• Zucchero negli alimenti. Per #Nestlé i bambini non sono tutti uguali

    Secondo un’analisi della Ong Public Eye gli alimenti per bambini e neonati venduti dalla multinazionale svizzera in Africa, Asia e America Latina contengono più zuccheri rispetto alle loro controparti commercializzate nei mercati europei. Un doppio standard che porta a un “aumento esplosivo dell’obesità e spinge i bambini a sviluppare una preferenza per i prodotti zuccherati che durerà tutta la vita”.

    Due dei prodotti alimentari per l’infanzia più venduti da Nestlé nei Paesi a medio o basso reddito contengono, a differenza delle loro controparti reperibili in Europa e in Svizzera, dosi elevate di zuccheri aggiunti. Sono i risultati di un’indagine svolta dalla Ong svizzera Public Eye con la collaborazione dell’International baby food action network (Ibfan), rete di organizzazioni per la salute infantile. “Chiediamo all’azienda di porre fine a questo ingiustificabile e dannoso doppio standard che porta a un aumento esplosivo dell’obesità e spinge i bambini a sviluppare una preferenza per i prodotti zuccherati che durerà tutta la vita”, denuncia la coalizione.

    A cinquant’anni dallo scandalo sulla promozione di prodotti per l’infanzia nei Paesi a basso reddito che ha coinvolto Nestlé, il gigante svizzero afferma di aver imparato dal passato e proclama il suo “impegno incrollabile” nella “commercializzazione responsabile” dei sostituti del latte materno. Attualmente l’azienda controlla il 20% del mercato degli alimenti per l’infanzia, per un valore di circa 70 miliardi di dollari.

    I due prodotti di punta nei Paesi a medio e basso reddito al centro dell’inchiesta sono Cerelac, una linea di cereali per l’infanzia, e Nido, un tipo di latte in polvere. Secondo dati esclusivi ottenuti da Euromonitor, una società di analisi di mercato specializzata nell’industria alimentare, il loro valore di vendita è stato superiore a 2,5 miliardi di dollari nel 2022. “Nelle proprie comunicazioni o tramite terzi, Nestlé promuove Cerelac e Nido come marchi il cui obiettivo è aiutare i bambini a ‘vivere una vita più sana’. Fortificati con vitamine, minerali e altri micronutrienti, secondo la multinazionale questi prodotti sono adatti alle esigenze dei neonati e dei bambini piccoli e contribuiscono a rafforzare la loro crescita, il loro sistema immunitario e il loro sviluppo cognitivo -si legge nella ricerca-. Ma questi cereali e latti in polvere offrono davvero ‘la migliore nutrizione’, come sostiene Nestlé? È quello che abbiamo cercato di scoprire concentrandoci su uno dei principali ‘pericoli pubblici’ quando si parla di alimentazione: lo zucchero”.

    L’indagine ha svelato una differenza importante e non giustificata tra la quantità di zucchero addizionato in questi prodotti nei diversi Paesi in cui sono venduti. Se gli alimenti per l’infanzia distribuiti in Svizzera e nel mercato europeo non contengono zuccheri aggiunti, quelli disponibili nei Paesi a medio e basso reddito ne hanno invece in quantità elevata, nonostante siano indicati come adatti a bambini dai sei mesi d’età. Su un totale di 115 prodotti della linea Cerelac venduti nei mercati di Africa, Asia e America Latina, il 94% (108) presentano zuccheri aggiunti. Inoltre, per 67 di questi alimenti è stato possibile determinarne il valore esatto, tramite etichetta o analisi di laboratorio.

    Si è scoperto quindi che in India, dove le vendite hanno superato i 250 milioni di dollari nel 2022, tutti i cereali per bambini Cerelac contengono zuccheri aggiunti, in media quasi tre grammi per porzione. La stessa situazione prevale in Sudafrica, il principale mercato per Nestlé in Africa, dove ogni alimento esaminato di questa linea ha quattro o più grammi di zuccheri aggiunti per porzione. In Brasile, il secondo mercato mondiale con un fatturato di circa 150 milioni di dollari nel 2022, tre quarti dei cereali per bambini di questa linea contengono zuccheri addizionali, in media tre grammi a porzione.

    “È un fatto preoccupante -ha fatto notare Rodrigo Vianna, epidemiologo e professore presso il dipartimento di Nutrizione dell’Università federale di Paraíba nel Brasile Nord-orientale, commentando i risultati della ricerca-, lo zucchero non dovrebbe essere aggiunto agli alimenti dedicati ai neonati e ai bambini piccoli perché non è necessario e crea una forte dipendenza. I bambini si abituano al sapore dolce e iniziano a cercare altri alimenti dolci, innescando un ciclo negativo che aumenta il rischio di disturbi legati all’alimentazione nella vita adulta, tra cui l’obesità e altre malattie croniche non trasmissibili come il diabete o l’ipertensione”.

    Una tendenza che, anche se in forma ridotta, si ritrova in Nido, il più popolare dei latti per la crescita. Secondo Euromonitor, nel 2022 le vendite globali dei prodotti Nido per bambini da uno a tre anni avrebbero superato quota un miliardo di dollari. Su 29 confezioni esaminate ben 21 contenevano zuccheri aggiunti, i valori più alti sono stati riscontrati a Panama (5,3 grammi) e in Nicaragua (4,7 grammi).

    Sebbene la multinazionale si sia affrettata a sottolineare che questi prodotti sono senza saccarosio aggiunto, essi contengono zucchero addizionale sotto forma di miele. Tuttavia, secondo l’Oms entrambe le sostanze non dovrebbero essere inserite negli alimenti per bambini. Ed è, paradossalmente, proprio la stessa Nestlé a spiegarlo con precisione in un quiz educativo sul sito web dedicato a Nido in Sudafrica: “sostituire il saccarosio con il miele non ha ‘alcun beneficio scientifico per la salute’, in quanto entrambi possono contribuire ‘all’aumento di peso ed eventualmente all’obesità’”.

    Eppure, il colosso svizzero sta promuovendo questi alimenti attraverso un’aggressiva campagna di marketing sia con mezzi “tradizionali”, come cartelloni e spot televisivi, sia tramite campagne sui social media e influencer. Dove, come già accennato, questi prodotti vengono presentati come salutari e benefici per lo sviluppo del bambino. “Spesso le indicazioni sulla salute dei produttori non sono supportate dalla scienza. Se un prodotto farmaceutico volesse affermare di migliorare lo sviluppo cerebrale dei bambini o la loro crescita -ha detto Nigel Rollins, ricercatore presso il dipartimento di Salute materna, neonatale, infantile e dell’adolescenza all’Oms-, dovrebbe superare standard di evidenza molto elevati. Ma trattandosi di un alimento, non è necessario effettuare questi test“.

    Nestlé non ha risposto a domande specifiche ma ha dichiarato a Public Eye e all’Ibfan di aver “ridotto dell’11% la quantità totale di zuccheri aggiunti nel proprio portafoglio di cereali per l’infanzia in tutto il mondo” negli ultimi dieci anni e che “diminuirà ulteriormente il livello di zuccheri senza compromettere la qualità, la sicurezza e il gusto”. La multinazionale ha inoltre comunicato che starebbe eliminando gradualmente il saccarosio e lo sciroppo di glucosio dai suoi “latti per la crescita” Nido a livello globale. L’azienda ha ribadito, inoltre, che i suoi prodotti sono “pienamente conformi” alle leggi locali e al Codex alimentarius. Quest’ultimo è un elenco di norme e standard alimentari internazionali che, sempre secondo Rollins, sono stati pesantemente influenzati dalle lobby dello zucchero e dell’alimentazione, rendendo le linee guida per i cibi per l’infanzia non allineate alle raccomandazioni dell’Oms. “Le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sono indipendenti da qualsiasi influenza dell’industria -ha dichiarato Rollins-. Al Codex, invece, le lobby sono attive e influenti: l’industria dello zucchero, quella degli alimenti per l’infanzia e altri rappresentanti del settore alimentare sono spesso presenti nelle stanze in cui vengono prese le decisioni”.

    https://altreconomia.it/zucchero-negli-alimenti-per-nestle-i-bambini-non-sono-tutti-uguali
    #sucre #industrie_alimentaire #enfants #enfance #inégalités #double_standard #Cerelac #Nido #lait_en_poudre #multinationales

    • How Nestlé gets children hooked on sugar in lower-income countries

      Nestlé’s leading baby-food brands, promoted in low- and middle-income countries as healthy and key to supporting young children’s development, contain high levels of added sugar. In Switzerland, where Nestlé is headquartered, such products are sold with no added sugar. These are the main findings of a new investigation by Public Eye and the International Baby Food Action Network (IBFAN), which shed light on Nestlé’s hypocrisy and the deceptive marketing strategies deployed by the Swiss food giant.

      https://stories.publiceye.ch/nestle-babies

  • Mettre l’#eau_en_bouteille

    A Vittel, la naissance du #thermalisme au milieu du 19ème a jeté les bases d’un accaparement de la #ressource_aquifère par l’intérêt privé. Cet intérêt porte aujourd’hui le nom d’une multinationale, Nestlé, qui pompe des millions de mètres cubes par an.

    Nous sommes à Vittel. Ici, Nestlé Waters produit annuellement plus d’un milliard de bouteilles vendues sous les marques Vittel, #Hepar et #Contrex. Si l’eau puisée ici a fait rayonner la ville dans le monde entier depuis 1854, l’épuisement de la ressource et la sécheresse qui l’accompagne déclenchent aujourd’hui une importante levée de bouclier.

    Bernard Schmidt, militant du collectif eau 88 s’interroge : “Le problème de l’eau en bouteille, c’est de savoir à qui appartient l’eau ? Comment se fait-il qu’une entreprise, hier une entreprise familiale, aujourd’hui Nestlé, possède un quasi-monopole, je dis quasi parce que juridiquement c’est compliqué, mais un quasi-monopole d’exploitation que l’Etat ne sait pas ou ne veut pas remettre en cause. Si moi je veux faire un puits derrière chez moi, n’importe où en France, je peux le faire ici. Il faut que je démontre à Nestlé que je ne vais pas nuire à sa production. Et Nestlé a fait fermer tous les puits, les hôtels qui avaient eu nos gratuites”.

    Comment une ville d’eau a-t-elle pu en manquer au point d’être reconnue en état de catastrophe naturelle en 2022 ? Nous racontons ici comment le combat homérique d’une poignée d’habitants contre la multinationale témoigne des préoccupations environnementales contemporaines et d’une évolution du rapport de force.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/mettre-l-eau-en-bouteille-4596377

    #eau #sécheresse #Vittel #Nestlé #Nestlé_waters #société_des_eaux #décharges #décharges_sauvages #résistance #justice #condamnation #prise_illégale_d'intérêt #intérêt_public #foncier #terres #accaparement_des_terres #Vosges #néo-féodalisme #néo-colonialisme #agriculture #safer #AGRIVAIR #green-washing #nappes_de_surface #agriculture_biologique #multinationales #escroquerie #sous-sol #appropriation #propriété #eaux_souterraines

    #audio #podcast

  • Global producer responsibility for plastic pollution

    Brand names can be used to hold plastic companies accountable for their items found polluting the environment. We used data from a 5-year (2018–2022) worldwide (84 countries) program to identify brands found on plastic items in the environment through 1576 audit events. We found that 50% of items were unbranded, calling for mandated producer reporting. The top five brands globally were The #Coca-Cola Company (11%), #PepsiCo (5%), #Nestlé (3%), #Danone (3%), and #Altria (2%), accounting for 24% of the total branded count, and 56 companies accounted for more than 50%. There was a clear and strong log-log linear relationship production (%) = pollution (%) between companies’ annual production of plastic and their branded plastic pollution, with food and beverage companies being disproportionately large polluters. Phasing out single-use and short-lived plastic products by the largest polluters would greatly reduce global plastic pollution.

    https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.adj8275

    #responsabilité #plastique #multinationales

    via @freakonometrics

  • RTS : nestlé glisse du sucre dans de la nourriture pour bébés dans des pays à faibles revenus Elisa Casciaro, Linda Bourget

    nestlé, poids lourd de l’alimentation infantile au niveau mondial, se targue de ne pas ajouter de sucre dans ses préparations pour bébés distribués en Europe. Dans de nombreux pays à revenus plus faibles, ses produits contiennent en revanche du sucre ajouté à très large échelle.

    En Afrique du Sud, les céréales pour bébé Cerelac, un produit destiné aux enfants dès six mois vendu par nestlé, contiennent six grammes de sucre par portion, soit l’équivalent d’un carré et demi avec chaque repas. Sur le paquet du produit équivalent en Suisse, la mention « sans sucre ajouté » figure pourtant au premier plan de l’emballage.


    Les pays à faibles revenus visés
    L’organisation et le Réseau international d’action pour l’alimentation infantile ont fait analyser la composition d’une centaine d’aliments pour bébé vendus par nestlé dans le monde entier.

    Les conclusions de cette enquête sont sans équivoque : si la multinationale veveysane a pratiquement renoncé aux sucres ajoutés en Europe, elle en use à très grande échelle dans les produits bébés destinés à des pays à plus faibles revenus. Et ce alors que l’OMS recommande de limiter drastiquement l’apport de sucre dans l’alimentation des jeunes enfants, afin notamment de lutter contre l’obésité.
    https://www.goodnes.com/sites/g/files/jgfbjl131/files/gdn_product/field_product_images/nido-gtyxk2a9kzqunjg49h5t.png
    « En ajoutant des sucres dans ces produits, l’unique objectif de nestlé – et d’autres industriels aussi – c’est de créer une accoutumance ou une dépendance des enfants, parce qu’ils aiment le goût sucré », dénonce Laurent Gaberell, co-auteur de l’enquête de Public Eye. « Et donc, si les produits sont très sucrés, ils vont en redemander à l’avenir. »

    Sur les 78 produits de la marque Cerelac achetés en Afrique, en Amérique latine et en Asie, 75 contenaient du sucre ajouté. Avec une moyenne de 4 grammes, soit un carré de sucre, par portion. Aux Philippines, ce niveau grimpe même à 7,3 grammes par portion pour l’un des produits de l’échantillon destiné à être donné deux fois par jour à des bébés dès 6 mois.

    Utilisation de sucrose et de miel
    Les produits de la marque Nido, distribués dans de nombreux pays, sont aussi concernés. « nestlé n’hésite pas à mettre en avant le fait que ces produits sont ’sans sucrose’, alors qu’ils contiennent du sucre ajouté sous forme de miel. Or le miel et le sucrose sont tous deux considérés par l’OMS comme des sucres qui ne doivent pas être ajoutés aux aliments pour bébés », écrit Public Eye.

    « nestlé l’explique d’ailleurs très bien dans un quiz didactique : remplacer le sucrose par du miel ne présente ’aucun avantage scientifique pour la santé’, car tous deux peuvent contribuer ’à la prise de poids, voire à l’obésité’. »


    Interrogé sur ces pratiques, nestlé répond de façon générale : « Toutes nos recettes sont conformes aux lois internationales et locales, y compris les exigences sur l’étiquetage ». La multinationale ajoute encore que « de légères variations dans les recettes selon les pays dépendent de plusieurs facteurs, notamment des lois, sans compromettre la qualité de nos produits. »

    Une stratégie marketing
    L’enquête pointe également du doigt le marketing du géant de l’agroalimentaire, qui flirte avec les allégations de santé. Sur un paquet de Mucilon vendu au Brésil (soit l’équivalent de Cerelac), il est écrit « contribue à l’immunité et au développement cérébral ».

    Et la stratégie ne s’arrête pas là, selon Laurent Gaberell. "Un des aspects clés de la stratégie marketing de nestlé, c’est ce qu’on appelle le marketing médical. Il s’agit d’embarquer des professionnels de la santé dans la promotion directe ou indirecte de leurs produits", explique-t-il. « On a vu par exemple le cas d’une nutritionniste au Panama qui, sur les canaux en ligne, recommande le produit Nido 1+, celui-là même qui contient pourtant presque deux carrés de sucre par portion. »

    Là encore, nestlé affirme respecter le cadre légal des différents marchés sur lesquels ses produits sont distribués. « Nous nous conformons à toutes les réglementations applicables dans tous les pays où nous opérons et nous avons mis en place des procédures strictes pour garantir nos communications », se défend la multinationale.

    Des laboratoires parfois réticents
    Le 17 avril, l’émission On en parle a également reçu Laurent Gaberell, expert alimentation et agriculture à Public Eye et auteur du rapport. Il y raconte comment, durant l’enquête, des laboratoires suisses ont refusé d’analyser les produits nestlé. « Nous étions transparents sur notre projet et prêts à payer, mais nous avons essuyé plusieurs refus. Un laboratoire en particulier nous a répondu ne pas être en mesure de collaborer avec nous, car ‘cela pourrait mettre les intérêts de ses clients existants en danger’. Ces réponses montrent le pouvoir et la protection dont bénéficie nestlé dans notre pays. »

    L’émission a également demandé à nestlé ses explications concernant les variations de quantités de sucres ajoutés entre pays, ce à quoi la multinationale a répondu : « De légères variations dans les recettes selon les pays dépendent de plusieurs facteurs - notamment des réglementations et de la disponibilité des ingrédients au niveau local - et ne compromettent en aucun cas la qualité de nos produits. »

    Laurent Gaberell réagit : « Soyons sérieux : nestlé n’a pas retiré le sucre de ses produits pour bébés en Suisse en raison de la réglementation ou d’un manque de disponibilité du sucre sur le marché. L’entreprise l’a fait pour répondre aux attentes des consommatrices et consommateurs, qui savent que cette pratique n’est plus acceptable chez nous. De plus, ne s’agit pas de ‘légères variations’. En Suisse, nestlé a complètement retiré le sucre de ses produits pour bébés, mais continue d’en ajouter en énormes quantités dans d’autres pays. »

    nestlé ajoute : « Nous déclarons toujours la totalité des sucres présents dans nos produits, y compris ceux provenant du miel, par exemple. » Les consommateurs et consommatrices auraient-ils donc l’information sur la teneur en sucre ajouté des produits à disposition ? Pas vraiment, selon Laurent Gaberell : « Les industriels sont contraints d’indiquer la présence des glucides dans la liste des ingrédients, mais dans la plupart des pays, ils ne sont pas tenus d’indiquer la teneur en sucre ajoutés des produits. »
    #nestlé #sucre #bébé #Santé #multinationales #multinationale #alimentation #obésité #Suisse

    Source : https://www.rts.ch/info/monde/2024/article/nestle-glisse-du-sucre-dans-de-la-nourriture-pour-bebes-dans-des-pays-a-faibles-

  • #Nestlé adds sugar to infant milk sold in poorer countries, report finds | Global development | The Guardian
    https://www.theguardian.com/global-development/2024/apr/17/nestle-adds-sugar-to-infant-milk-sold-in-poorer-countries-report-finds

    Campaigners from Public Eye, a Swiss investigative organisation, sent samples of the Swiss multinational’s baby-food products sold in Asia, Africa and Latin America to a Belgian laboratory for testing.

    The results, and examination of product packaging, revealed added sugar in the form of sucrose or honey in samples of #Nido, a follow-up milk formula brand intended for use for infants aged one and above, and #Cerelac, a cereal aimed at children aged between six months and two years.

    In Nestlé’s main European markets, including the UK, there is no added sugar in formulas for young children. While some cereals aimed at older toddlers contain added sugar, there is none in products targeted at babies between six months and one year.

    #criminels #sucre #laits #bébés

  • Nestlé : le « nettoyage » des eaux minérales était nécessaire, leur qualité « non garantie » - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=dDztjYY_sqQ&pp=ygUQRnJhbmNlIDI0IG5lc3RsZQ%3D%3D

    L’ANSES a rendu un rapport en octobre 2023 sur la qualité des sources d’eau exploitées par Nestlé. Une grande partie des puits étaient contaminés à divers polluants (bastéries, pesticides, PFAS). Cette qualité insuffisante des eaux minérales rendaient leur traitement nécessaire à leur commercialisation, or les traitements sont interdits pour des eaux dites « minérales » et « naturelles ».Une nouvelle d’autant plus inquiétante que Nestlé affirme avoir cessé de traiter ses eaux minérales.
    #Nestlé #eau #pollution

  • L’affaire de la pizza infanticide (le crime était industriel)
    https://www.piecesetmaindoeuvre.com/documents/l-affaire-de-la-pizza-infanticide

    Au début de l’année 2022, deux enfants de 8 et 2 ans meurent d’un syndrome hémolytique et urémique et une cinquantaine d’autres restent lourdement handicapés. Les services d’hygiène publique remontent la chaîne épidémique jusqu’aux pizzas industrielles de l’usine Buitoni-Nestlé de Caudry, près de Cambrai, contaminées par la bactérie Escherichia coli, dite E. Coli. Bactérie qui prospère dans les matières fécales. Certes, les accidents, ça arrive ; c’est même la seule certitude que l’on (...) #Documents

    https://www.piecesetmaindoeuvre.com/IMG/pdf/l_affaire_de_la_pizza_infanticide.pdf

  • Nestlé a illégalement pompé plus de 10 milliards de litres d’eau entre 2007 et 2022
    https://lareleveetlapeste.fr/vittel-avec-9-forages-illegaux-nestle-a-pompe-plus-de-10-milliards

    La longue lutte entre Nestlé Waters et les habitants de Vittel et Contrexéville n’en finit plus ! Ces derniers accusent Nestlé Waters d’être à l’origine d’un déficit chronique de la nappe phréatique inférieure de leurs communes. Opposés à la privatisation de l’eau, le collectif eau88 est en poursuite judiciaire contre la multinationale qui a illégalement pompé plus de 10 milliards de litres d’eau entre 2007 et 2022 en exploitant neuf forages sans autorisation.

    D’autant que #Nestlé traite la flotte qu’elle vend comme étant « minérale naturelle » ou « de source »
    https://www.radiofrance.fr/franceinter/nestle-et-d-autres-industriels-ont-purifie-illegalement-de-l-eau-contami

  • Aliments pour bébé : les industriels utilisent trop de sucre
    https://reporterre.net/Biscuits-yaourts-les-aliments-pour-bebes-contiennent-trop-de-sucre

    Trop de #sucre dans les produits pour #bébés. C’est l’alerte lancée par l’organisation Consommation, Logement et Cadre de vie (CLCV). Dans un rapport publié le 19 octobre, l’association de consommateurs a passé au crible 207 produits d’#alimentation infantile — destinés aux moins de 3 ans.

    Son constat est accablant : il y a « une prolifération d’allégations nutritionnelles et “santé” sur des produits pourtant à limiter, car ils sont trop sucrés et contiennent des arômes et des additifs », analyse l’association dans un communiqué.

    #agroalimentaire #Nestlé #enfants

  • VIDEO. « Les arbres ont poussé dans le plastique » : dans la forêt près de Vittel, l’immense décharge sauvage de Nestlé menace de polluer les nappes phréatiques
    https://www.francetvinfo.fr/replay-magazine/france-2/envoye-special/video-les-arbres-ont-pousse-dans-le-plastique-dans-la-foret-pres-de-vit

    En creusant à cet endroit, le collectif a mis au jour « une gigantesque fosse » d’une centaine de mètres de long, d’une quinzaine de mètres de hauteur, et d’une trentaine de mètres de largeur. Selon la Direction régionale de l’environnement, de l’aménagement et du logement (DREAL), cette seule décharge contient 42 000 mètres cubes de plastique. Car il en existe trois autres dans le secteur... Nestlé a fini par reconnaître l’existence des quatre sites en 2017. Le groupe assure qu’une entreprise externe a été mandatée pour les dépolluer… mais n’a indiqué aucune date.

  • Moins on mange, plus ils encaissent : l’inflation gave les bourgeois
    https://www.frustrationmagazine.fr/inflation-bourgeois

    C’est à n’y rien comprendre. C’est la crise, l’inflation reste très élevée, l’économie n’est ni remise du Covid ni de la guerre en Ukraine qui se poursuit. Et pourtant, les profits atteignent des records, les dividendes sont plus hauts que le ciel, et les milliardaires n’ont jamais accumulé autant de milliards. Si on n’y regarde […]

    • Moins on mange, plus ils encaissent : l’#inflation gave les bourgeois

      C’est à n’y rien comprendre. C’est la crise, l’inflation reste très élevée, l’économie n’est ni remise du Covid ni de la guerre en Ukraine qui se poursuit. Et pourtant, les profits atteignent des records, les #dividendes sont plus hauts que le ciel, et les #milliardaires n’ont jamais accumulé autant de milliards. Si on n’y regarde pas de plus près, on pourrait considérer comme paradoxale une situation qui est parfaitement logique. Pour accumuler les milliards, il faut accumuler les dividendes. Pour accumuler les dividendes, il faut accumuler les profits. Pour accumuler les profits, il faut appauvrir la population en augmentant les #prix et en baissant les #salaires réels. Ça vous parait simpliste ? Alors, regardons de plus près les chiffres.

      Selon l’INSEE, au premier trimestre de cette année, l’#excédent_brut_d’exploitation (#EBE) des entreprises de l’#industrie_agro-alimentaire (c’est-à-dire le niveau de profit que leur activité génère) a progressé de 18%, pour ainsi s’établir à 7 milliards d’euros. Les industriels se font donc de plus en plus d’argent sur le dos de leurs salariés et, plus globalement, sur celui des Français qui galèrent pour se nourrir correctement : les ventes en volume dans la #grande_distribution alimentaire ont baissé de 9% au premier trimestre 2023 par rapport à la même période l’année précédente. La #consommation en France est ainsi tombée en-dessous du niveau de 2019, alors que la population a grossi depuis de 0,3%. Selon François Geerolf, économiste à l’OFCE (Observatoire français des conjonctures économiques), cette baisse de la #consommation_alimentaire n’a aucun précédent dans les données compilées par l’Insee depuis 1980. Dans le détail, sur un an, on constate des baisses de volumes vendus de -6% l’épicerie, -3% sur la crèmerie, -1,6% pour les liquides, etc. Cela a des conséquences concrètes et inquiétantes : en avril dernier, l’IFOP montrait que presque la moitié des personnes gagnants autour du SMIC se privait d’un repas par jour en raison de l’inflation.

      Une baisse de la consommation pilotée par les industriels

      Comment les entreprises peuvent-elles se faire autant d’argent, alors que nous achetons de moins en moins leurs produits ? Tout simplement, car cette baisse de la consommation est pilotée par les industriels. Ils choisissent d’augmenter massivement leurs prix, en sachant que la majorité des gens accepteront malgré eux cette hausse, car ils considéreront qu’elle est mécaniquement liée à l’inflation ou tout simplement, car ces industriels sont en situation de quasi-monopole et imposent donc les prix qu’ils veulent (ce qu’on appelle le #pricing_power dans le jargon financier). Ils savent très bien que beaucoup de personnes n’auront par contre plus les moyens d’acheter ce qui leur est nécessaire, et donc que les volumes globaux qu’ils vont vendre seront plus bas, mais cette baisse de volume sera très largement compensée par la hausse des prix.

      Sur le premier trimestre 2023, en Europe, #Unilever et #Nestlé ont ainsi augmenté leurs prix de 10,7%, #Bonduelle de 12,7% et #Danone de 10,3 %, alors que l’inflation tout secteur confondu passait sous la barre des 7%. La quasi-totalité d’entre eux voient leurs volumes vendus chuter dans la même période. Les plus pauvres, pour lesquels la part de l’alimentaire dans la consommation est mécaniquement la plus élevée, ne peuvent plus se nourrir comme ils le souhaiteraient : la #viande et les #céréales sont particulièrement touchés par la baisse des volumes vendus. Certains foyers sautent même une partie des repas. Les #vols se multiplient, portés par le désespoir et les grandes enseignes poussent le cynisme jusqu’à placer des #antivols sur la viande et le poisson.

      Les hausse des profits expliquent 70% de la hausse des prix de l’alimentaire

      Comme nous avons déjà eu l’occasion de l’écrire, les hausses de profit des #multinationales sont déterminantes dans l’inflation que nous traversons. Même le FMI le dit : selon une étude publiée le mois dernier, au niveau mondial depuis 2022, la hausse des profits est responsable de 45 % de l’inflation. Le reste de l’inflation vient principalement des coûts de l’#énergie et des #matières_premières. Plus spécifiquement sur les produits alimentaires en France, d’après les calculs de l’institut La Boétie, « la hausse des prix de #production_alimentaire par rapport à fin 2022 s’explique à plus de 70 % par celle des profits bruts ». Et cela ne va faire qu’empirer : en ce début d’année, les prix des matières premières chutent fortement, mais les prix pratiqués par les multinationales poursuivent leur progression, l’appétit des actionnaires étant sans limites. L’autorité de la concurrence s’en inquiète : « Nous avons un certain nombre d’indices très clairs et même plus que des indices, des faits, qui montrent que la persistance de l’inflation est en partie due aux profits excessifs des entreprises qui profitent de la situation actuelle pour maintenir des prix élevés. Et ça, même la Banque centrale européenne le dit. », affirme Benoît Cœuré, président de l’Autorité de la concurrence, au Parisien.

      La stratégie des multinationales est bien rodée : augmenter massivement les prix, mais aussi bloquer les salaires, ainsi non seulement leur #chiffre_d’affaires progresse fortement, mais ils génèrent de plus en plus de profits grâce à la compression de la #masse_salariale. Les calculs sur longue période de l’Institut La Boétie donnent le vertige : « entre 2010 et 2023, le salaire brut horaire réel (c’est-à-dire corrigé de l’inflation) a baissé de 3,7 %, tandis que les profits bruts réels, eux, ont augmenté de 45,6 % ». Augmenter massivement les prix tout en maintenant les salaires au ras du sol permet d’augmenter le vol légal que les #actionnaires commettent sur les salariés : ce qu’ils produisent est vendu de plus en plus cher, et les patrons ne les payent par contre pas davantage.

      La Belgique a le plus bas taux d’inflation alors que les salaires y sont indexés

      L’une des solutions à cela est bien connue, et était en vigueur en France jusqu’en 1983 : indexer les salaires sur les prix. Aujourd’hui seul le SMIC est indexé sur l’inflation et la diffusion des hausses du SMIC sur les salaires plus élevés est quasi inexistante. Les bourgeois s’opposent à cette mesure en affirmant que cela risque de favoriser encore davantage l’inflation. Les statistiques prouvent pourtant le contraire : la Belgique est le pays affichant le plus bas taux d’inflation en avril 2023 (moins de 5% tandis qu’elle atteint 6,6% en France) alors que là-bas les salaires s’alignent automatiquement sur les prix. Il est urgent de mettre en œuvre ce genre de solutions en France. En effet, la situation devient de plus en plus intenable : la chute des #conditions_de_vies de la majorité de la population s’accélère, tandis que les bourgeois accumulent de plus en plus de richesses.

      Cela dépasse l’entendement : selon le magazine Challenges, le patrimoine professionnel des 500 plus grandes fortunes de France a progressé de 17 % en un an pour s’établir à 1 170 milliards d’euros cette année ! En 2009, c’était 194 milliards d’euros… Les 500 plus riches détiennent donc en #patrimoine_professionnel l’équivalent de presque la moitié de la #richesse créée en France par an, mesurée par le PIB. Et on ne parle ici que de la valeur des actions qu’ils détiennent, il faudrait ajouter à cela leurs placements financiers hors du marché d’actions, leurs placements immobiliers, leurs voitures, leurs œuvres d’art, etc.

      La #France au top dans le classement des gros bourges

      La fortune de #Bernard_Arnault, l’homme le plus riche du monde, est désormais équivalente à celle cumulée de près de 20 millions de Français et Françaises d’après l’ONG Oxfam. Sa fortune a augmenté de 40 milliards d’euros sur un an pour s’établir à 203 milliards d’euros. Ce type a passé sa vie à exploiter des gens, ça paye bien (à peine sorti de polytechnique, Bernard Jean Étienne avait pris la direction de l’entreprise de son papa). Au classement des plus grands bourges du monde, la France est donc toujours au top, puisque non seulement on a l’homme le plus riche, mais aussi la femme, en la personne de #Françoise_Bettencourt_Meyers (patronne de L’Oréal, 77 milliards d’euros de patrimoine professionnel). Mais il n’y a pas que le luxe de représenté dans ce classement, la grande distribution est en bonne place avec ce cher #Gérard_Mulliez (propriotaire des #Auchans notamment) qui détient 20 milliards d’euros de patrimoine ou #Emmanuel_Besnier, propriétaire de #Lactalis, le 1er groupe mondial de produits laitiers, qui émarge à 13,5 milliards.

      Les chiffres sont vertigineux, mais il ne faut pas se limiter à une posture morale se choquant de ces #inégalités sociales et appelant, au mieux, à davantage les taxer. Ces fortunes ont été bâties, et progressent de plus en plus rapidement, grâce à l’exploitation du travail. L’augmentation de valeur de leurs entreprises est due au travail des salariés, seul créateur de valeur. Tout ce qu’ils détiennent est ainsi volé légalement aux salariés. Ils doivent donc être pris pour cible des mobilisations sociales futures, non pas principalement parce qu’ils sont #riches, mais parce qu’ils sont les plus gros voleurs du monde : ils s’emparent de tout ce qui nous appartient, notre travail, notre vie, notre monde. Il est temps de récupérer ce qui nous est dû.

      https://www.frustrationmagazine.fr/inflation-bourgeois

      #profit #économie #alimentation #chiffres #statistiques

  • L’industrie de l’eau en bouteille pollue et freine l’accès à l’or bleu Aurélie Coulon

    Selon un rapport des Nations unies, l’industrie de l’eau en bouteille creuse les inégalités d’accès au précieux liquide et aggrave la pollution plastique. L’idée que l’eau en bouteille serait de meilleure qualité est aussi remise en question.

    Dans le monde, un million de bouteilles d’eau est vendu chaque minute avec une consommation annuelle estimée à 350 milliards de litres. Un rapport publié ce jeudi par l’Institut pour l’eau, l’environnement et la santé de l’Université des Nations unies (Unu-Inweh) – basé au Canada – dresse le tableau, souvent critique, des tendances et des impacts de cette industrie, en s’appuyant sur des données issues de 109 pays. La sortie de ce document précède de quelques jours la Conférence des Nations unies pour l’eau qui se tiendra à New York du 22 au 24 mars.

    « Ce rapport pose la question du rôle des industriels dans l’accès à l’eau potable pour tous, qui est l’un des buts de développement durable approuvés par les Nations unies en 2015, explique Zeineb Bouhlel, chercheuse à l’Unu-Inweh et autrice principale du rapport. Notre travail montre que le marché de l’eau en bouteille n’est pas aligné avec ce but et même, ralentit les efforts pour l’atteindre. »

    Un marché lucratif, surtout en Asie
    Les plus gros consommateurs d’eau conditionnée sont les citoyens asiatiques, de la région Asie-Pacifique plus précisément, puis viennent les Etats-Unis et l’Europe. Dans ces derniers, l’eau en bouteille est perçue comme meilleure pour la santé et de meilleur goût que celle du robinet, et constitue donc un bien de luxe plus que de nécessité, « les habitants des pays du Sud achètent des bouteilles avant tout pour remédier au manque ou à l’absence d’un système solide de distribution publique », d’après les auteurs. En Europe, l’Allemagne est le plus gros marché.

    En 2021, cinq compagnies – PepsiCo Inc, The Coca-Cola Company, Nestlé Waters, Danone et Primo Waters Corporation – combinaient un revenu de 65 milliards par an, soit un quart du total global.

    Déplétion des ressources en eau
    Or, produire des bouteilles d’eau consomme… de l’eau, utilisée comme contenu mais aussi dans le processus de production. Selon des estimations tirées des données fournies par les fabricants, Coca-Cola en utilise en moyenne 1,9 litre pour produire un litre en bouteille, contre 3,3 litres pour Unilever et 4,1 litres pour Nestlé.

    Dans le monde, l’or bleu mis en bouteille provient principalement de sources souterraines. Des études basées sur des déplétions en eau déclarées en Inde, au Pakistan, au Mexique, au Népal et au Canada ont permis de déterminer qu’en 2021, Coca-Cola en avait extrait 300 milliards de litres et Nestlé Waters 100 milliards. Le géant chinois Hangzhou Wahaha est lui aussi cité avec ses 12 millions de litres prélevés chaque jour dans les sources des monts Changbai. Tout comme Danone qui extrait 10 millions de litres à Evian-les-Bains quotidiennement.

    « Les informations sur les quantités prélevées par les industriels sont rares et nous avons fait des estimations sur la base de ce qui était disponible, commente Zeineb Bouhlel. Comparé aux prélèvements pour l’irrigation, l’usage pour l’eau en bouteille est bien inférieur, pour le moment. Mais même si ces chiffres sont petits en valeur absolue, l’impact à l’échelle locale sur l’accès aux ressources en eau peut être important. »

    Contacté par Le Temps, le porte-parole de Nestlé Waters s’en défend : « Partout où nous embouteillons, nous veillons à ce qu’il n’y ait pas d’impact négatif sur les bassins-versants et les aquifères locaux. Pour preuve, nous certifierons toutes nos usines selon la norme de l’Alliance for Water Stewardship d’ici à 2025. Là où c’est nécessaire, en collaboration avec des partenaires, nous fournissons un accès à l’eau et à l’assainissement aux communautés proches de nos usines. »

    Des traces de contamination aussi
    Par ailleurs, « les entreprises de boissons aiment désigner l’eau en bouteille comme une alternative sûre à celle du robinet, en pointant du doigt certains ratés du système publique », affirme Zeineb Bouhlel. Alors que la réalité est tout autre, à voir la longue liste des cas de contamination des eaux en bouteille, toute marque confondue. Il peut s’agir de métaux lourds ou d’autres pollutions chimiques comme les pesticides ou les microplastiques. « Ce qui m’a le plus frappé, ce sont les fois où ce sont des micro-organismes qui ont été retrouvés dans des bouteilles », remarque l’autrice. Des microbes – pour certains résistants aux antibiotiques – ont été identifiés depuis dix ans dans des dizaines de bouteilles de marques différentes, aux Etats-Unis, en Chine, en France, au Portugal et dans d’autres pays.

    « Cela ne veut pas dire que toutes les eaux en bouteilles sont contaminées, mais elles ne sont pas forcément meilleures que celle du robinet », commente Vladimir Smakhtin, ancien chercheur à l’Unu-Inweh, tout juste retraité, et coauteur du rapport. Il rappelle avec ses collègues que la source de l’eau (système municipal ou surface de prélèvement), le processus de traitement (par chlorination, exposition à la lumière ou par la température), les conditions de stockage et l’emballage sont autant de facteurs potentiels qui peuvent altérer la qualité de l’eau en bouteille.

    « Des entreprises privées s’approprient un bien public à faibles coûts, le traitent et le revendent à ceux qui ne peuvent pas se le payer, affirme le rapport. Ironiquement, de nombreux cas parmi 40 pays montrent que ce produit final n’est pas sûr pour la santé, les entreprises étant bien moins contrôlées que les installations publiques. »

    Pollution plastique importante
    Enfin, troisième dégât de l’eau en bouteille pointé par ce rapport, sa contribution importante aux déchets de plastique. Les industriels auraient produit autour de 600 milliards de bouteilles plastiques en 2021. Une grande part n’est pas recyclée et finit dans des décharges à ciel ouvert, rarement contrôlées.

    Coca-Cola par exemple, produit près de trois millions de tonnes de plastique en 2019, dont seulement 3% sont réutilisables, selon certaines estimations établies par la Fondation Ellen MacArthur. L’entreprise Coca-Cola, contactée par Le Temps, n’a pas voulu commenter les données mondiales, mais rappelle que pour la Suisse, ses activités sont encadrées par l’ordonnance sur les emballages pour boissons.

    « Le problème des déchets plastiques provenant des bouteilles s’accélère, et il correspond déjà chaque année à une file de camion de 40 tonnes reliant New York à Bangkok », illustrent les auteurs. « La plupart des pays dans le monde n’ont pas de système de gestion des déchets, confirme Pascal Hagmann, directeur de l’ONG d’étude sur la pollution des océans par les déchets plastiques (Oceaneye). Il y a un manque d’anticipation dans ce domaine. »

    Or selon les projections, le marché des eaux en bouteille va continuer de grossir, les ventes de bouteilles devraient doubler d’ici 2030 pour atteindre un revenu global de 500 milliards de dollars. « Nous espérons que notre rapport permettra de lancer des réflexions au sein des gouvernements et dans la société, pour adapter les législations, déclare Zeineb Bouhlel. Il faudrait plus de régulation de ce secteur industriel et plus d’investissements dans les infrastructures publiques pour assurer un accès égal à l’eau. »

    #eau #capitalisme #déchets #pollution #plastique #agriculture #environnement #santé #privatisation #PepsiCo #Coca-Cola #Nestlé #Nestlé_Waters #Danone #Primo_Waters_Corporation

    Source et Shémas : https://www.letemps.ch/sciences/lindustrie-leau-bouteille-pollue-freine-lacces-lor-bleu

    • « or bleu » : Une expression assez ignoble dans le titre.

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  • Nestlé grugera dans votre portefeuille pour compenser la baisse de ses profits Radio Canada
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1956848/nestle-baisse-profit-2022-inflation-cout-matieres-premieres

    Le géant de l’alimentation augmentera ses prix après avoir raté ses prévisions de bénéfice pour l’exercice 2022.

    Les prix n’ont pas fini de grimper à l’épicerie si on en croit Mark Schneider, directeur général de Nestlé, le plus grand groupe alimentaire mondial, qui s’apprête à appliquer de nouvelles augmentations du prix de ses produits après avoir affiché en 2022 des bénéfices nettement inférieurs aux prévisions.

    Le fabricant du café instantané Nescafe et des barres de chocolat KitKat a pourtant augmenté le prix de ses produits de 8,2 % l’an dernier, mais ça n’a pas suffi, semble-t-il, à limiter l’érosion des profits que M. Schneider attribue à la hausse du prix des matières premières.


    Le géant mondial de l’agroalimentaire Nestlé a déclaré des ventes de 137 milliards de dollars canadiens l’an dernier.

    “Notre marge brute a baissé d’environ 260 points de base, ce qui est énorme”, a expliqué Mark Schneider aux journalistes jeudi.

    Selon les dernières données publiées par le géant suisse de l’alimentation, le bénéfice net de Nestlé pour l’exercice 2022 s’est chiffré à 9,3 milliards de francs suisses (13,5 milliards $ CA), ce qui est loin des 11,6 milliards de francs (16,8 milliards $ CA) anticipés par les analystes.

    “Nestlé rate rarement ses objectifs et c’est le cas ici”, a déclaré à Reuters Bruno Monteyne, analyste chez Bernstein.

    Les actions de Nestlé étaient en baisse de 2,8 % sur les marchés en milieu d’après-midi, jeudi.

    Pour contrer l’érosion des profits, Nestlé a déclaré qu’elle visait une croissance interne des ventes dans une fourchette de 6 % à 8 % en 2023.

    La multinationale suisse a déclaré en 2022 des ventes de 94,4 milliards de francs suisses (137 milliards $ CA), en hausse de 8,4 %.

    Bien que les concurrents de Nestlé anticipent pour leur part des perspectives de prix plus positives en 2023, Mark Schneider estime que de nouvelles hausses de prix seront tout de même nécessaires cette année pour compenser l’impact de la hausse du prix des matières premières.

    Le géant Unilever a aussi déclaré la semaine dernière qu’il continuerait à augmenter le prix de ses détergents, savons et produits alimentaires emballés cette année pour compenser la hausse du coût des intrants, mais qu’il prévoit atténuer ces augmentations au second semestre de 2023.

    La multinationale du breuvage et des grignotines PepsiCo a pour sa part déclaré la semaine dernière qu’elle cesserait d’augmenter ses prix dès cette année après avoir appliqué plusieurs hausses l’an dernier qui lui ont permis de dépasser les prévisions en matière de bénéfices et de ventes.

    La perturbation des chaînes d’approvisionnement par la pandémie de COVID-19 et l’invasion de l’Ukraine par la Russie en février 2022 ont littéralement fait flamber le prix des denrées alimentaires et de presque toutes les matières premières dans le monde. Les augmentations des prix en tablettes ont été particulièrement fortes et rapides dans le domaine de l’alimentation.

    Au Canada, en 2022, le panier d’épicerie a augmenté de plus de 10 % sur une base annuelle.

    Sachant que les consommateurs sont confrontés à des taux d’inflation historiques, les multinationales de l’alimentation comme Nestlé ne peuvent non plus augmenter leurs prix de façon inconsidérée afin d’éviter d’atteindre le point de bascule où le consommateur remet le produit sur la tablette parce qu’il est trop cher.

    #nestlé #inflation #prix #marge #eau #multinationales #alimentation #santé #suisse #agroalimentaire #agriculture #vittel #exploitation #nutrition #agriculture_et_alimentation #coca-cola #multinationale #esclavage #bénéfices #dividendes #économie #santé #PepsiCo

  • À Vittel, il n’y a plus assez d’eau pour la mettre en bouteilles
    https://reporterre.net/A-Vittel-il-n-y-a-plus-assez-d-eau-pour-la-mettre-en-bouteilles

    Autre piste, pour diminuer les ponctions dans l’aquifère profond : pomper ailleurs. À partir de 2024, la ville de #Vittel se fournira dans une des poches plus en surface, économisant ainsi 300 000 m³ par an dans la nappe GTI. « Tout le monde se redéploie sur ces nappes plus superficielles de façon assez irresponsable, dénonce Bernard Schmitt. On va augmenter sensiblement les prélèvements sur ces gîtes sans avoir fait les études, avec un risque de sursollicitation. » En clair, on déshabille Pierre pour rhabiller Paul.

    Car dans le même temps, la préfecture a de nouveau autorisé Nestlé Waters à prélever — et pour dix ans — 2,6 millions de mètres cubes dans ces nappes superficielles. « En période de sécheresse, on voit déjà des assecs [1] sur les ruisseaux, qui sont censés être alimentés par ces nappes, alors qu’est-ce que ça va donner maintenant ? » s’interroge M. Schmitt.

    Pour le collectif #Eau 88, il n’y a qu’une solution, à terme : « On est favorable à l’arrêt de l’#embouteillage de l’eau par des #minéraliers, #Nestlé ou d’autres », pose M. Schmitt.

  • GRAIN | An agribusiness greenwashing glossary
    https://grain.org/en/article/6877-an-agribusiness-greenwashing-glossary

    Glossaire des principales tactiques utilisée par l’agrobusiness pour son greenwahing (avec exemples précis et sources) :

    In the following pages, we try to identify and demystify some of the key greenwashing concepts and false solutions that food and agribusiness corporations use to derail effective action on the climate crisis.

    #agrobusiness #greenwashing #communication #Nestlé

  • Public Eye accuse le Secrétariat d’Etat à l’économie Suisse (SECO) de rouler pour Nestlé Ram Etwareea
    https://www.letemps.ch/economie/public-eye-accuse-seco-rouler-nestle

    Le Mexique, où l’obésité fait des ravages, a introduit une étiquette d’avertissement sur la « malbouffe ». Excessif selon Nestlé, qui a mobilisé le Secrétariat d’Etat à l’économie pour faire pression sur le pays. L’ONG suisse Public Eye dénonce une intervention qui fait fi de la santé publique et affirme que ce n’est pas un cas isolé.


    La nourriture qu’une Mexicaine consomme généralement en une journée alors qu’elle essaie de perdre du poids en participant à un programme d’amaigrissement, dans la maison de sa famille à Texcoco, au Mexique, le 8 janvier 2021. — © Carlos Jasso/REUTERS

    « Le Secrétariat d’Etat à l’économie (Seco) se laisse instrumentaliser par Nestlé et défend ses intérêts commerciaux, parfois douteux, à l’étranger. » Cette accusation a été lancée début juillet par l’ONG Public Eye spécialisée dans les enquêtes sur les excès des multinationales suisses à l’étranger. Dans son viseur, une série d’interventions de Berne auprès du gouvernement mexicain en 2019. L’obésité représentant un grave problème dans le pays, les autorités ont introduit des étiquettes noires, reprenant la forme des panneaux de signalisation « STOP », accolées sur les emballages d’aliments jugés malsains. Cette initiative n’étant pas dans ses intérêts commerciaux, le géant agroalimentaire suisse a mobilisé le Seco pour tenter de renverser la politique de santé publique mexicaine.
    La suite de l’article payante

    #malbouffe #obésité #nestlé #multinationale #Mexique #Suisse #alimentation #Santé #junk-food #beurk

    • Ce qui n’étonne personne.

      Ceci dit sur l’illustration, la nourriture pour un programme amaigrissant, rien que les boisson et le sucre qu’elles contiennent ferait plutôt penser à un régime grossissant.

  • Nestlé, #ferrero : ouvriers sacrifiés, consommateurs en danger
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/nestle-ferrero-ouvriers-sacrifies-consommateurs-en-danger-GlLXoCbiS-O-55w

    Ces derniers mois de nombreux scandales sanitaires ont marqué l’actualité. Pizza Buitoni contenant la bactérie escherichia coli, Kinder à la salmonelle, ces intoxications ont vraisemblablement fait deux morts et conduit des dizaines d’enfants à l’hôpital.…

    #Alimentation #nestlé
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-nestle-ferrero-ouvriers-sacrifies-consommateurs-e

  • Nestlé, Ferrero : ouvriers sacrifiés, consommateurs en danger- L’En Dehors
    http://endehors.net/news/nestle-ferrero-ouvriers-sacrifies-consommateurs-en-danger

    #Nestlé, #Ferrero : ouvriers sacrifiés, consommateurs en danger ➡ https://t.co/RLYK9qK0h4 « Lorsqu on interroge les salariés, ils nous expliquent que ces contaminations ne sont pas le fait du hasard, ou d une erreur humaine mais la conséquence d un système. » @AntoineEtcheto (...) @Mediarezo Actualité / #Mediarezo

  • Steak de chou-fleur au grana padano
    https://www.cuisine-libre.org/steak-de-chou-fleur-au-grana-padano

    Couper les deux choux-fleurs en tranches, afin d’obtenir 4 tranches de 3 cm d’épaisseur. Il est possible de les couper horizontalement ou verticalement, mais il est important d’inclure la tige au milieu de chaque tranche. Une fois les 4 steaks obtenus, utiliser les restes du #Chou-fleur pour la purée. Dans une casserole, faire revenir l’oignon haché avec un peu d’huile et une pincée de sel pendant environ 10-15 minutes. Pendant ce temps, faire bouillir les restes de chou-fleur dans de l’eau salée… Chou-fleur, #Parmesan, #Steaks, #Italie / #Végétarien, #Sans viande, #Sans gluten, Sauté

    #Sauté

    • #Belgique : L’Afsca rappelle les produits Kinder d’Arlon (exporté dans 45 pays) et retire le permis de production à l’usine
      https://www.vrt.be/vrtnws/fr/2022/04/08/l-afsca-rappelle-les-produits-kinder-d-arlon-et-retire-le-permis

      L’Agence fédérale pour la sécurité de la chaîne alimentaire (Afsca) a annoncé ce vendredi rappeler la totalité des produits Kinder fabriqués à Arlon (en province du Luxembourg) et retirer à ce site son autorisation de production, en raison d’une centaine de cas de salmonellose identifiés en Europe ces dernières semaines.

      Un lien effectué fin mars entre ces intoxications et l’usine de production Ferrero d’Arlon a été confirmé depuis lors", souligne l’Afsca. Depuis, l’Agence fédérale a mené une enquête approfondie au sein du site de production d’Arlon. « Suite aux constats et à des informations incomplètes de la part de Ferrero, l’Afsca retire l’autorisation de production du site à Arlon », précise l’Afsca.


      Jusqu’ici, seul un certain nombre de lots avaient été retirés de la vente. Mais l’Afsca a désormais décidé de rappeler de manière exhaustive tous les produits de types ’Kinder Surprise’, ’Kinder Surprise Maxi’, ’Kinder Mini Eggs’ & ’Schoko-bons’, indépendamment des lots ou dates de péremption. L’Afsca demande donc de ne consommer aucun produit susmentionné et appelle les entreprises de distribution à retirer toutes ces friandises des rayons.

      L’Afsca a par ailleurs exigé de Ferrero « une approche client irréprochable » alors que l’entreprise italienne a fait l’objet de critiques depuis le début de ce scandale sanitaire. L’Agence fédérale affirme suivre de près les étapes entreprises par Ferrero et n’autorisera la réouverture du site qu’après avoir pu conclure que l’établissement répond à l’ensemble des règles et exigences de sécurité alimentaire. Entretemps, l’enquête menée sur le site du groupe italien se poursuit.

      « Une telle décision n’est jamais prise à la légère, mais les circonstances actuelles l’imposent », explique le ministre de l’Agriculture, David Clarinval, dont la tutelle sur l’Afsca fait partie de ses compétences. « La sécurité alimentaire de nos concitoyens ne peut jamais être négligée. »

      « Seuls les produits fabriqués à Arlon concernés »
      De son côté, Ferrero reconnaît dans un communiqué « des défaillances internes qui ont retardé la récupération et le partage d’informations dans les délais impartis ». Le groupe précise que seuls les produits fabriqués à Arlon sont concernés et insiste sur le fait qu’ils ne représentent que « 7% du total des produits Kinder fabriqués chaque année » dans ses usines.

      L’entreprise décrit la fermeture comme « la seule solution pour garantir le niveau de sécurité alimentaire le plus élevé et éliminer le risque d’autres contaminations ». Jeudi, l’entreprise avait indiqué que la présence de salmonelles avait été détectée le 15 décembre sur un filtre à la sortie de deux réservoirs de matières premières sur son site à Arlon.

      Les consommateurs ayant des questions doivent s’adresser au service client de Ferrero via son call center : Consumer.Service.benelux@ferrero.com ou 0800 21042. Selon le site internet de Ferrero, l’usine d’Arlon, ouverte en 1989, emploie 725 personnes, « un chiffre qui peut monter jusqu’à 1.100 en période de pointe saisonnière ».

      Les huit lignes de production du site arlonais fabriquent quotidiennement près de 18 millions de Kinder Schoko-Bons, 2 millions de Kinder Surprise et 4 millions de Raffaello. « Au total, 96% du volume de production est exporté vers 45 pays dans le monde », indique encore le site de l’entreprise.

      #ferrero #bactéries #nutella #multinationales #huile_de_palme #exploitation #kinder #agro-alimentaire #alimentation #nestlé #conditions_de_travail #marque #salmonelles #salmonelle #alimentation

    • je trouve plus honteux d’ajouter du chocolat pérave qui aurait du faire l’objet d’un seen spécifique (que je vous avais épargné : il y a foule au portillon des productions alimentaires de masse « rappelées » ces jours-ci) pour atteindre 90 abonnés (dont des qui ont bloqué cet expéditeur) au lieu de 20

      le « steak » c’est soit le pire (steak avec 85% de viande et on ne sait trop quoi, dans les rayons des grandes surfaces), soit la bonne intention : aider qui est habitué à la grillade à modifier son pli avec des machins qui se saisissent, se font griller (un usage particulier de l’huile comme exhausteurs de gout), deviennent croquant en surface et ne sont pas sucrés, pour pas dire galette, beignet, ou que sais-je qui ne serait d’ailleurs pas plus approprié à divers types de plats du genre. ça me parait caractéristique de la transition encours, et pas si grave (même si on peut préférer des désignations plus spécifiques).

      #trolling

  • Comment #Julius_Maggi a conquis les cuisines

    Arôme liquide, cubes de #bouillon ou soupes en poudre : la marque Maggi est une success story qui a débuté il y a plus de 150 ans dans le canton de Zurich. L’aromate a révolutionné les habitudes culinaires dans le monde entier.

    Quand, en 1869, Julius Maggi, alors âgé de 23 ans, reprend la minoterie de son père à Kemptthal, dans le canton de Zurich, la branche de la meunerie est en crise. Avec l’#industrialisation, les bateaux à vapeur et les chemins de fer, de plus en plus de céréales étrangères bon marché arrivent en Suisse. Julius Maggi doit imaginer quelque chose de neuf.


    Il invente d’abord la « #Leguminose » : une #farine_de_soupe à base de légumineuses riches en protéines, censée améliorer l’#alimentation du peuple et offrir des repas nourrissants aux ouvriers. Ces nouvelles « #soupes_artificielles » trouvent cependant peu d’écho auprès du public cible. Pour l’heure, les classes inférieures en restent aux patates et à la chicorée. La bourgeoisie, quant à elle, boude ce fade repas de pauvres au drôle de nom.

    La percée a lieu en 1886, avec l’invention d’un #extrait_de_bouillon qui deviendra célèbre dans le monde entier sous le nom d’#Arôme_Maggi. Grâce à cet #arôme au goût de viande mais à base végétale, les soupes se vendent aussi nettement mieux. Julius Maggi n’est pas seulement un inventeur passionné : « Il comprend en outre l’importance du #marketing », souligne l’historienne Annatina Tam-Seifert, qui a étudié les débuts de l’industrie alimentaire suisse. « Comme on ne peut ni toucher, ni sentir les produits finis, l’emballage joue un rôle essentiel dans leur diffusion. » Julius Maggi est un pionnier à cet égard. Il conçoit lui-même la bouteille de l’arôme liquide avec son étiquette jaune et rouge. Un design qui n’a pas beaucoup changé depuis.

    Un poète chargé de la #publicité

    Julius Maggi est l’un des premiers à créer un service de publicité et à utiliser de nouveaux formats – affiches, pancartes, systèmes de cumul de points avec primes à la clé, images à collectionner ou dégustations. Au début, le chef d’entreprise rédige lui-même les textes des réclames. À la fin de l’année 1886, il engage pour ce faire le poète #Frank_Wedekind, alors encore inconnu. Celui-ci crée les rimes qu’on lui demande, par exemple : Das wissen selbst die Kinderlein : Mit Würze wird die Suppe fein. Darum holt das Gretchen munter, die Maggi-Flasche runter [Même les enfants le savent : grâce à l’Arôme, la soupe est bonne. Gretchen, ainsi, n’hésite pas, à tenir la bouteille Maggi la tête en bas.] Mais le jeune poète salarié démissionne après huit mois, car il a l’impression « de s’être vendu corps et âme », comme il l’écrit dans une lettre à sa mère. Les manuscrits originaux des textes publicitaires Maggi rédigés par Frank Wedekind sont aujourd’hui conservés à la bibliothèque cantonale d’Argovie.

    À l’époque déjà, des « influenceurs » participent à la publicité : bientôt, des recettes de cuisine recommandent l’Arôme Maggi pour épicer les plats, notamment celles de l’icône allemande des livres de cuisine, Henriette Davidis. La recette de l’Arôme, elle, reste un secret bien gardé jusqu’à ce jour. Ses ingrédients de base sont des protéines végétales, de l’eau, du sel et du sucre, plus des arômes et de l’extrait de levure. Il ne contient pas de livèche, que beaucoup associent pourtant à son goût. Au point que cette herbe aromatique est communément appelée « #herbe_à_Maggi ».

    Maggi inspire aussi les artistes : ainsi, Joseph Beuys utilise la bouteille d’arôme liquide en 1972 dans son œuvre « Ich kenne kein Weekend » [Je ne connais pas de week-end]. Pablo Picasso immortalise quant à lui le cube de bouillon iconique en 1912 dans son tableau « Paysage aux affiches ». Maggi commercialise ce cube en 1908, qui devient lui aussi un best-seller mondial.

    Le plus grand propriétaire foncier

    Julius Maggi doit convaincre non seulement les consommatrices des atouts de ses produits finis, mais aussi les paysans, fournisseurs des matières premières. « Il a de la peine à trouver assez de légumes pour ses produits dans la région », raconte l’historienne. Les paysans doivent d’abord se faire aux nouvelles méthodes mécanisées de culture, et ils sont sceptiques vis-à-vis de l’industrie alimentaire. Finalement, Julius Maggi prend lui-même en main la culture des matières premières.

    Il achète du terrain à de petits agriculteurs, en leur offrant souvent un emploi au sein de la ville-usine de #Kemptthal, qui s’agrandit rapidement. Riche de plus de 400 hectares de surface agricole, Julius Maggi est même, au début du XXe siècle, le plus grand propriétaire foncier privé de Suisse. En même temps, il ouvre des usines et des réseaux de distribution en Allemagne, en Autriche, en Italie et en France.

    Julius Maggi meurt en 1912, à 66 ans. Après sa mort, l’entreprise devient une holding, avec des filiales dans différents pays. Pendant la Seconde Guerre mondiale, sa filiale allemande est le plus grand producteur de produits alimentaires du Reich et un fournisseur majeur de l’armée d’Hitler. L’usine de Singen, « entreprise modèle national-socialiste », emploie également des travailleurs forcés.

    Depuis 1947, Maggi appartient au groupe alimentaire #Nestlé. L’Arôme Maggi s’exporte dans 21 pays du monde. Des sites de production ont même été créés en Chine, en Pologne, au Cameroun, en Côte d’Ivoire et au Mexique.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/comment-julius-maggi-a-conquis-les-cuisines

    #Maggi #cuisine (well...) #mondialisation #globalisation

  • Hypermarchés, la chute de l’empire

    Le modèle de l’hypermarché a-t-il fait son temps ? Ce concept révolutionnaire du « tout sous le même toit », popularisé en 1963 par Carrefour, a conquis le monde entier. Aujourd’hui pourtant, le pionnier français, comme ses concurrents, a un genou à terre. En cause notamment, la crise du gigantisme, associé à une déshumanisation du commerce et à la surconsommation, pointée du doigt à l’heure des grands défis écologiques, mais aussi la concurrence du e-commerce. Désormais, tout le secteur cherche à sauver ce qui peut l’être, quitte à verser dans des pratiques à la limite de la légalité. Pour obtenir des prix toujours plus bas, sans lesquels elles seraient désertées, les grandes enseignes mettent les fournisseurs de plus en plus sous pression.

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/19158_1

    #film #film_documentaire #documentaire
    #consommation #grande_distribution #Amazon #hypermarchés #hypermarché #Marcel_Fournier #Carrefour #consommation_de_masse #prix #crise #guerre_des_prix #fournisseurs #omerta #RCD #rétorsions #justice #distributeurs #coopernic #CWT #AgeCore #Horizon_International #Suisse #accords_internationaux #Genève #Nestlé #pratiques_commerciales_abusives #Carrefour_Franchising #franchising #illégalité #Whole_Foods #secteur_alimentaire #Amazon_Fresh #JD.com #robotisation #Agriculture_Brain #industrie_agro-alimentaire #intelligence_artificielle #AI #IA #Slovaquie #Amazon_Prime #concurrence #e-commerce #automatisation #centre-ville #Carrefour_City #technologie

  • À sec, la grande soif des multinationales

    Depuis des décennies, les grandes multinationales de l’eau en bouteille amplifient leur pression sur les nappes phréatiques, au détriment des populations locales. Dans la région auvergnate de Volvic, l’État a accordé à la multinationale Danone de nouveaux droits de prélèvement, alors même que le niveau des réserves d’eau atteignait un niveau alarmant. Plusieurs sources historiques sont désormais taries, laissant sinistré le secteur autrefois florissant de la pisciculture. À Vittel, dans les Vosges, Nestlé Waters - premier employeur de la région - contrôle le territoire dont il surexploite sciemment l’aquifère. La firme suisse se trouve désormais embourbée dans une affaire de prise illégale d’intérêts doublée d’un scandale de pollution des sols. De l’autre côté du Rhin, c’est le géant Coca-Cola qui projette d’exploiter un troisième puits.

    https://www.linternaute.com/television/documentaire-a-sec-la-grande-soif-des-multinationales-p5559982/a-sec-la-grande-soif-des-multinationales-e5524003
    #film #film_documentaire #documentaire
    #Volvic #Lüneburg #eau #eau_en_bouteilles #extractivisme #Danone #multinationales #transparence #Nestlé #Vittel #nappe_phréatique #eau_potable #collectif_eau_88 #nappe_profonde #vigie_de_l'eau #conflits_d'intérêts #plainte #justice #pipeline #Coca-Cola #Nestlé_Waters #Contrex #Hépar #forages_profonds

    A participé aux enquêtes l’équipe de @wereport
    https://www.wereport.fr/articles/asec

  • Selon une étude, les laits infantiles ne seraient pas bien testés
    https://www.letemps.ch/sciences/selon-une-etude-laits-infantiles-ne-seraient-bien-testes

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    Les laits infantiles, vendus aux jeunes parents pour remplacer l’allaitement maternel, sont dans l’ensemble mal testés et risquent donc d’être accompagnés d’affirmations trompeuses en matière de nutrition, prévient jeudi une étude publiée dans le British Medical Journal.


    Le rayon des laits infantiles dans un supermarché d’Orléans, en France, le 11 janvier 2018. — © AFP / Guillaume SOUVANT

    Ces substituts, par exemple fabriqués à partir de protéines de lait de vache, représentent un marché de plus en plus porteur dans le monde. Ils promettent d’offrir au nourrisson un aliment équivalent au lait de sa mère.

    Les producteurs de lait infantile doivent donc systématiquement mener des essais cliniques qui visent à prouver que leur produit nourrit suffisamment bien le bébé. Mais « (ces) essais ne sont pas fiables », concluent les auteurs d’une étude publiée dans le BMJ. Celle-ci a examiné le déroulement de 125 essais menés depuis 2015.

    Les producteurs impliqués de trop près dans les études
    Pour quatre cinquièmes d’entre eux, il y a assez de lacunes pour douter de leurs conclusions. Par exemple, de multiples essais ne précisent pas avant leur déroulement ce qui doit être évalué. Pour être crédible, un bon essai clinique doit, au contraire, être clair dès le départ quant à son objectif, sans quoi le chercheur peut être tenté de ne retenir que ce qui l’arrange.

    Autre problème, certains essais excluent arbitrairement des nourrissons du groupe testé. Cela laisse craindre une comparaison faussée.

    En fin de compte, « les conclusions sont presque toujours favorables », soulignent les auteurs, qui jugent que les producteurs sont impliqués de trop près dans les études, au risque d’un manque d’indépendance.

    Ils estiment aussi que les essais manquent de gardes-fous pour s’assurer que les nourrissons testés ne courent pas de risque, notamment de dénutrition. Il faut « changer de manière conséquente la façon dont les essais (...) sont menés et font ensuite l’objet de publications, afin (...) que les consommateurs ne subissent pas d’informations trompeuses », conclut l’étude.

    #allaitement #bébés #nourrissons #multinationales #Lait #essais_cliniques #tests #essais

    • Du rififi dans les biberons Le BabyNes de nestlé
      https://www.letemps.ch/lifestyle/rififi-biberons

      BabyNes, la machine à faire des biberons de Nestlé, fait polémique sur le Web. Pas écolo, inutile, trop chère, mais surtout indigne d’une bonne mère, disent les uns. Merci, répondent les autres

      Dans la publicité, l’appartement est vide et lumineux, la mère et l’enfant sereins, la machine à biberons disposée sur une table vierge. Dans la vraie vie, il peut faire nuit, la mère trébuche sur un jouet et son bébé hurle de faim. La machine à biberons est installée entre celle à café, le Babycook pour faire les pots, le stérilisateur et une corbeille pleine de hochets à faire patienter les jeunes voraces. Evidemment, la publicité n’est pas la vie mais celle-ci vend l’idée qu’elle vous la facilitera. Depuis une dizaine de jours, Nestlé propose son lait infantile en capsules sur le marché français, après seize mois de phase pilote en Suisse (LT du 12.09.2012). BabyNes, la bien nommée, est donc une machine à emplir les biberons à partir de dosettes de lait adaptées aux différents âges des bambins. Une simplification de la tâche que l’on pardonne davantage aux buveurs de café qu’aux parents – qu’aux mères en réalité, à lire les commentaires qui inondent la toile.

      Le lancement de BabyNes en Suisse avait déjà provoqué des réactions passionnées sur Internet en 2011. Elles redoublent depuis une semaine. Certains fustigent le prix de l’ustensile, d’autres son coût pour l’environnement. Beaucoup questionnent l’utilité de la chose, puisqu’il ne leur semble pas sorcier de faire un biberon. A fortiori lorsque l’on possède des seins, rajoutent quelques-uns. Et c’est là que le débat s’enflamme, parce que l’on touche à l’identité de la mère. Et surtout à son « mérite ».

      « L’arrivée d’un enfant, attendu ou pas, doit pousser les parents à faire passer son bien-être avant tout. On ne naît pas parent, on le devient et cela passe par le changement des couches, la préparation des repas et les moments d’amusement », écrivait Aurore sur consolglobe.net après l’annonce de la mise en vente de l’appareil. « Moi je connais une machine qui réunit tous les avantages ; elle ne se nettoie pas, ne nécessite pas d’électricité, ne produit aucun déchet, s’adapte au bébé et à ses besoins, ne prend pas de place… », énumérait Audrey sur le même site avant de livrer la clé que tout le monde redoutait : « La machine de rêve, ce sont vos seins ». La blogueuse « mamafunky », récente utilisatrice de BabyNes, évoque de son côté une « solution miracle », rappelant les nuits brumeuses à compter et recompter les cuillerées destinées au breuvage de son nouveau-né. Les « Pascalettes », autres mères blogueuses, saluent carrément « une révolution ». Comme Moulinex en son temps, Nestlé libérerait donc la femme et cela déplaît à certains, à l’heure où le naturel revient en force. Une polémique comparable fut soulevée dans les années 1970 par l’introduction des couches jetables.

      « Il n’y a évidemment pas eu les mêmes débats autour du café ou du thé en capsules, fabriqués par la même entreprise. Le problème ici est que l’on touche au mythe de la « vraie mère », forcément nourricière, analyse Stéphanie Pahud, auteure du Petit Traité de désobéissance féministe (Ed. Arttesia). Les autres considérations me paraissent relever du faux procès à une société qui est là pour gagner de l’argent et use du marketing en ce sens, même s’il est très hypocrite de vouloir faire croire à l’existence d’un bébé clé en main. »

      Nestlé s’attendait à ce déluge et ne manque pas de prôner l’allaitement sur le site Internet de ­BabyNes, comme le veut une convention signée avec l’Organisation mondiale de la santé. « Nous ne sommes pas surpris par toutes ces réactions ; elles étaient prévisibles, confie Valérie Bignon, directrice de la communication de Nestlé France. Tout ce qui tourne autour de l’allaitement relève de l’intime et peut, dans certains cas, s’avérer idéologique. Cela dit, la contestation est plutôt dans le présupposé là où les avis favorables émanent d’utilisateurs. »

      Misant sur l’adage « l’essayer, c’est l’adopter », la compagnie a contacté de potentiel(le)s aficionados, leaders d’influence de surcroît. Emma Defaud, « mauvaise mère » revendiquée sur le blog éponyme, très lu par les mamans internautes, a refusé le gadget : « Le problème est que l’on essaie de nous refourguer des machines à 100 euros. Après le Babycook, dont la capacité ne permet de remplir qu’un demi-pot, le BabyNes (199 euros puis 1,50 euro par capsule. 249 francs en Suisse, ndlr). On est dans l’inutile complet, en essayant de faire croire que ce truc est branché et vous simplifiera la vie. Le seul accessoire nécessaire est le doseur de lait en poudre et il coûte quelques euros ! » Là encore, la marque veveysanne se défend, via Valérie Bignon : « Toutes les technologies commencent par être chères avant de se démocratiser. Les huit ans de recherche menée pour ce produit se retrouvent aujourd’hui dans son prix ».

      Derrière la mère hyperactive, indigne ou sacrificielle qui émeut les internautes, se cache aussi le bébé victime encore innocente de capitalistes sans scrupule. Elodie, qui écrit sur le blog « conseils éducatifs », désapprouve la captivité du consommateur, happé dès la naissance par le système Nestlé. « Lorsqu’on est habitué à une marque, on en change rarement », estime la mère de famille.

      « Dire que la BabyNes induira la Nespresso revient à penser que faire du roller enfant pousse à la moto adulte, tempère Patrice Duchemin, sociologue de la consommation. C’est une conception soixante-huitarde des choses. Aujourd’hui, les clients zappent et gagnent en indépendance. » La méfiance, sur ce terrain-là, est sans doute accrue par le fait que Nestlé est un poids lourd de l’alimentation, détenteur de multiples marques et déclencheur de quelques scandales.

      Certains redoutent déjà que quelqu’un n’invente une machine à changer les couches. Une douce utopie !

      « Le problème ici est que l’on touche au mythe de la « vraie mère », forcément nourricière »

      #marketing #BabyNes #nestlé #capsules #fric #influenceuses #Nespresso #blogueuses

    • Cet article raconte la suite des enquêtes des membres de @wereport sur l’eau, et notamment l’#eau_en_bouteilles.

      Toutes les enquêtes sont à retrouver sur le site de We Report dans la page #Water_Stories :


      https://www.wereport.fr/waterstories

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      voir aussi le #documentaire sur Arte :
      À sec - La grande soif des multinationales

      À l’heure où les ressources hydriques s’amenuisent en Europe, les multinationales de l’eau en bouteille n’entendent pas renoncer à leurs prérogatives. Enquête en France et en Allemagne où les conflits d’intérêts paralysent les espoirs de réglementation.

      À qui appartient l’eau sous nos pieds ? Depuis des décennies, les grandes multinationales de l’eau en bouteille amplifient leur pression sur les nappes phréatiques, au détriment des populations locales. Dans la région auvergnate de Volvic, l’État a accordé à la multinationale Danone de nouveaux droits de prélèvement, alors même que le niveau des réserves d’eau atteignait un niveau alarmant. Plusieurs sources historiques sont désormais taries, laissant sinistré le secteur autrefois florissant de la pisciculture. À Vittel, dans les Vosges, Nestlé Waters – premier employeur de la région – contrôle le territoire dont il surexploite sciemment l’aquifère. La firme suisse se trouve désormais embourbée dans une affaire de prise illégale d’intérêts doublée d’un scandale de pollution des sols. De l’autre côté du Rhin, c’est le géant Coca-Cola qui projette d’exploiter un troisième puits sur son site de Lunebourg, en Basse-Saxe, avec pour projet de multiplier par deux les volumes ponctionnés. Contre ces colosses apparemment tout-puissants, les collectifs citoyens qui s’organisent peinent à faire le poids.

      Robert Schmidt et Alexander Abdelilah enquêtent sur un système opaque dont les prétentions au développement durable ne sont que poudre aux yeux, et rencontre des militants associatifs, personnalités politiques ou simples citoyens investis dans un combat pour faire évoluer la législation sur le sujet – à l’image de l’avocate et ancienne ministre Corinne Lepage ou de la députée Mathilde Panot, qui a dirigé la commission d’enquête parlementaire relative à la mainmise sur la ressource en eau par les intérêts privés. Pour faire de l’accès à l’or bleu un droit fondamental, le chemin reste encore long et semé d’embûches.

      https://www.arte.tv/fr/videos/099777-000-A/a-sec-la-grande-soif-des-multinationales
      #film_documentaire