenian ones.

    –-> info reçue (avec lien ci-dessous) via la mailing-list Inicijativa Dobrodosli, mail du 07.04.2021

    Slovenija planira mješovite policijske patrole na granici s Hrvatskom

    Još nema službene hrvatske reakcije na slovensku najavu da će zbog pojačanih nelegalnih prijelaza migranata na granicu sa Hrvatskom postaviti mješovite patrole u kojima bi uz slovenske bili i policajci drugih država članica EU.

    Kako su naveli u slovenskoj Vladi, Slovenija se opet našla pred migracijskim pritiskom i nezakonitim prijelazima državne granice koji se ne smanjuje unatoč naporima slovenske policije i njenog djelovanja na granici s Hrvatskom, koja je i vanjska granica Schengena, i mješovite policijske patrole odgovor su na to.

    Mješovitim patrolama zapovijedali bi slovenski policajci, a ne navodi se koje bi druge države članice Europske unije slale svoje ljude u te patrole.

    Iz hrvatskog Ministarstva unutarnjih poslova do objavljivanja ovog teksta nisu odgovorili na upit Radija Slobodna Europa (RSE) o stanju na granici.
    U Hrvatskoj tvrde drugačije

    Međutim, zapovjednik policijske Antiterorističke jedinice “Lučko”, koja je također raspoređena na granici, Mate Bilobrk kazao je kako nema pojačanog pritiska migranata.

    “Mislim da je pritisak puno manji nego prošlih godina”, izjavio je Bilobrk 31. ožujka u razgovoru za Hrvatsku radio-televiziju (HTV).

    Nevladine udruge također nemaju informacije o nekom pojačanom pritisku migranata na hrvatsku granicu, ali podsjećaju da se ne mijenjaju uzroci prisilnih migracija, pa se ne može očekivati da se one same od sebe zaustave.

    “Jedina je promjena u većem broju obitelji koje su nakon požara pobjegle iz izbjegličkog kampa Moria u Grčkoj, koje se sada nalaze u Bosni i pokušavaju doći do Hrvatske i zatražiti azil, ali posljednjih tjedana nema nekog povećanja ukupnih brojeva”, kaže za RSE Sara Kekuš iz zagrebačke nevladine udruge Centar za mirovne studije (CMS).

    “Očito je ova odluka slovenske Vlade smišljena s ciljem da se zaustave migracije prema Sloveniji, tako da ta odluka ne čudi. Međutim, slovenska Vlada mora biti svjesna vlastite odgovornosti u međunarodnom kontekstu i toga da nikome ne može ograničiti pravo na traženje međunarodne zaštite, pa makar to bilo i na samoj granici. A znamo da – dok god ne uspostavimo neke sigurne i legalne putove - da će ljudi i dalje prelaziti granice nezakonitim putevima u potrazi za sigurnošću”, poručuje Sara Kekuš.

    Ona je podsjetila da se već godinama svjedoči lančanim protjerivanjima migranata iz Slovenije u Hrvatsku pa onda dalje u BiH, gdje to protjerivanje nužno ne staje.

    “Znamo i da su slovenske vlasti dugo vremena koristile readmisijske ugovore kao izgovor za zakonito protjerivanje ljudi u Hrvatsku, iako su im zapravo istovremeno onemogućavali pristup azilu i na taj način kršili njihova prava”, podsjeća Sara Kekuš.
    Reagiranje u pandemiji

    Sigurnosni analitičar Branimir Vidmarović sa Sveučilišta “Juraj Dobrila” u Puli kaže za RSE kako ovaj slovenski potez valja razumjeti kao legitimnu brigu za vlastitu sigurnost u kontekstu krize uzrokovane pandemijom.

    “Ako su slovenski obavještajci u suradnji sa drugim sigurnosnim službama dobili dojavu da se možda očekuje pojačani val migranata ili nova najava, onda je ovakva reakcija prevencijska i sasvim razumljiva, budući da nijedna zemlja sada, u osjetljivoj fazi procedure cijepljenja, ne bi htjela pritok ljudi iz područja za koje se apriori zna da su ranjivija, osjetljiva, u smislu pandemije nezaštićenija i da predstavljaju rizik”, procjenjuje Vidmarović.

    U slovenskoj Vladi kažu kako takvu suradnju policija omogućuje zaključak Vijeća EU iz 2008. o produbljivanju prekogranične suradnje, osobito na području borbe protiv terorizma i prekograničnog kriminala.

    Prema članku 17. te europske direktive mogu se formirati zajedničke ophodnje i poduzeti druge mjere djelovanja radi očuvanja javnog reda i sigurnosti, te zbog suzbijanja kaznenih djela, pojasnilo je slovensko Ministarstvo unutarnjih poslova.

    Slovenija i Hrvatska nalaze se na tzv “balkanskoj”migrantskoj ruti od Grčke preko Srbije, Crne Gore i Bosne i Hercegovine do zapadnoeuropskih zemalja, nakon što je Mađarska na svoje granice prema Srbiji i Hrvatskoj postavila visoke žičane ograde.

    Nevladine udruge opetovano su upozoravale da slovenska i pogotovo hrvatska policija pribjegavaju ilegalnim “push-backovima” migranata, odnosno njihovom prisilnom vraćanju u državu za koju vjeruju da su iz nje došli – Hrvatsku, odnosno BiH.

    Nevladine udruge smještene u izbjegličkim kampovima u sjeverozapadnom dijelu BiH dostavile su medijima u više navrata i video zapise za koje tvrde da prikazuju migrante koje je zaustavila, istukla i vratila u BiH hrvatska policija, nakon što su pokušalno ilegalno ući u Hrvatsku.

    Hrvatska policija odbija ove optužbe.

    https://www.slobodnaevropa.org/a/slovenija-planira-mje%C5%A1ovite-policijske-patrole-na-granici-s-hrvatskom/31182152.html

    #patrouilles_mixtes #Slovénie #Croatie #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #frontières #contrôles_frontaliers

  • ‘They can see us in the dark’: migrants grapple with hi-tech fortress EU

    A powerful battery of drones, thermal cameras and heartbeat detectors are being deployed to exclude asylum seekers

    Khaled has been playing “the game” for a year now. A former law student, he left Afghanistan in 2018, driven by precarious economic circumstances and fear for his security, as the Taliban were increasingly targeting Kabul.

    But when he reached Europe, he realised the chances at winning the game were stacked against him. Getting to Europe’s borders was easy compared with actually crossing into the EU, he says, and there were more than physical obstacles preventing him from getting to Germany, where his uncle and girlfriend live.

    On a cold December evening in the Serbian village of Horgoš, near the Hungarian border, where he had spent a month squatting in an abandoned farm building, he and six other Afghan asylum seekers were having dinner together – a raw onion and a loaf of bread they passed around – their faces lit up by the glow of a fire.

    The previous night, they had all had another go at “the game” – the name migrants give to crossing attempts. But almost immediately the Hungarian border police stopped them and pushed them back into Serbia. They believe the speed of the response can be explained by the use of thermal cameras and surveillance drones, which they had seen during previous attempts to cross.

    “They can see us in the dark – you just walk, and they find you,” said Khaled, adding that drones had been seen flying over their squat. “Sometimes they send them in this area to watch who is here.”

    Drones, thermal-vision cameras and devices that can detect a heartbeat are among the new technological tools being increasingly used by European police to stop migrants from crossing borders, or to push them back when they do.

    The often violent removal of migrants without giving them the opportunity to apply for asylum is illegal under EU law, which obliges authorities to process asylum requests whether or not migrants possess identification documents or entered the country legally.

    “Routes are getting harder and harder to navigate. Corridors [in the Balkans are] really intensively surveyed by these technologies,” says Simon Campbell, field coordinator for the Border Violence Monitoring Network (BVMN), a migrant rights group in the region.

    The militarisation of Europe’s borders has been increasing steadily since 2015, when the influx of migrants reached its peak. A populist turn in politics and fear whipped up around the issue have fuelled the use of new technologies. The EU has invested in fortifying borders, earmarking €34.9bn (£30bn) in funding for border and migration management for the 2021-27 budget, while sidelining the creation of safe passages and fair asylum processes.

    Osman, a Syrian refugee now living in Serbia, crossed several borders in the southern Balkans in 2014. “At the time, I didn’t see any type of technology,” he says, “but now there’s drones, thermal cameras and all sorts of other stuff.”

    When the Hungarian police caught him trying to cross the Serbian border before the pandemic hit last year, they boasted about the equipment they used – including what Osman recalls as “a huge drone with a big camera”. He says they told him: “We are watching you everywhere.”

    Upgrading of surveillance technology, as witnessed by Khaled and Osman, has coincided with increased funding for Frontex – the EU’s Border and Coast Guard Agency. Between 2005 and 2016, Frontex’s budget grew from €6.3m to €238.7m, and it now stands at €420.6m. Technology at the EU’s Balkan borders have been largely funded with EU money, with Frontex providing operational support.

    Between 2014 and 2017, with EU funding, Croatia bought 13 thermal-imaging devices for €117,338 that can detect people more than a mile away and vehicles from two miles away.

    In 2019, the Croatian interior ministry acquired four eRIS-III long-range drones for €2.3m. They identify people up to six miles away in daylight and just under two miles in darkness, they fly at 80mph and climb to an altitude of 3,500 metres (11,400ft), while transmitting real-time data. Croatia has infrared cameras that can detect people at up to six miles away and equipment that picks upheartbeats.

    Romania now has heartbeat detection devices, alongside 117 thermo-vision cameras. Last spring, it added 24 vehicles with thermo-vision capabilities to its border security force at a cost of more than €13m.

    Hungary’s investment in migration-management technology is shielded from public scrutiny by a 2017 legal amendment but its lack of transparency and practice of pushing migrants back have been criticised by other EU nations and the European court of justice, leading to Frontex suspending operations in Hungary in January.

    It means migrants can no longer use the cover of darkness for their crossing attempts. Around the fire in Horgoš, Khaled and his fellow asylum-seekers decide to try crossing instead in the early morning, when they believe thermal cameras are less effective.

    A 2021 report by BVMN claims that enhanced border control technologies have led to increased violence as police in the Balkans weaponise new equipment against people on the move. Technology used in pushing back migrants has “contributed to the ease with which racist and repressive procedures are carried out”, the report says.

    BVMN highlighted the 2019 case of an 18-year-old Algerian who reported being beaten and strangled with his own shirt by police while attempting a night crossing from Bosnia to Croatia. “You cannot cross the border during the night because when the police catch you in the night, they beat you a lot. They break you,” says the teenager, who reported seeing surveillance drones.

    Ali, 19, an Iranian asylum-seeker who lives in a migrant camp in Belgrade, says that the Croatian and Romanian police have been violent and ignored his appeals for asylum during his crossing attempts. “When they catch us, they don’t respect us, they insult us, they beat us,” says Ali. “We said ‘we want asylum’, but they weren’t listening.”

    BVMN’s website archives hundreds of reports of violence. In February last year, eight Romanian border officers beat two Iraqi families with batons, administering electric shocks to two men, one of whom was holding his 11-month-old child. They stole their money and destroyed their phones, before taking them back to Serbia, blasting ice-cold air in the police van until they reached their destination.

    “There’s been some very, very severe beatings lately,” says Campbell. “Since the spring of 2018, there has been excessive use of firearms, beatings with batons, Tasers and knives.”

    Responding to questions via email, Frontex denies any link between its increased funding of new technologies and the violent pushbacks in the Balkans. It attributes the rise in reports to other factors, such as increased illegal migration and the proliferation of mobile phones making it easier to record incidents.

    Petra Molnar, associate director of Refugee Law Lab, believes the over-emphasis on technologies can alienate and dehumanise migrants.

    “There’s this alluring solution to really complex problems,” she says. “It’s a lot easier to sell a bunch of drones or a lot of automated technology, instead of dealing with the drivers that force people to migrate … or making the process more humane.”

    Despite the increasingly sophisticated technologies that have been preventing them from crossing Europe’s borders, Khaled and his friends from the squat managed to cross into Hungary in late December. He is living in a camp in Germany and has begun the process of applying for asylum.

    https://www.theguardian.com/global-development/2021/mar/26/eu-borders-migrants-hitech-surveillance-asylum-seekers

    #Balkans #complexe_militaro-industriel #route_des_Balkans #technologie #asile #migrations #frontières #contrôles_frontaliers #caméras_thermiques #militarisation_des_frontières #drones #détecteurs_de_battements_de_coeur #Horgos #Horgoš #Serbie #the_game #game #surveillance_frontalière #Hongrie #Frontex #Croatie #Roumanie #nuit #violence #refoulements #push-backs #déshumanisation

    ping @isskein @karine4

  • Frontex y España se enfrentan por las operaciones contra la inmigración irregular

    La pugna por el despliegue en África y el creciente poder del cuerpo europeo llevaron a la agencia de control de fronteras a amenazar con su retirada

    Las relaciones entre España y la Agencia Europea de la Guardia de Fronteras y Costas (Frontex) son más tensas que nunca. La pugna por el despliegue de medios materiales y el control de los operativos ha llevado a Frontex a amagar con suspender su actividad en el Estrecho y las islas Canarias ―además del dispositivo que se despliega en cada operación #Paso_del_Estrecho― , según tres fuentes conocedoras del episodio. La decisión corrió el pasado miércoles por los despachos, llegó a comunicarse hasta a los agentes de la agencia desplegados en el archipiélago y amenazó con convertirse en una crisis política. El pasado viernes, Frontex salió al paso con un comunicado desde su sede en Varsovia para atajar rumores y anunciar que renovaba su presencia en España un año más.

    Las tensiones vienen de lejos y son el reflejo de la disputa entre los cuerpos y fuerzas de seguridad nacionales y una agencia europea de fronteras con un mandato extendido. En los planes operativos para este 2021, que se cierran a principios de año, Frontex reclamaba a España mayor control sobre la inteligencia y el acceso a los datos de carácter personal en las fronteras españolas, competencias en materia de investigaciones transfronterizas (como las mafias de narcotráfico internacional) o el despliegue sobre el terreno del nuevo cuerpo de agentes europeos, un personal armado de cuya profesionalidad recelan las policías españolas. La propuesta no gustó a los negociadores. Un mando de las fuerzas y cuerpos de seguridad del Estado considera que aceptar las propuestas de Varsovia supone una “entrega de soberanía” y cree que el conflicto “estallará cuando haya una desgracia”.

    Influencia en África

    La negociación de estos puntos ha estado marcada por otra de las principales batallas para España: el papel de la agencia en las islas Canarias, un enclave desde el que Frontex quiere ganar influencia en África. Actualmente, la agencia trabaja con un equipo de 26 agentes, españoles y extranjeros, que apoyan a la Policía Nacional en la identificación y las entrevistas a los migrantes con el objetivo de desbaratar las redes que les facilitan el viaje. Pero este despliegue tiene una cobertura limitada y el espectacular repunte de llegadas al archipiélago, que ha recibido casi 25.000 personas en los últimos 13 meses, impulsó nuevas negociaciones entre Varsovia y Madrid para lanzar una operación conjunta con la Guardia Civil en Senegal.

    El objetivo inicial era reformular la operación Hera II, un operativo que Frontex y la Guardia Civil ya habían desplegado de 2006 a 2019 en varios países de origen para cerrar la vía migratoria que se abrió durante la llamada crisis de los cayucos. Pero las diferencias entre unos y otros mantienen la iniciativa bloqueada.

    Por un lado, Frontex ―que aprobó un nuevo reglamento en 2019 que le da más autonomía― alega la necesidad de firmar su propio acuerdo bilateral con Dakar para patrullar sus costas, señalan fuentes españolas conocedoras de la negociación. Por otro, la #Guardia_Civil demanda que no haya condiciones para que la agencia colabore con más medios en origen y lo haga siempre bajo su coordinación.

    La Guardia Civil, que ya tiene acuerdos y agentes desplegados en Mauritania, Gambia y Senegal hace más de una década, siempre concentró el mando de las operaciones, las investigaciones y las relaciones con las autoridades locales y no tiene intención de renunciar a ello. “Hemos trabajado en todos estos ámbitos independientemente del decreciente apoyo de Frontex a lo largo de los últimos años porque consideraba esta ruta cerrada”, afirma una fuente española. En definitiva, la agencia con más presupuesto de la UE quiere más poder del que los agentes españoles están dispuestos a darle.

    España trató de plantarse en la negociación de los planes operativos con Frontex: si no hay ayuda de la agencia europea para un despliegue conjunto en Senegal, no se aceptarían las peticiones de mandato extendido de Frontex en territorio nacional, según otra fuente al tanto de las discusiones. Pero finalmente, tras la presión por una posible cancelación de las operaciones, se han aceptado las exigencias de Varsovia. “Es una lucha entre la realidad del terreno y la de los altos cargos que firman los reglamentos en la oficina”, según esta fuente.

    Frontex, que tiene presupuestados 5.600 millones de euros para los próximos siete años ―frente a los 19,2 millones de 2006―, incorporará 10.000 agentes propios para la vigilancia de fronteras y costas. En este contexto de crecimiento, la agencia empieza a demandar más control e influencia sobre las operaciones y no quiere limitarse a ofrecer barcos y aviones. Los agentes españoles, por su parte, quieren el apoyo de la agencia en los países de origen, pero siempre bajo su mando. No quieren ceder espacio ni competencias en un ámbito en el que llevan años invirtiendo recursos propios y experiencia.

    Fuentes europeas reconocen que la incorporación de guardias de Frontex a las operaciones en España “ha complicado la negociación del programa de trabajo para el nuevo año”. El programa debía renovarse, como en cada ejercicio, para entrar en vigor el 1 de febrero, pero las fricciones retrasaron la negociación: España, según fuentes conocedoras de la negociación, pidió cambios relevantes en los planes operativos; la agencia hizo una contrapropuesta, y las autoridades españolas no la aceptaron. El acuerdo no llegó hasta 29 de enero, al filo de que el plan de trabajo no se aprobase y los dos operativos de Frontex en España se quedaran sin base legal para su continuidad. En Frontex aseguran que las operaciones nunca estuvieron en peligro y que la voluntad de la agencia siempre ha sido mantener su presencia en España.

    En una entrevista con EL PAÍS el pasado 4 de enero el propio vicepresidente de la Comisión Europea, Margaritis Schinas, se refirió a los desencuentros entre Madrid y Varsovia.

    –¿Por qué cree que España no ve con buenos ojos la presencia de Frontex?

    – Eso me pregunto yo, por qué Frontex no está en Canarias cuando hay un serio problema y sí está masivamente en el Egeo, con cientos de agentes

    España apoyó desde el inicio, en 2005, la creación y puesta en marcha de Frontex, pero con el tiempo se ha mostrado reticente a implicar a los agentes de la agencia en sus competencias. “España se caracteriza por ser un Estado miembro que ha invertido considerables recursos públicos en operaciones de rescates en el mar además de en el control de sus fronteras exteriores”, afirma el eurodiputado socialista Juan Fernando López Aguilar. “Eso explica que retenga bastante el protagonismo de su papel en fronteras, a diferencia de otros países que han recurrido más a la agencia, como Croacia, Grecia o incluso Italia”.

    La agencia está actualmente bajo una presión sin precedentes, cuando está a punto de convertirse en el primer cuerpo uniformado y armado en la historia de la UE. Las investigaciones cercan a su director, Fabrice Leggeri, sobre el que se han vertido duras críticas por su gestión, la degradación de las relaciones en el seno de la agencia y, sobre todo, por supuesta connivencia con la devolución en caliente de emigrantes en la frontera greco-turca.

    https://elpais.com/espana/2021-02-01/frontex-y-espana-se-enfrentan-por-las-operaciones-contra-la-inmigracion-irre

    Traduction:

    La lutte pour le déploiement en Afrique et la puissance croissante de l’organisme européen ont conduit l’agence de contrôle des frontières à menacer son retrait.
    Les relations entre l’Espagne et l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex) sont plus tendues que jamais. La lutte pour le déploiement des moyens matériels et la maîtrise des opérations a conduit Frontex à menacer de suspendre son activité dans le détroit et aux îles Canaries `` en plus du dispositif qui est déployé dans chaque opération au-dessus du détroit du détroit ’’, selon trois sources bien informées de l’épisode. La décision a traversé les bureaux mercredi dernier, elle a même été communiquée aux agents de l’agence déployés dans l’archipel et menaçait de devenir une crise politique. Vendredi dernier, Frontex a publié une déclaration de son siège à Varsovie pour arrêter les rumeurs et annoncer qu’elle renouvelait sa présence en Espagne pour une autre année.

    #Frontex #Espagne #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #opération_Paso_del_Estrecho #Canaries #îles_Canaries #Mauritanie #Gambie #Sénégal

  • The fortified gates of the Balkans. How non-EU member states are incorporated into fortress Europe.

    Marko Gašperlin, a Slovenian police officer, began his first mandate as chair of the Management Board of Frontex in spring 2016. Less than two months earlier, then Slovenian Prime Minister Miro Cerar had gone to North Macedonia to convey the message from the EU that the migration route through the Balkans — the so-called Balkan route — was about to close.

    “North Macedonia was the first country ready to cooperate [with Frontex] to stop the stampede we had in 2015 across the Western Balkans,” Gašperlin told K2.0 during an interview conducted at the police headquarters in Ljubljana in September 2020.

    “Stampede” refers to over 1 million people who entered the European Union in 2015 and early 2016 in search of asylum, the majority traveling along the Balkan route. Most of them were from Syria, but also some other countries of the global South where human rights are a vague concept.

    According to Gašperlin, the European Border and Coast Guard Agency’s primary interest at the EU’s external borders is controlling the movement of people who he describes as “illegals.”

    Given numerous allegations by human rights organizations, Frontex could itself be part of illegal activity as part of the push-back chain removing people from EU territory before they have had the opportunity to assert their right to claim asylum.

    In March 2016, the EU made a deal with Turkey to stop the flow of people toward Europe, and Frontex became even more active in the Aegean Sea. Only four years later, at the end of 2020, Gašperlin established a Frontex working group to look into allegations of human rights violations by its officers. So far, no misconduct has been acknowledged. The final internal Frontex report is due at the end of February.

    After allegations were made public during the summer and fall of 2020, some members of the European Parliament called for Frontex director Fabrice Leggeri to step down, while the European Ombudsman also announced an inquiry into the effectiveness of the Agency’s complaints mechanism as well as its management.

    A European Parliament Frontex Scrutiny Working Group was also established to conduct its own inquiry, looking into “compliance and respect for fundamental rights” as well as internal management, and transparency and accountability. It formally began work this week (February 23) with its fact-finding investigation expected to last four months.

    2021 started with more allegations and revelations.

    In January 2021 the EU anti-fraud office, OLAF, confirmed it is leading an investigation over allegations of harassment and misconduct inside Frontex, and push-backs conducted at the EU’s borders.

    Similar accusations of human rights violations related to Frontex have been accumulating for years. In 2011, Human Rights Watch issued a report titled “The EU’s Dirty Hands” that documented the ill-treatment of migrant detainees in Greece.

    Various human rights organizations and media have also long reported about Frontex helping the Libyan Coast Guard to locate and pull back people trying to escape toward Europe. After being pulled back, people are held in notorious detention camps, which operate with the support of the EU.

    Nonetheless, EU leaders are not giving up on the idea of expanding the Frontex mission, making deals with governments of non-member states in the Balkans to participate in their efforts to stop migration.

    Currently, the Frontex plan is to deploy up to 10,000 border guards at the EU external borders by 2027.

    Policing Europe

    Frontex, with its headquarters in Poland, was established in 2004, but it remained relatively low key for the first decade of its existence. This changed in 2015 when, in order to better control Europe’s visa-free Schengen area, the European Commission (EC) extended the Agency’s mandate as it aimed to turn Frontex into a fully-fledged European Border and Coastguard Agency. Officially, they began operating in this role in October 2016, at the Bulgarian border with Turkey.

    In recent years, the territory they cover has been expanding, framed as cooperation with neighboring countries, with the main goal “to ensure implementation of the European integrated border management.”

    The budget allocated for their work has also grown massively, from about 6 million euros in 2005, to 460 million euros in 2020. According to existing plans, the Agency is set to grow still further and by 2027 up to 5.6 billion euros is expected to have been spent on Frontex.

    As one of the main migration routes into Europe the Balkans has become the key region for Frontex. Close cooperation with authorities in the region has been growing since 2016, particularly through the “Regional Support to Protection-Sensitive Migration Management in the Western Balkans and Turkey” project: https://frontex.europa.eu/assets/Partners/Third_countries/IPA_II_Phase_II.pdf.

    In order to increase its powers in the field, Frontex has promoted “status agreements” with the countries in the region, while the EC, through its Instrument for Pre-Accession (IPA) fund, has dedicated 3.4 million euros over the two-year 2019-21 period for strengthening borders.

    The first Balkan state to upgrade its cooperation agreement with Frontex to a status agreement was Albania in 2018; joint police operations at its southern border with Greece began in spring 2019. According to the agreement, Frontex is allowed to conduct full border police duties on the non-EU territory.

    Frontex’s status agreement with Albania was followed by a similar agreement with Montenegro that has been in force since July 2020.

    The signing of a status agreement with North Macedonia was blocked by Bulgaria in October 2020, while the agreement with Bosnia and Herzegovina requires further approvals and the one with Serbia is awaiting ratification by the parliament in Belgrade.

    “The current legal framework is the consequence of the situation in the years from 2014 to 2016,” Gašperlin said.

    He added that he regretted that the possibility to cooperate with non-EU states in returns of “illegals” had subsequently been dropped from the Frontex mandate after an intervention by EU parliamentarians. In 2019, a number of changes were made to how Frontex functions including removing the power to “launch return interventions in third countries” due to the fact that many of these countries have a poor record when it comes to rule of law and respect of human rights.

    “This means, if we are concrete, that the illegals who are in BiH — the EU can pay for their accommodation, Frontex can help only a little with the current tools it has, while when it comes to returns, Frontex cannot do anything,” Gašperlin said.

    Fortification of the borders

    The steady introduction of status agreements is intended to replace and upgrade existing police cooperation deals that are already in place with non-EU states.

    Over the years, EU member states have established various bilateral agreements with countries around the world, including some in the Balkan region. Further agreements have been negotiated by the EU itself, with Frontex listing 20 “working arrangements” with different non-member states on its website.

    Based on existing Frontex working arrangements, exchange of information and “consultancy” visits by Frontex officials — which also include work at border crossings — are already practiced widely across the Balkan-EU borders.

    The new status agreements allow Frontex officers to guard the borders and perform police tasks on the territory of the country with which the agreement is signed, while this country’s national courts do not have jurisdiction over the Frontex personnel.

    Comparing bilateral agreements to status agreements, Marko Gašperlin explained that, with Frontex taking over certain duties, individual EU states will be able to avoid the administrative and financial burdens of “bilateral solidarity.”

    Radoš Đurović, director of the NGO Asylum Protection Centre (APC) which works with migrants in Serbia, questions whether Frontex’s presence in the region will bring better control over violations and fears that if past acts of alleged violence are used it could make matters worse.

    “The EU’s aim is to increase border control and reduce the number of people who legally or illegally cross,” Đurović says in a phone interview for K2.0. “We know that violence does not stop the crossings. It only increases the violence people experience.”

    Similarly, Jasmin Redžepi from the Skopje-based NGO Legis, argues that the current EU focus on policing its borders only entraps people in the region.

    “This causes more problems, suffering and death,” he says. “People are forced to turn to criminals in search of help. The current police actions are empowering criminals and organized crime.”

    Redžepi believes the region is currently acting as some kind of human filter for the EU.

    “From the security standpoint this is solidarity with local authorities. But in the field, it prevents greater numbers of refugees from moving toward central Europe,” Redžepi says.

    “They get temporarily stuck. The EU calls it regulation but they only postpone their arrival in the EU and increase the violations of human rights, European law and international law. In the end people cross, just more simply die along the way.”

    EU accused of externalizing issues

    For the EU, it was a shifting pattern of migratory journeys that signified the moment to start increasing its border security around the region by strengthening its cooperation with individual states.

    The overland Balkan route toward Western Europe has always been used by people on the move. But it has become even more frequented in recent years as changing approaches to border policing and rescue restrictions in the Central Mediterranean have made crossings by sea even more deadly.

    For the regional countries, each at a different stage of a still distant promise of EU membership, partnering with Frontex comes with the obvious incentive of demonstrating their commitment to the bloc.

    “When regional authorities work to stop people crossing towards the EU, they hope to get extra benefits elsewhere,” says APC Serbia’s Radoš Đurovic.

    There are also other potential perks. Jasmin Redžepi from Legis explains that police from EU states often leave behind equipment for under-equipped local forces.

    But there has also been significant criticism of the EU’s approach in both the Balkans and elsewhere, with many accusing it of attempting to externalize its borders and avoid accountability by pushing difficult issues elsewhere.

    According to research by Violeta Moreno-Lax and Martin Lemberg-Pedersen, who have analyzed the consequences of the EU’s approach to border management, the bloc’s actions amount to a “dispersion of legal duties” that is not “ethically and legally tenable under international law.”

    One of the results, the researchers found, is that “repressive forces” in third countries gain standing as valid interlocutors for cooperation and democratic and human rights credentials become “secondary, if at all relevant.”

    APC’s Radoš Đurović agrees, suggesting that we are entering a situation where the power of the law and international norms that prevent illegal use of force are, in effect, limited.

    “Europe may not have enough power to influence the situations in places further away that push migration, but it can influence its border regions,” he says. “The changes we see forced onto the states are problematic — from push-backs to violence.”

    Playing by whose rules?

    One of the particular anomalies seen with the status agreements is that Albanian police are now being accompanied by Frontex forces to better control their southern border at the same time as many of Albania’s own citizens are themselves attempting to reach the EU in irregular ways.

    Asked about this apparent paradox, Marko Gašperlin said he did “not remember any Albanians among the illegals.”

    However, Frontex’s risk analysis for 2020, puts Albania in the top four countries for whose citizens return orders were issued in the preceding two years and second in terms of returns effectively carried out. Eurostat data for 2018 and 2019 also puts Albania in 11th place among countries from which first time asylum seekers come, before Somalia and Bangladesh and well ahead of Morocco and Algeria.

    While many of these Albanian citizens may have entered EU countries via regular means before being subject to return orders for reasons such as breaching visa conditions, people on the move from Albania are often encountered along the Balkan route, according to activists working in the field.

    Meanwhile, other migrants have complained of being subjected to illegal push-backs at Albania’s border with Greece, though there is a lack of monitoring in this area and these claims remain unverified.

    In Serbia, the KlikAktiv Center for Development of Social Policies has analyzed Belgrade’s pending status agreement for Frontex operations.

    It warns that increasing the presence of armed police, from a Frontex force that has allegedly been involved in violence and abuses of power, is a recipe for disaster, especially when they will have immunity from local criminal and civil jurisdiction.

    It also flags that changes in legislation will enable the integration of data systems and rapid deportations without proper safeguards in place.

    Police activities to secure borders greatly depend on — and supply data to — EU information technology systems. But EU law provides fewer protections for data processing of foreign nationals than for that of EU citizens, effectively creating segregation in terms of data protection.

    The EU Fundamental Rights Agency has warned that the establishment of a more invasive system for non-EU nationals could potentially lead to increased discrimination and skew data that could further “fuel existing misperceptions that there is a link between asylum-seekers, migration and crime.”

    A question of standards

    Frontex emphasizes that there are codified safeguards and existing internal appeal mechanisms.

    According to the status agreements, violations of fundamental rights such as data protection rules or the principle of non-refoulement — which prohibits the forcible return of individuals to countries where they face danger through push-backs or other means — are all reasons for either party to suspend or terminate their cooperation.

    In January, Frontex itself suspended its mission in Hungary after the EU member state failed to abide by an EU Court of Justice decision. In December 2020, the court found that Hungarian border enforcement was in violation of EU law by restricting access to its asylum system and for carrying out illegal push-backs into Serbia.

    Marko Gašperlin claimed that Frontex’s presence improved professional police standards wherever it operated.

    However, claims of raising standards have been questioned by human rights researchers and activists.

    Jasmin Redžepi recounts that the first complaint against a foreign police officer that his NGO Legis filed with North Macedonian authorities and international organizations was against a Slovenian police officer posted through bilateral agreement; the complaint related to allegations of unprofessional conduct toward migrants.

    “Presently, people cross illegally and the police push them back illegally,” Redžepi says. “They should be able to ask for asylum but cannot as police push people across borders.”

    Gašperlin told K2.0 that it is natural that there will be a variation of standards between police from different countries.

    In its recruitment efforts, Frontex has sought to enlist police officers or people with a customs or army background. According to Gašperlin, recruits have been disproportionately from Romania and Italy, while fewer have been police officers from northern member states “where standards and wages are better.”

    “It would be illusory to expect that all of the EU would rise up to the level of respect for human rights and to the high standards of Sweden,” he said. “There also has not been a case of the EU throwing a member out, although there have been examples of human rights violations, of different kinds.”

    ‘Monitoring from the air’

    One of the EU member states whose own police have been accused of serious human rights violations against refugees and migrants, including torture, is Croatia.

    Despite the allegations, in January 2020, Croatia’s Ministry of the Interior Police Academy was chosen to lead the first Frontex-financed training session for attendees from police forces across the Balkan route region.

    Frontex currently has a presence in Croatia, at the EU border area with Bosnia and Herzegovina, amongst other places.

    Asked about the numerous reports from international NGOs and collectives, as well as from the national Ombudsman Lora Vidović and the Council of Europe, of mass human rights violations at the Croatian borders, Gašperlin declined to engage.

    “Frontex helps Croatia with monitoring from the air,” he said. “That is all.”

    Gašperlin said that the role of his agency is only to notify Croatia when people are detected approaching the border from Bosnia. Asked if Frontex also monitors what happens to people once Croatian police find them, given continuously worsening allegations, he said: “From the air this might be difficult. I do not know if a plane from the air can monitor that.”

    Pressed further, he declined to comment.

    To claim ignorance is, however, becoming increasingly difficult. A recent statement on the state of the EU’s borders by UNHCR’s Assistant High Commissioner for Protection, Gillian Triggs, notes: “The pushbacks [at Europe’s borders] are carried out in a violent and apparently systematic way.”

    Radoš Đurović from APC Serbia pointed out that Frontex must know about the alleged violations.

    “The question is: Do they want to investigate and prevent them?” he says. “All those present in the field know about the violence and who perpetrates it.”

    Warnings that strict and violent EU border policies are increasing the sophistication and brutality of smugglers, while technological “solutions” and militarization come with vested interests and more potential human rights violations, do not seem to worry the head of Frontex’s Management Board.

    “If passage from Turkey to Germany is too expensive, people will not decide to go,” said Gašperlin, describing the job done by Frontex:

    “We do the work we do. So people cannot simply come here, sit and say — here I am, now take me to Germany, as some might want. Or — here I am, I’m asking for asylum, now take me to Postojna or Ljubljana, where I will get fed, cared for, and then I’ll sit on the bus and ride to Munich where I’ll again ask for asylum. This would be a minimal price.”

    Human rights advocates in the region such as Jasmin Redžepi have no illusions that what they face on the ground reflects the needs and aims of the EU.

    “We are only a bridge,” Redžepi says. “The least the EU should do is take care that its policies do not turn the region into a cradle for criminals and organized crime. We need legal, regular passages and procedures for people to apply for asylum, not illegal, violent push-backs.

    “If we talk about security we cannot talk exclusively about the security of borders. We have to talk about the security of people as well.”

    https://kosovotwopointzero.com/en/the-fortified-gates-of-the-balkans

    #Balkans #route_des_Balkans #frontières #asile #migrations #réfugiés #externalisation #frontex #Macédoine_du_Nord #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #push-backs #refoulements #refoulements_en_chaîne #frontières_extérieures #Regional_Support_to_Protection-Sensitive_Migration_Management_in_the_Western_Balkans_and_Turkey #Instrument_for_Pre-Accession (#IPA) #budget #Albanie #Monténégro #Serbie #Bosnie-Herzégovine #accords_bilatéraux

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749
    Et plus particulièrement ici :
    https://seenthis.net/messages/731749#message782649

    ping @isskein @karine4

  • À la frontière franco-espagnole, la police « #traque » les migrants

    Depuis environ un mois, les contrôles à la frontière franco-espagnole se sont intensifiés. Selon les associations, les migrants, « traqués par la police », prennent de plus en plus de #risques pour atteindre la France. Les humanitaires redoutent un drame, d’autant que certains exilés tentent désormais de rejoindre l’Hexagone en traversant la #rivière #Bidassoa à la nage.

    « #Refoulements illégaux », « traque », « #chasse_à_l'homme », « violation des droits »... Les mots utilisés par les associations locales pour décrire la situation à la frontière franco-espagnole sont forts. Depuis un mois, les humanitaires observent une présence de plus en plus importante des #forces_de_l'ordre. « Il y a toujours eu des contrôles mais à ce point-là, jamais ! On a même vu des #militaires déambuler dans les villages », raconte Lucie Bortaitu de l’association bayonnaise Diakité.

    Début novembre, lors d’une visite dans les Pyrénées, le président Emmanuel Macron avait annoncé le doublement des effectifs aux frontières françaises pour lutter contre la menace terroriste, les trafics et l’immigration illégale.

    À cela s’ajoute la fermeture, début janvier, de 15 points de passage sur les 650 kilomètres de frontière qui séparent l’Espagne de la France pour contenir la pandémie de Covid-19. Cette #surveillance renforcée 24h/24 mobilise 230 #policiers et #militaires.

    Mais pour les associations, le principal enjeu est de limiter l’arrivée de migrants dans l’Hexagone. « Les autorités françaises utilisent l’excuse de la crise sanitaire mais en fait le but premier est le #contrôle_migratoire », estime Ion Aranguren, de l’association espagnole Irungo Harrera Sarea, active du côté d’Irun. « C’est clairement pour lutter contre l’immigration illégale : seuls les Noirs sont constamment contrôlés par les policiers », renchérit Lucie Bortaitu.

    Des refoulements quotidiens

    Depuis plusieurs semaines, selon les humanitaires, les migrants sont « traqués » sur la route, dans les trains et dans la rue. À #Hendaye, les #gendarmes sont même entrés dans le jardin d’un particulier pour y extraire un exilé venu se cacher de la police, rapportent les bénévoles. Des migrants ont aussi été arrêtés au-delà des #20_kilomètres de la frontière, un rayon dans lequel les contrôles d’entrée sur le territoire sont autorisés. Plusieurs personnes ont ainsi été interpellées à #Bordeaux à leur descente du train et expulsées en Espagne.

    D’autres migrants racontent avoir été interpellés, puis envoyés dans les locaux de police avant d’être expulsés à la frontière au beau milieu de la nuit. « L’autre jour, on a appris que cinq femmes avaient été déposées à #Behobia [ville espagnole frontalière située à quelques kilomètres d’#Irun, ndlr] tard le soir. On les lâche là au milieu de nulle part, loin des associations et alors qu’un couvre-feu est aussi en vigueur en Espagne », souffle Lucie Bortaitu. D’autres encore ont été laissés par la police française à #Ibardin, en plein cœur des Pyrénées, du côté espagnol.

    Ce genre de témoignages de refoulement sont recueillis quotidiennement par les associations, françaises et espagnoles. Certains exilés ont déjà tenté six, sept voire huit fois le passage.

    Les mineurs non plus n’échappent pas à ces renvois, malgré la possession d’acte de naissance pour certains, synonyme d’une évaluation de leur minorité et d’une prise en charge par le département.

    Atteindre la France par la rivière

    Ces refoulements, de plus en plus fréquents, inquiètent les humanitaires et les avocats. « Ces #expulsions, qui sont devenues la norme, se font en dehors de tout cadre légal. Ce sont purement et simplement des renvois expéditifs illégaux », signale Me Francisco Sanchez Rodriguez, avocat en droits des étrangers au barreau de Bayonne. Les exilés n’ont en effet pas la possibilité de déposer l’asile, et aucun document de renvoi ne leur est délivré par un juge, comme le prévoit la loi. « On n’avait jamais vu cela à cette frontière », assure l’avocat.

    Malgré la pression policière et les violations de leurs droits, les migrants restent déterminés à continuer leur route. Résultat : ils prennent de plus en plus de risques pour échapper aux forces de l’ordre. Quelques-uns ont même tenté d’atteindre la France en traversant la frontière Bidassoa, qui sépare les deux pays. Un itinéraire jusque-là jamais emprunté par les exilés.

    Tom Dubois-Robin, un habitant d’Hendaye, voit depuis environ un mois des migrants essayer de « passer en France à la nage », en dépit des dangers. Samedi 13 mars, alors qu’il est assis au bord de l’eau avec des amis, il porte secours à un jeune homme venu de l’autre côté de la rivière. Quelques jours plus tard, Tom Dubois-Robin ramasse une doudoune dans l’eau. Dans les poches, il trouve des effets de la Croix-Rouge, dont le centre à Irun accueille des exilés. « Il a dû tenter la traversée et a jeté sa doudoune car elle était trop lourde », pense l’Hendayais.

    Les associations et les citoyens du #Pays_basque redoutent un drame, et se battent pour empêcher que leur rivière ne devienne un cimetière. Tom Dubois-Robin partage ce combat. Cet ancien policier, qui a lâché son uniforme en 2018 en raison justement de ces renvois à répétition, a écrit aux élus de sa région pour « qu’ils tapent du point sur la table et qu’on évite le pire ». Las qu’il est depuis plusieurs années de « ce ping-pong incessant » qui consiste à « renvoyer à la frontière des familles avec enfants ».

    https://www.infomigrants.net/fr/post/31024/a-la-frontiere-franco-espagnole-la-police-traque-les-migrants

    #traque_policière #frontières #migrations #asile #réfugiés #Pyrénées #France #Espagne #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #armée #police

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  • #Biden and the Border Security-Industrial Complex

    Successive administrations have poured money into the business of militarizing immigration control—and lobbyists have returned the favors. Will this president stop the juggernaut?

    There are many ways I wish I’d spent my last days of freedom before the coronavirus’s inexorable and deadly advance through the US began last year, but attending the 2020 Border Security Expo was not one of them. On March 9, 2020, President Trump told us the flu was more deadly than coronavirus and that nothing would be shut down. “Think about that!” he tweeted. On March 13, he declared the pandemic a national emergency. In the days between, I flew to San Antonio, Texas, to attend the Expo in an attempt to better understand the border security industry and its links to government. I soon found myself squeezing through dozens of suited men with buzz cuts clapping each other on the back and scarfing bagels at the catering table, with scant mention of the coming catastrophe.

    Instead, the focus was on how best to spend the ever-increasing budgets of the Customs and Border Protection agency (CBP) and Immigration and Customs Enforcement (ICE), which had discretionary spending allocations that totaled $27 billion. Together, that was up 20 percent on the previous year’s budgets; and for decades now, under Democrats and Republicans alike, the border security industry has generally received more and more money each year. For the first time in years, the agencies’ latest combined budget records a modest reduction, of $1.5 billion (though the expenditure on ICE continues to grow unchecked).

    President Biden is working to undo some of the most violent anti-immigrant policies of his predecessor, including lifting the travel ban on thirteen nations, almost all in the Middle East or Africa, and working to end the Migrant Protection Protocols, which forced some 25,000 asylum seekers to stay in Mexico as they awaited their day in court. He has also created a task force to reunite families separated at the US–Mexico border and has already sent a comprehensive immigration reform bill to lawmakers. And he has halted construction of Donald Trump’s notorious border wall.

    Does this all signify that he is ready to consider taming the vast militarized machine that is the border security industry? Or will he, like Democratic presidents before him, quietly continue to expand it?

    (#paywall)

    https://www.nybooks.com/daily/2021/03/02/biden-and-the-border-security-industrial-complex

    #USA #complexe_militaro-industriel #Etats-Unis #migrations #frontières #contrôles_frontaliers #business #réfugiés #migrations #militarisation_des_frontières #Joe_Biden #Customs_and_Border_Protection_agency (#CBP) #Immigration_and_Customs_Enforcement (#ICE)

    • Biden’s Border. The industry, the Democrats and the 2020 elections

      This briefing profiles the leading US border security contractors, their related financial campaign contributions during the 2020 elections, and how they have shaped a bipartisan approach in favor of border militarization for more than three decades. It suggests that a real change in border and immigration policies will require the Democrats to break with the industry that helps finance them.

      Key findings:

      – Early into his presidency, Joe Biden has already indicated through 10 executive orders that he wants to end the brutality associated with Trump’s border and immigration policies. However undoing all the harmful dimensions of the US border regime will require substantial structural change and an end to the close ties between the Democrats and the border industry.

      - The border security and immigration detention industry has boomed in the last decades thanks to constant increases in government spending by both parties—Democrats and Republicans. Between 2008 and 2020, CBP and ICE issued 105,997 contracts worth $55.1 billion to private corporations.The industry is now deeply embedded in US government bodies and decision-making, with close financial ties to strategic politicians.

      – 13 companies play a pivotal role in the US border industry: #CoreCivic, #Deloitte, #Elbit_Systems, #GEO_Group, #General_Atomics, #General_Dynamics, #G4S, #IBM, #Leidos, #Lockheed_Martin, #L3Harris, #Northrop_Grumman, and #Palantir. Some of the firms also provide other services and products to the US government, but border and detention contracts have been a consistently growing part of all of their portfolios.

      - These top border contractors through individual donations and their #Political_Action_Committees (PACs) gave more than $40 million during the 2020 electoral cycle to the two parties ($40,333,427). Democrats overall received more contributions from the big border contractors than the Republicans (55 percent versus 45 percent). This is a swing back to the Democrats, as over the last 10 years contributions from 11 of the 13 companies have favored Republicans. It suggests an intention by the border industry to hedge their political bets and ensure that border security policies are not rolled back to the detriment of future profits.

      – The 13 border security companies’ executives and top employees contributed three times more to Joe Biden ($5,364,994) than to Donald Trump ($1,730,435).

      - A few border security companies show preferences towards one political party. Detention-related companies, in particular CoreCivic, G4S and GEO Group, strongly favor Republicans along with military contractors Elbit Systems and General Atomics, while auditing and IT companies Deloitte, IBM and Palantir overwhelmingly favor the Democrats.

      – The 13 companies have contributed $10 million ($9,674,911) in the 2020 electoral cycle to members of strategic legislative committees that design and fund border security policies: the House and Senate Appropriations Committees and the House Homeland Security Committee. The biggest contributors are Deloitte, General Dynamics, L3Harris, Leidos, Lockheed Martin and Northrop Grumman, and nearly all donate substantially to both parties, with a preference for Republican candidates. Democrat Senator Jack Reed ($426,413), Republican Congresswoman Kay Granger ($442,406) and Republican Senator Richard Shelby ($430,150) all received more than $400,000 in 2020.

      – Biden is opposed to the wall-building of Trump, but has along with many Democrats voiced public support for a more hidden ‘virtual wall’ and ‘smart borders’, deploying surveillance technologies that will be both more lucrative for the industry and more hidden in terms of the abuses they perpetrate.

      - Department of Homeland Security Secretary, Alejandro Mayorkas developed and implemented DACA under Obama’s administration, but also as a lawyer with the firm WilmerHale between 2018 and 2020 earned $3.3 million representing companies including border contractors Northrop Grumman and Leidos.

      - Over the last 40 years, Biden has a mixed voting record on border policy, showing some support for immigrant rights on several occasions but also approving legislation (the 1996 Illegal Immigration and Immigration Reform Act) that enabled the mass deportations under Obama, and the 2006 Secure Fence Act, which extended the wall long before Trump’s election.

      – The Democrat Party as a whole also has a mixed record. Under President Bill Clinton, the Democrats approved the 1994 Prevention through Deterrence national border strategy and implemented the 1996 Illegal Immigration Reform and Immigration Responsibility Act that dramatically increased the pace of border militarization as well as deportations. Later Obama became the first president to deport nearly 3 million people during his eight-year term.

      – Nearly 8,000 bodies have been recovered in the U.S.–Mexico borderlands between 1998 and 2019 as a result of policies by both parties. The organization No More Deaths has estimated that three to ten times as many people may have died or disappeared since today’s border-enforcement strategy was implemented. The border industrial complex’s profits are based on border and immmigration policies that have deadly consequences.

      https://www.tni.org/en/bidensborder

      #rapport #TNI #murs #barrières_frontalières #démocrates #républicains #industrie_frontalière #smart_borders #murs_virtuels #technologie #morts #décès #mortalité